Alessandro Tassoni contro gli Spagnoli

Quella che segue è la “filippica” che Alessandro Tassoni lanciò ai Signori d’Italia, una esortazione per indurli a schierarsi accando a Carlo Emanuele I di Savoia nella prima guerra del Monferrato.

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Ora che diranno i politici di Roma, quelli che sogliono combattere in isteccato per le fazioni del re di Francia e di Spagna che pur dianzi si volevano promettere che il signor duca di Savoia, assaltato dall’uno e abbandonato dall’altra, rimarrebbe in pochi giorni in farsetti? Eccolo, in capo di cinque mesi, con tutti i suoi membri, sano, bello e vestito, e non gli ha la scutica magistrale dell’imperio spagnuolo fatto metter giù le armi; nè meno ha potuto far la confusione de’principi d’ltalia che il suo valore non apparisca come la luce in mezzo al caos della loro servile abiezione.

Ben è stata meraviglia ai signori Genovesi, per altro cosi prudenti e accorti, che nel successo di Oneglia, per interessi privati abbiano abbandonato il pubblico, con dar adito e luogo all’armata spagnuola d’occupare una terra di quel duca in mezzo lo stato loro; con negare a lui il passo per poterla soccorrere; come se il cambio del vicinato fosse stato vantaggioso per loro, o avessero in pensiero che il re fosse in breve per acquistare il Piemonte, e dover eglino esser i primi a guadagnare la sua grazia, dandogli in preda una terra aperta in quello stato.

Tanti disegni vani, tanti rumori d’armi, tanti terzi d’ltalia e Spagna, tante minacce del governatore di Milano, che magnanime, che memorande prove hanno finalmente lasciate alle moderne istorie e alle posterità? Il maggior re del mondo, che essendo i suoi confini da un polo all’ altro, assalta un principe italiano, abbandonato da tutti e circondato dalle sue forze; che non solamente non si guarda da lui, ma che ei mette le sue ragioni in lui, e l’assalta per mare e per terra; in tempo che gli giungano tanti milioni dalle Indie; e che si trova pronta un’armata col maggiore sforzo che possa fare il suo imperio, e nol trangugia vivo, principi e cavalieri italiani, o le forze di Spagna non sono miracoli, come voi le tenete, o questi sono i miracoli. Credete che sia la Spagna, per vostra fe’, qualche provincia del paradiso terrestre? o l’imperio di un altro mondo?

La Spagna, a chi non l’ha veduta, è una provincia divisa in più regni, grande ben tre volte più di tutta l’Italia. Dico ben tre volte, ma non si sgomenti alcuno per questo, che forse la Moscovia lo è altrettanto e più; nè perciò l’abbiamo in alcuna stima. A cominciare dove ella si divide dalla Gallia Narbonese, fino agli ultimi confini di terra ferma e di san Jacopo di Compostella, ha 52 città, quanto al nome; agli effetti non sono nè anche trenta, essendovene di quelle che arrivano appena a dugento fuochi. I regni suoi, parte sono infecondi e deserti, come Aragona e Galizia; aridi e alpestri, come Castiglia e Biscaglia; parte montuosi e sassosi, come Catalogna e Navarra; parte di pochissime città, come Valenza e Granata; parte d’una sola, come Cordova; bellissime campagne, che altro non producono che rosmarino ed oppio salvatico; bellissime pianure, dove non si trova che una sola abitazione in una giornata; bellissimi colli, dove non è filo d’erba, nè stilla d’acqua; bellissime ville, adorne di capanne grosse e stalle per animali; bellissime città, fabbricate di legno e di terra bagnata. Da questo giardino del mondo, da questo porto delle delizie partono quelle legioni di cavalieri erranti, che avvezzi nelle loro terre a pascersi di pane cotto al sole e di cipolle, a dormire al sereno con le scarpe di corda e le montiere di pecoraio, vengono a fare il duca nelle nostre città, e a metter paura, non perché siano bravi, ma perché non avendo mai provati gli agi della vita umana, non temono di perdere l’appetito, mentre stanno rinchiusi nelle fortezze invitti contro li pidocchi…

Queste sono le tremende forze. di Spagna, dove bisogna un regno per fare una compagnia di soldati a piedi, e questi sono quelli, che spaventano l’Italia, e che poco dianzi volevano inghiottire il Piemonte, spianare Asti e Vercelli, pigliare il signor duca di Savoia, e, legato in un sacco, mandarlo al re. Ora si sono pentiti, e trattano di pace, e per che cagione? perché forse quel principe aveva in suo aiuto Francia? Non per certo, chè i Francesi, sebbene fanno i politici, in questa occasione hanno mostrato di sapere molto poco, lasciando venire lo sforzo di un re, cosi grande, addosso ad un principe, vicino loro e confederato e del sangue reale di Francia, per dipendenza materna, senza dare un minimo segno d’aiuto, mentre vedono che gli Spagnuoli fabbricarono un forte, non contro lui, che nello stato di Milano non ha interesse, ma contro le armi e pretenzioni della corona di Francia. Ben ne comparvero molti l’anno passato, quando era la guerra contro il signor duca di Mantova, perché corsero al sacco delle terre del Monferrato, non riguardando che elle fossero di un nipote della regina loro e di un principe della fazione francese: ma questo anno che il signor duca di Savoia aveva più duro incontro, e che guardando le sue frontiere, non apriva le porte alle rapine, ai sacrilegi, agli stupri e all’altre scelleratezze, che sono sempre stati i fondamenti delle guerre dei principi in Italia, essi non sono comparsi, e se pure ne comparvero alcuni pochi, subito se ne andarono, che quello non era un esercito di soldati, ma di ladroni. Benissimo fecero a fuggire; ma meglio avrebbero fatto a non comparire, poiché, giuntii signori spagnuoli, presero occasione di andare disseminando per le terre di Lombardia, che il campo del signor duca di Savoia era pieno di eretici francesi, che avrebbero infettata tutta l’Italia d’eresie. Ma particolarmente procurarono di far ciò credere alla corte di Roma, per mettere in odio quel principe agli Italiani medesimi, e renderlo sospetto al papa. Ma piacesse a Dio che nel campo Spagnuolo non fossero più maomettani, di quello che sieno eretici nel savoiardo, che agevolmente sarebbe la salute di ‘molti. Non crediamo già per questo gl’ Italiani tanto sciocchi o tanto maligni, che desiderino la rovina di un principe della loro nazione, acciocché superbissimi barbari abbino da occupargli lo stato, e a calpestare, con maggior fatto, la nobiltà italiana. E se pure alcuni di essi hanno mostrato qualche segno di cosi mal talento, la giustizia del cielo non ha permesso che ne possino godere, ma li punisce, come già fece a’Branchidi, che tradirono la Grecia nel passaggio di Serse, facendoli esserei primi a perdere le terre loro.

Ma torniamo a quei satrapi della dottrina politica, ch’avevano per disperate le cose di quel principe, come se egli fosse una formica che guerreggiasse con un leone. Sempre i più dotti sono i più pusillanimi, e come essi mancano di generosità, cosi non la considerano in altri, ma misurano il vantaggio con l’occhio, mirando chi ha maggior busto o più anni o più piedi. Quando Alessandro passò con lo esercito in Asia, gli Ateniesi, che facevano i saputi della Grecia, l’ebbero per ispedito, parendo loro che il granchio andasse a mordere il piede ad Ercole.

È vero, il signor duca di Savoia è inferiore di forze al re di Spagna; similmente è vero, che nelle guerre domina la fortuna, e che non è il più fortunato capitano del mondo; ma dove mancano le forze del suo stato, supplisce il valore della sua persona, e l’esperienza e prudenza sua ne’ maneggi di guerra contrappesano i mancamenti della fortuna.

Se egli avesse avuto forze maggiori, non sarebbe stato necessitato a fare la guerra difensiva in casa sua, ma l’avrebbe portata negli stati di lui, perché finalmente il ducato di Milano non è tanto grande, nè era cosi provveduto, nel principio della guerra, che, trattandosi con queste forze di liberare quei popoli dalla soggezione di gente straniera, che ormai nel pacifico e lungo dominio è divenuta incomportabile, non s’avesse potuto effettuare.

E tanto maggiormente, che, non dico i Milanesi nobili, o generosi di spirito, o avvezzi alla signoria de’ principi nati nelle loro città, ma non vi ha nel mondo intero alcuna nazione tanto barbara, che, a lungo andare, possa soffrire di essere dominata da stranieri. E, se ben consideriamo, di tante nazioni, che hanno avuto dominio in Italia, non ve n’è rimasta alcuna.

 

 

 

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