Boris I e la conversione dei Bulgari

Boris I fu knjaz dei bulgari dall’852 all’889. Nell’864 si convertì al cristianesimo ed assunse il nome di Michele in onore del suo padrino, l’imperatore bizantino Michele III, figlio di Teofilo e di Teodora Armena, che per lungo tempo, alla morte del marito, fu reggente dell’Impero bizantino. Vediamo quali furono i passi della conversione dei bulgari e del loro re.

Boris, re dei bulgari, saputo che a Costantinopoli governava una donna, minacciò di far guerra pensando di confrontarsi con un animo timoroso, invece Teodora Armena respinse quelle intimidazioni mostrandosi pronta al conflitto. Ciò indusse il bulgaro a riprendere la via diplomatica. L’obbiettivo della donna era anzitutto la liberazione di Teodoro Kufaras, assai dotto nell’amministrazione dello stato. Boris invece bramava riavere sua sorella, catturata dai bizantini e tenuta a corte con ogni riguardo. Fu lei forse la prima bulgara a convertirsi al cristianesimo ed una volta libera continuò ad esser ferma nella sua fede anche al cospetto del pagano re Boris che pure aveva appreso i riudimenti della fede dei bizantini proprio da Teodoro Kufaras.

Giovanni Scilitze nelle sue Storie descrisse così la conversione dei bulgari: “Quando però sul territorio dei bulgari s’abbatté una terribile carestia e non si vide giungere alcun aiuto, il capo chiamò in aiuto il Dio dei cristiani rivelatogli da Teodoro e da sua sorella; e indusse l’intero suo popolo a fare lo stesso. Liberatisi dal flagello, si convertono alla pietà religiosa; Boris ottiene la rigenerazione del battesimo ed è chiamato Michele, come l’imperatore romano, da parte del prelato inviato a impartirgli il santo battesimo”. Lo stesso Scilitze tramanda anche che re Boris fu scioccato dagli affreschi realizzati su sua commissione dal monaco greco Metodio raffiguranti l’Apocalisse: “Quando la pittura fu finita, il capo, vedendo da una parte il coro dei giusti con le corone in testa, dall’altra quello dei peccatori sottoposti a tormenti e apprendendo dal pittore il significato del dipinto, abiura subito la propria fede e istruito, come s’è detto, dal santo vescovo nei divini misteri, nel cuore della notte riceve il battesimo”.

Boris chiese dunque un vescovo all’imperatore Michele e volle il battesimo per sé ed il suo popolo, dunque, ma il paganesimo era ben radicato tra quella gente che non tardò a ribellarsi. Il palazzo di Boris fu assediato. Il re non aveva che quarantotto uomini di guardia e con loro si scagliò contro la folla inferocita. La tradizione vuole che il popolo vide sette chierici vestiti di bianche tonache affiancare il loro re ed appiccare fiamme infernali con delle torce. La rivolta si placò, in cinquantadue furono condannati e l’intero popolo accettò il battesimo.

Boris inviò alcuni ambasciatori a Roma con suo figlio presentando numerosi ricchi regali all’altare di San Pietro per pregare il pontefice a spedire presso il suo popolo dei religiosi e consegnargli una lettera con numerose domande su varie questioni religiose. Papa Nicolò II accolse quei doni e quelle richieste e inviò presso re Boris il Vescovo di Populonia, Paolo, e Formoso di Porto, regalando il volume delle Sacre Scritture ed altri libri.

Leggiamo in Storia Ecclesiastica Universale di Giuseppe Cappelletti lettera che il pontefice inviò a Boris dei Bulgari: “Tu c’informi, ch’essendosi ribellato contro di te il tuo popolo, a cagione della tua conversione al cristianesimo, e che tu, essendone riuscito vincitore per l’assistenza del Dio dei cristiani, hai fatto morire, insieme coi loro figliuoli, tutti i grandi, autori di quella sedizione; e c’interroghi, se in ciò tu abbi peccato. Non v’ha dubbio, che tu non sia colpevole della morte dei fanciulli innocenti, incapaci di partecipare alla sedizione dei loro padri. Anzi, tu dovevi salvar la vita a che – a questi, dappoichè ne eri rimasto vincitore. Ma se tu arai e penitenza, otterrai il perdono del peccato, che ha commosso, non per malizia, una per ignoranza e per un cieco zelo di religione. Non devesi usare violenza per convertire coloro, che vogliono rimanere nell’idolatria. Contentati di esortarli, di far loro intendere la falsità degl’idoli, di astenerti da qualu: quo – comunicazione con loro, a fine di confonderli salutarmente con questo tuo contegno. Quanto poi a quelli, che rinuniano al cristianesimo dopo di averlo abbracciato, spetterà da pima ai loro padrini il riprenderli: siano di poi denunziati alla Chiesa; e se continuassero nella loro ostinazione, ne siano puniti a dovere dall’autorità secolare. Tu hai peccato anche in trattare, nel modo che mi lici, il greco, che ha battezzato parecchie persone di casa tua, spacciandosi falsamente per sacerdote. Il battesimo non dipende dalla virtù di chi lo amministra: perciò, quando sia conferito nel nome della santa Trinità, chi lo riceve n’è va lidamente battezzato. Costui, non v’ha dubbio, era degno di biasimo, fingendosi quello che non era. Bastava che ti lo avessi scacciato: nè il tuo zelo è stato secondo la scienza e la moderazione evangelica, facendolo flagellare crudelmente e recidergli il naso e le orecchie. I giorni solenni del baltesimo sono la Pasqua e la Pentecoste: ma quanto a te, non occorre osservare alcun tempo, come non lo è necessario lo quelli che stanno in pericolo di morte”.

E con riferimento alle feste il pontefice scrisse: “È duopo far festa la domenica e non il sabato oltre alla domenica ti asterrai dal lavoro nelle feste della Beata Vergine, degli Apostoli, degli Evangelisti, di san Giovanni Battista, di santo Stefano protomartire, e di que santi di cui è ce ebre presso noi la memoria. Nè in questi giorni, nè in tempo di quaresima devesi amministrare pubblicamente giustizia. Bisogna astenersi dall’uso delle carni in ciascun giorno di digi ino; cioè nella quaresima che precede la Pasqua, nei giorni dopo la Pentecoste, in precedenza della festa dell’Assunzione della Madre di Dio ed alla solennità del Natale del Signore. È comandato similmente il digiunare tutti li venerdi e tutte le vigilie delle feste solenni, ecc. Mi chiedi, se possa ordinarsi presso voi un patriarca. Nulla ti posso dire per ora finchè i nostri legati non ci rendano in ormati della quantità dei fedeli in coteste regioni. Noi vi di remo un vescovo, il quale avrà le prerogative e i privilegi di arcivescovo. Allorchè ne sia cresciuto il numero dei crist ani, egli stabilirà degli altri vescovi, i quali ricorreranno a lui negli affari di grave importanza. Ma prima di poter fare ci sarà d’uopo ch’egli riceva dalla santa Sede il pallio, al pari di tutti gli altri arcivescovi delle Gallie, della Germania e degli altri paesi. Le chiese propriamente patriarcali sono qt elle, che ripetono la loro fondazione con questa prerogativa d: gli apostoli; e sono le chiese di Roma, di Alessandria, che dopo Roma ne è la primaria, e di Antiochia. Le Chiese di Gerusalemme e di Costantinopoli ne portano bensi il titolo, ma non ne hanno l’autorità. La Chiesa anzi di Costantinopoli non fu neppure piantata da alcuno degli Apostoli, nè il concilio di Nicea la commemora: ma poichè fu nominata la nuova Roma, perciò il suo vescovo è stato detto patriarca più per fa ore dei principi che per alcuna buona ragione. Il vescovo di Gerusalemme, onorato di più dal concilio di Nicea, giusta l’antica consuetudine, non fu però qualificato da quell’augusto consesso nulla più di vescovo-patriarca, salvi tutti i diritti metropolitici alla sede di Cesarea. E quanto ai greci, agli armeni e agli altri forestieri venuti da diversi paesi tra voi, i quali, come tu dici, parlano con qualche diversità in alcuni pronti della religione; le non circoscritte disposizioni della nostra carità sono tali, che, purchè vi sia insegnata la verità a noi poco importa da qual poi parte vi venga. Sappiate per altro che la fede della Chiesa romana è stata sempre irreprensibile ed immacolata, e che per educarvi ad essa vi mandi amo sino da questo momento i nostri legati e le nostre istruzioni. I vescovi, che vi manderemo di poi, vi porteranno le regole della penitenza ed il sacramentario, i quali non hanno a stare nelle mani dei laici. Non cesseremo giammai di prender cura di voi con tutto quell’impegno, che suolsi avere nella coltivazione delle piante le più preziose”.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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