Storia del Cristianesimo: Carlo Carafa e i Pii Operai

Il Venerabile Carlo Carafa, fondatore dei Pii Operai, ebbe nobili origini, puro spirito cristiano e grandi abilità militari. Discendeva dai Duchi d’Atri e dai Conti di Ruvo della Casa dei Carafa che aveva dato alla Chiesa papi, cardinali, prelati. Era nato nel 1516 e a sedici anni aveva già fatto esperienza di studio presso i gesuiti di Nola, qualche anno dopo la sua richiesta d’entrare nella Compagnia di Gesù era fallita a causa della tisi che lo costrinse a stare infermo a letto. L’ordinazione sacerdotale e la sua vita religiosa erano dunque rimandate, nel frattempo prese le armi e gli agiografi ci segnalano la sua presenza coi tercios nelle Fiandre al seguito del Marchese di Trevico, in Savoia con Vincenzo Carafa, Priore di Ungheria e suo familiare, e nella presa di Patrasso. Qui combatte col rosario e la spada, come leggiamo nella biografia redatta da Pietro Gisolfi: “Fu presa da nostri valorosamente la città di Patras nell’Acaia il giorno della natività della Madonna, quale per antica divozione (come facea delle altre sue festività) il nostro Carlo osservava con rigoroso digiuno di pane ed acqua; e mentre la soldatesca entrata già dentro vittoriosa, attendeva a saccheggiare, ad uccidere chi se le opponeva, ed a dare il fuoco alle case, egli dopo essersi molto affaticato nell’assalto e conquista di quella, se ne stava sopra un nobil destriere passeggiando avanti al corpo di guardia, fuori nel campo, dove si conservavano le bandiere; e perchè la giornata era a lui molto solenne, con la maggiore divozione che in tal congiuntura di tempo poteva, con in mano l’officio della beatissima Vergine attentamente lo recitava: in questo mentre ecco all’improvviso comparire tre maomettani a cavallo, che contro di lui con rabbiosa furia venivano per assaltarlo: egli appena li vide che subito coraggiosamente si oppose loro, e senza buttare l’ufficio, senza terminare di recitarlo, o come anche scrive il Padre Giovanni Rhò, intraprese con l’istessa mano lo scudo, ed impugnò con l’altra la spada. Chi lo combatteva da un lato, chi dall’altro, tutti tre colle grida, e con le armi cercavano d’abbattere e l’animo e la fortezza di lui ; ma egli avvalorato da celeste vigore, col girare attorno il brando, col vibrar di punta, col fender di taglio il ferro, ma più col giacolar di cuore brevi sì, ma infocate orazioni al Signore, cominciò a farsi la strada alla vittoria in mezzo al sangue de nemici. Avviliti i maomettani dall’ardire del cavaliere e dalle ricevute ferite, temendo di lasciarvi col sangue la vita, voltaron le spalle, e si diedero vergognosamente alla fuga. Ma qual forza potè mai resistere all’orazione ? quali armi poterono mai offendere un petto armato di viva fede? Il digiuno fortificò il suo cuore; la devozione avvalorò il suo braccio ; l’orazione consumò la vittoria. Vedendosi dunque vittorioso, diede all’istesso punto le dovute lodi al Signore, e fe voto di visitare il tempio della Vergine, da esso in Mariglianella fondato, subito che fosse giunto alla patria, per ringraziarla di grazia sì segnalata. Ritornando dal sacco i soldati, nel dividere le spoglie nemiche, gli offerirono molti drappi di seta e vesti alla turca, ed in segno di trionfo, si vestirono tutti alla foggia maomettana; dal chè Carlo abborrì, nè volle mai porsi addosso un menomissimo segno esteriore di coloro, la cui diabolica setta ed inumani costumi mortalmente odiava. Prese volentieri gli offerti doni , ma per adornarne le mura di quella chiesa, dove col voto s’era di già obbligato d’andare, e puntualmente il tutto eseguì”.

Accumulate esperienze e onori in guerra, Carlo Carafa, tornato a Napoli, ottenne un nuovo incontro col Vicerè per chiedere qualche considerevole impiego per servigi da lui prestati alla corona spagnola. Un altro destino però l’attendeva: il giorno stesso in cui si recava al Palazzo reale, fu catturato da un canto proveniente dal Monastero di Regina Coeli, l’ascoltò e al termine decise di riprendere il percorso religioso a cui era stato avviato da fanciullo, quando aveva frequentato il Collegio dei Gesuiti di Nola.

Tornò a casa, vi si rinchiuse ed iniziò penitenze, digiuni, preghiere e mortificazioni. Le cronache riportano che da subito volle farsi tagliare i lunghi capelli e le basette, ma il suo barbiere si oppose e allora fu lui stesso a prendere le forbici, a recidere la sua chioma, a tagliarsi la barba. Si portò poi dai padri gesuiti e comunicò loro la sua risoluzione. Fu ben accolto e consigliato. S’applicò nello studio della teologia e dopo cinque anni venne ordinato sacerdote. Era il 1º gennaio del 1600 quando celebrò la sua prima messa. Da allora si aprirono per lui esperienze di vario genere tutte segnate da preghiera e carità: assistette i malati dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli; aiutò i moribondi  e, raccolti altri religiosi, istituì nell’ospedale una Congregazione di San Francesco i cui membri erano obbligati a mantenere a loro spese dodici letti per gli infermi; predicò nelle strade di Napoli ed entrò nella Compagnia de’ Bianchi, una confraternita impegnata nell’assistere i condannati a morte; scelse di vivere in un eremo fuori città e da lì usciva ogni mattina a convertire le prostitute che poi destinava a monasteri da lui stesso fondati. La sua vita era ora tutta protesa all’annunzio della parola di Dio, alla salute delle anime, al sostegno ai miseri. Volse infine le sue attenzione ai villaggi rurali dove incontrava i contadini oppressi dalla povertà, dall’ignoranza, da una vita sregolata. Fu così che nacquero i Pii Operai.

Il cardinale Alfonso Gesualdo, Arcivescovo di Napoli, lo invitò ad uscire dall’eremo e gli concesse la Chiesa di Santa Maria di tutti i beni. Qui la congrega prese vita e prosperò di discepoli, sacerdoti e laici, che Carafa guidava in missioni nelle campagne. Ai primi otto sacerdoti che si erano al ui uniti ne seguirono molti altri. Un gran numero di meretrici cambiò vita grazie alla loro predicazione ed esse abbracciarono l’abito monacale nei Monasteri del Soccorso e delle Penitenti, appositamente fondati da Carlo Carafa. Il religioso volse le sue attenzione agli zingari, ai carcerati, agli schiavi turchi con opere di carità e insegnamento del catechismo. Papa Clemente VIII rifiutò una prima richiesta d’approvazione dell’istituto, il contrario fece Gregorio XV che, con un breve del 1621, benedì la fondazione napoletana.

Fu così edificato il Complesso di Santa Maria dei Monti presso i Ponti Rossi di Napoli, che divenne la casa madre dell’istituto. Ai religiosi della congregazione vennero affidate anche le chiese di San Giorgio Maggiore e San Nicola alla Carità, ancora a Napoli, di Santa Maria a Castello sul Monte Somma, di Santa Balbina, di Santa Maria ai Monti e di San Giuseppe alla Lungara a Roma. Il Carafa fu l’artefice della grande processione penitenziale da lui guidata per le strade di Napoli, per impetrare la cessazione della disastrosa eruzione del Vesuvio del 1631, e fu tanta la partecipazione a questa penitenza, che in moltissimi in quei giorni andarono a confessarsi in massa dai Pii Operai.

Due anni dopo Padre Carafa cadde malato e morì. Dopo la sua dipartita, l’energia che muoveva i Pii Operai non svanì. Essi conobbero, in effetti, un significativo declino numerico, ma soprattutto come conseguenza del loro soccorso prestato agli appestati del 1653.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: Pietro Gisolfi, Vita del Venerabile Carlo Carafa

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