David Lazzaretti di Arcidosso detto il Santo

Tratto da Salvatore Ottolenghi, “La suggestione e le facoltà psichiche occulte in rapporto alla pratica legale e medico-forense”, questo testo si sofferma sulla figura di David Lazzaretti, un predicatore della Toscana dell’Ottocento che destò parecchio scalpore.

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II 18 agosto 1878 David Lazzaretti, inneggiando alla repubblica, al nuovo regno di Dio, moveva da Monte Labro (provincia di Grosseto) con parecchie centinaia di contadini del Monte Amiata e della Maremma, che già da vari anni lo seguivano come santo e ispirato da Dio, e giungeva presso Arcidosso non ostante che le autorità di P. S. gli avessero fatto espresso divieto di muoversi coi suoi. Essendogli stato intimato ripetutamente di retrocedere e di sciogliere la numerosa processione che lo seguiva, egli ricusò e cadde, con alcuni dei suoi seguaci, ucciso dai carabinieri. Questi, trovandosi in mezzo alla folla solo in nove e vedendosi fatti segno a sassate, fecero uso delle armi. Tale il fatto a cui tenne dietro, prima a Grosseto e poi a Siena, un lungo processo. I lazzarettisti vi comparvero dopo severa prigionia in numero di 22 (tra i quali era anche don Filippo Imperiuzzi, prete di Gradole, seguace di David) sotto « l’accusa di attentalo contro la sicurezza interna dello Stato, per avere commessi alti esecutivi diretti a rovesciare il governo ed a mutarne la forma, non che a muovere la guerra civile ed a portare la devastazione ed il saccheggio in un Comune dello Stato e di resistenza alla forza con lesioni gravi ».
Il culto per il Lazzaretti professato per dieci anni in quei paesi, la ribellione che venne arrestata a colpi di fucile, formano uno degli esempi più convincenti dell’azione della suggestione nella formazione delle sètte, nei reati delle folle, come chiaro risulta da quanto ne scrissero il Verga (1), il Lombroso e il Nocito (2) e specialmente il Barzelotti (3), testimone, si può dire, quasi oculare, che tratteggiò dal vero i fatti e l’ambiente in cui si svolsero.
Il santo David, come lo chiamano ancora ora i superstiti suoi fedeli e i figli loro, l’antico barrocciaio d’Arcidosso che fino a 33 anni era stato attaccabrighe, bestemmiatore turpissimo, dedito all’orgia, ardito, che però aveva già avuto qualche allucinazione e aveva dimostrato tendenza alla grafomania, d’un tratto muta vita e, dopo un viaggio a Roma, dopo tre mesi di vita in una grotta detta del beato Amedeo col frate Ignazio Micus, dopo lunghe astinenze in un convento di Francia, quando ritorna fra la sua gente nel 1868 si accinge a predicare la sua nuova religione.
Qui comincia il periodo della propaganda religiosa, nel quale l’azione sua suggestionatrice va largamente rinforzandosi e estendendosi.
Il clero stesso del suo paese, rivedendo in lui la ripetizione degli antichi profeti, lo prendeva sul serio, il popolo fanatizzato correva in massa a sentirlo.
Nel 1869 pensò di costruire una chiesa per la nuova fede, e sorse il nuovo tempio col danaro di quei montanari, ricchi e poveri, e, più ancora, colle loro braccia; uomini, donne, giovinetti, fanciulli, non tutti delle infime classi, portavano a gara terra, mattoni e calcina, salivano e scendevano per luoghi aspri, con grandi sassi sulla testa, al vento e al sole cocente, dalle prime ore della mattina fino alla sera, non per altro che per amor di Dio.
Nel gennaio 1870 egli impiantò la Società della santa lega; dopo fatta coi suoi apostoli una cena apostolica, parti per l’isola di Montecristo. Tornato a Monte Labro, istituì la Società delle famiglie cristiane. Poi viaggiò per le principali città d’Italia e fuori, andò a Grenoble, infine ritornò a Monte Labro. Fa un accorrere immenso di quei montanari al loro santo che ritornava. Egli spiega alla folla i suoi rescritti e predica che Iddio ci vede, ci giudica, ci condanna.
A crescere l’adorazione si aggiunge la persecuzione dell’autorità politica prima, dell’autorità religiosa poi. Era già stato accusato di frode per l’istituzione delle famiglie cristiane; per una sua predica fu imputato di voler rovesciare il governo; nel 1874 veniva condannato come ribelle dal Tribunale di Rieti, assolto in Appello. Ritornò a Monte Labro e ricostituì la società. Recossi di nuovo in Francia, scrisse un libro: La mia lotta con Dio, e altro che fu messo all’indice. I sacerdoti, che prima favorivano la sua opera (il vescovo di Montalcino aveva consacrato la chiesa di Monte Labro), presero a combatterlo. Il parroco di Arcidosso, uomo colto, che aveva creduto in principio che David fosse veramente un chiamato da Dio e l’aveva egli stesso presentato al popolo, lo combatté dopo dal pulpito. Ma era troppo tardi.
Qui incomincia una nuova fase: la ribellione religiosa della nuova setta. Quando Lazzaretti nel 1878 ritornò a Monte Labro, ribelle alla santa Chiesa, predicò ai suoi fedeli, che avevano costrutto una torre vicino alla chiesa e vi avevano aggiunto un campo (il campo di Cristo\ la santa riforma, si affermò nuovo Cristo, bandi astinenze da cibo e da Venere, preconizzò un grande avvenimento pel 14 agosto, raccolse, fra i più devoti, danari per le prossime imprese (impegnandoli in un giro di cambiali fino a 104 mila franchi) e preparò bandiere, ricchi travestimenti, dalla forma più bizzarra, per sè e per i principali suoi gregari, e per tutti placche con l’emblema dell’associazione, una croce fra due c rovesciati; classificò i suoi addetti in più ordini.
Oramai la suggestione compiva la sua opera: prima aveva fondata la setta, ora cominciava la vita d’azione. Centinaia di contadini, rimasti sino allora credenti e osservantissimi d’ogni pratica religiosa, abbandonarono per Lazzaretti e dietro il suo esempio le dottrine e le forme della fede in cui erano nati, aspettando ansiosi il verbo del loro profeta. Giunse il 14 agosto.
« La cronaca di quello che egli fece e disse coi suoi a Monte Labro dalla sera del 14 agosto all’alba del 18 è davvero notevole — scrive il Barzelotti — per chiunque voglia studiar dal vero il diffondersi del più potente tra i contagi intellettuali che è il fanatismo religioso.
« Non s’era, dicono, mai vista tanta gente a Monte Labro come quella sera del 14 agosto, vigilia della Madonna Assunta. Venivano a vedere i preparativi della solenne discesa di David e dei suoi ».
Vestiti coi più strani costumi, diversi secondo i gradi loro, David, i dodici apostoli, i discepoli, i sacerdoti, gli eremiti, le matrone, le suore di carità, le fanciulle pie, le figlie dei cantici, ecc., uscirono in processione e rientrarono in chiesa in quest’ordine: innanzi, i musicanti d’Arcidosso vestiti come gli apostoli, poi la schiera delle bambine e delle donne, poi David e il sacerdote, poi tutti gli uomini; in alto, sulle teste ondeggianti, si vedeva una fitta selva di insegne. Disposti tutti in ordine nella chiesa, David fece entrare la folla, che, come immaginerà facilmente il lettore, rimase trasognata, guardando i compagni, i parenti, gli amici trasfigurati in quelle strane vesti; tutti rimasero come colpiti improvvisamente dal contagio del luogo, dell’ora e dalla stessa realtà del fatto.
Spuntava l’alba: intonate alcune preci, tutta la folla mosse in solenne processione, che girò due volte il monte, poi tornò in chiesa. La processione si ripetè ancora due volte la stessa mattina e sull’imbrunire. Cosi passò il 15 agosto, cosi le altre due giornate, le altre due notti. Tutti vivevano, aspettando le grandi cose promesse dal maestro, mangiando appena quanto bastava per reggersi, buttandosi sulla nuda terra solo qualche minuto per riposare, per poi riprendere subito le preghiere e i giri. La notte dal 17 al 18 agosto a Monte Labro la passarono in continua preghiera, in aspettativa febbrile. La mattina del 18 il profeta si presentò in chiesa pronto a partire; accennando il rosso della fodera del suo manto, diceva: « Questo è segno di sangue; il mio sarà, lo vedrete tra poco, sparso, si confonderà col sacro sangue che è in quel ciborio ».
A tal punto era giunto l’esaltamento di quella folla, che quando arrivò un messo inviato da Arcidosso dal fratello di David ad avvertirlo che non vi andasse, perchè al paese si preparavano a riceverlo a fucilate, nessuno esitò a seguire il profeta, che assicurava che a nessuno di loro verrebbe tolto un capello; la vittima sarebbe stata lui solo. Cosi, dopo aver distribuito ai suoi fedeli pane e agnello benedetto, scese con quella folla suggestionata il monte; la guidava da profeta, con la camicia rossa fiammante, coll’alto cappello turchino con tre penue a vari colori svolazzanti, con gal Ione dorato, tenendo alla mano destra il suo bastone, piegato in cima, in segno di comando.
Man mano che scendeva, si univano altri contadini, accorsi da tutti i paesi vicini; eran migliaia di persone che andavano unendosi ai pellegrini. « La repubblica — gridava il profeta — incomincia da oggi; nel mondo sarà il regno di Dio ». Le fanciulle, le donne intonavano flebili canti, come se andassero a festa. Tutti quegli uomini si sentivano certi in cuor loro di non andare contro ad alcun rischio, finché erano con lui. Nè li atterrirono le sue parole, quand’egli li consigliò a ripiegare il manto in modo che la placchetta, che ciascuno di loro portava, rimanesse davanti a difenderli dalle palle. Quando la folla, ingrossata sino a più migliaia di contadini, risalì verso Arcidosso, trovò tutto il paese accorso ad incontrarla.
Tra le due folle correvano poche centinaia di metri. In quel momento un delegato di P. S. col sindaco, seguiti da nove carabinieri con le baionette in asta ai fucili, s’avanzano ad intimare a David di retrocedere e di sciogliere la processione. Il delegato, quando è a pochi passi dal David, pronuncia le tre intimazioni comandate dalla legge; alla terza il David risponde: « Io vado avanti in nome della legge, del diritto e di Cristo giudice. Se volete la pace, vi porto la pace; se volete la misericordia, avrete la misericordia; se volete il sangue, eccomi! ». Il delegato ed il ribelle si scambiarono ancora alcune parole; le folle erano mute; ad un tratto Lazzaretti si volta e con uno scatto violento pronuncia alcune parole ; un immenso grido di: « Viva la repubblica! », rispondeva subito, mentre una gragnuola di pietre pioveva sul delegato e sui carabinieri. Al tempo stesso una voce gridò: « Fuoco! », e seguirono tre fucilate una dopo l’altra, poi una scarica. Il santo David cadde colpito alla fronte. I carabinieri, appena fatta la prima scarica, si spinsero in mezzo alla folla e di tanto in tanto, ricaricati i fucili, si voltavano a far fuoco, dal pericolo fatti feroci, prendendo di mira nella massa confusa, urlante, pazza dal terrore, ora questo, ora quello dei fuggitivi. Il ferito, raccolto dai suoi fedeli, veniva trasportato su una improvvisata barella in una casetta alle Bagnole, dove spirava fra i suoi, in mezzo alle salmodie delle donne e dei bambini. Molti aspettavano che risuscitasse il giorno dopo e nessuno avrebbe toccato il cadavere se non fosse venuto l’ordine dell’autorità di Santafiora.
Ne seguì un processo contro i lazzarettisti, accusati di ribellione: 182 furono arrestati e trattenuti in carcere per quindici mesi; 22 furono rinviati alle Assise, sotto l’imputazione sovrariportata, che l’accusa trasse ragione di sostenere « dal discreto grado dell’istruzione e della condizione sociale degli imputati, mercè cui non potevano ignorare tutti gl’intendimenti del Lazzaretti, dai gradi distinti che occupavano i componenti l’associazione, dal modo con cui ne curavano l’incremento, procurandone anche i mezzi economici, dal contegno serbato dai medesimi alla presenza del delegato di P. S. ».
Dopo aver ucciso il capo come ribelle, si voleva proseguire l’opera contro i suoi complici, come se si fosse trattato d’un’associazione a delinquere; invece il profeta non era che un pazzo che destò una psicosi in alcuni dei suoi affigliati ed esercitò la più potente suggestione su tutti.
Alle Assise di Siena quei poveri suggestionati vennero assolti.
Sulla psicosi da cui venne dominato il Lazzaretti non occorre trattenerci: si trattava di un paranoico, come dimostrarono il Verga e il Lombroso. Non si creda che la suggestione non abbia avuto parte nello sviluppo di tale frenosi; basta ricordare l’influenza esercitata su lui dal frate della grotta suaccennata e quella che dovettero su lui esercitare gli stessi suoi addetti più esaltati. Ma la suggestione ebbe poi parte grandissima nell’azione esercitata gradatamente da lui sui suoi affigliati, formanti una vera setta religiosa, e, in ultimo, nella ribellione a cui trascinò la folla. Questa ribellione ci indica veramente il grado a cui giunse la suggestione, perché tutta quella folla era, si può dire, incosciente di quanto poteva avvenire. Non occorreva che i lazzarettisti fossero tutti pazzi per giungere a tale eccesso; bastava l’effetto di quella suggestione che ha condotto tante altre folle a ribellioni ben più gravi e non meno pazzesche, tanto più che si trattava d’individui al massimo grado predisposti, perché realmente componenti una setta.
« Se il Lazzaretti fu poco sano di mente— scrive il Barzelotti, — non per questo furono e sono tali anche tutti i suoi ». Dato il fascino esercitato dalla sua persona, date le condizioni locali, la scarsa istruzione di quei montanari, dato il sentimento religioso e superstizioso predominante nelle masse, tanto più abitanti luoghi montagnosi isolati da grossi centri, date certe circostanze occasionali, come la caduta del potere temporale del 1870, certi tentativi reazionari dell’autorità religiosa, data l’attrazione che sempre esercita nei bisognosi l’idea della comunità dei beni, si comprende come abbia potuto formarsi una vera setta a base religioso sociale, che, coltivata per circa dieci anni, poté essere condotta a quella pazzesca ribellione ».
Né si creda che quella setta sia morta col suo duce; ne rimangono ancora varie tracce, frutto, si potrebbe dire, di suggestione postuma. « Su lui e sulla sua vita — prosegue il Barzelotti — si sta formando tutta una rozza letteratura di scritti anonimi, che i pochi fedeli copiano per lo più e si passano l’un coll’altro, vivendo così in una comunione spirituale. Girando in queste campagne, s’incontrano spesso fuori di via, giù nella vallata verso la Maremma o per le colline, tra ombrie solitarie, casolari di fittaioli, di piccoli possidenti, per lo più contadini nel proprio, che serbano ancora sulla porta un emblema con sopra incisa la sigla di David. A quel segno si riconoscevano le case dei suoi fedeli, e a molti di loro, dopo i fatti del 18 agosto 1878, fu, non si sa perchè, ordinato di levarlo. Essi rifiutarono… Sono gli eredi continuatori delle visioni del maestro. Erano stati i primi a mettere in comune nella Società delle famiglie cristiane quel po’ che possedevano e l’hanno perduto, ma la loro fede non è cangiata ».
Concludendo: La suggestione esercitata da un paranoico crea lentamente una sètta religioso politica che dura circa dieci anni e compiè attiche volgono al pazzesco; quando completa è la psicosi del duce e dei suoi più intimi, qual folla incosciente, è trascinata prima al delirio religioso, poi alla ribellione.

(1) Verga, Lazzaretti e la pazzia sensoria. Milano, 1880.
(2) Lombroso e Nocito, Archivio di psichiatria, 1881; C. Lombroso, L’uomo di genio, p. 309. Torino, Fratelli Bocca, 1895.
(3) Barzelotti, David Lazzaretti di Arcidosso detto il Santo, i suoi seguaci e la sua leggenda. Bologna, Zanichelli, 1885.

 

 

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