Fernando d’Avalos, Marchese di Pescara

“Aut cum hoc aut in hoc” portava inciso sullo suo scudo la frase che le madri spartane ripetevano ai loro figli: ritorna con lo scudo o sopra una bara. Fernando d’Avalos combattè sotto le insegne di Ferdinando il Cattolico e Carlo V ed a quel motto aderì a pieno: appena ventiduenne ebbe il suo battesimo di fuoco nella Battaglia di Ravenna, la più grande sconfitta spagnola nel sedicesimo secolo in Italia con undicimila morti. Come racconta Pierre de Bourdeille in “Rodomontades et jurements des Espagnols”, il Marchese di Pescara combatté con coraggio a Ravenna, restando in piedi tra pochi e non arrendendosi. Quando il suo aiutante, Placidio de Sangro, corse a dirgli: “O Cavaliere coraggioso, non è cosa da uomo virile ma da pazzo contrapporsi per così tanto tempo alla fortuna avversa; finchè il cavallo è sano e le forze son sufficienti, liberati dalla morte e guadagna una miglior sorte”. D’Avalos rispose: “Di buon grado vorrei obbedirti, seguirei questo consiglio giusto se solo fossi persuaso che sia cosa onorevole; desidero però onorare i miei amici morti e non piangerli in modo disonorevole in casa da infame con la mia vita salva”.

Fu dunque fatto prigioniero. L’intervento di uno dei più autorevoli generali francesi, l’italiano Giangiacomo Trivulzio, che aveva preso parte al suo matrimonio, permise che in breve tempo il Marchese di Pescara fosse rilasciato col pagamento di un riscatto di 6.000 ducati e la promessa di non combattere ancora i francesi. Qualcosa che ovviamente Fernando d’Avalos non avrebbe fatto.

Egli proveniva da una famiglia castigliana che era passata per Valencia e la Sicilia, nato a Napoli nel 1490, fu a sei anni era già promesso a Vittoria Colonna, figlia del condottiero Fabrizio Colonna. Il matrimonio, celebrato il 27 dicembre 1509 ad Ischia, servi ad edificare la più solida base del potere aragonese e spagnolo in Italia, quella tra le famiglie Colonna e d’Avalos. L’amore tra i due fu sugellato da alcuni versi che d’Avalos scrisse proprio nella prigionia cui lo tennero i francesi dopo Ravenna.

Liberato, nonostante avesse promesso al nemico di non impugnare più le armi, comandò la fanteria spagnola nella Battaglia di La Motta, il 7 ottobre 1513, contro la Repubblica di Venezia, in cui i veneti furono letteralmente sterminati a causa dell’impulsività del loro comandante, Bartolomeo D’Alviano, che in breve tempo passò da persecutore a perseguitato. Poi, nel 1521, tolse Milano al francese Lautrec, cosa che neppure il generale Prospero Colonna, sotto i cui ordini serviva, aveva osato tentare, ed inseguì il nemico sino a Como; si distinse alla Battaglia della Biccoca ed a Pavia, divenne generale in quella gloriosa circostanza ed ancora prese Lodi e Pizzighettone, e fece capitolare i francesi a Cremona.

Fu fedelissimo a Carlo V. “I Principi italiani – racconta G. Rovelli in “La disfatta de’ Francesi alla battaglia della Bicocca”gelosi dell’illimitato potere, che acquistato aveva l’imperadore Carlo V, tentarono, per mezzo del cancelliere Morone, di sedurre il Pescara colle più magnifiche offerte, e gli promisero di farlo re di Napoli, se secondati gli avesse nel discacciare i Tedeschi e gli Spagnuoli dall’Italia. Pescara fece sembianza di prestare orecchio alle loro proposizioni, nè si sa se fosse da prima tentato ad accettarle, o se fino dal principio egli altro scopo non avesse, che di conoscere i loro segreti; ma dopo, ch’ebbe a lungo trattato con Girolamo Morone, consigliere, come già abbiamo accennato, del Duca di Milano; instruì l’Imperadore delle fattegli proposizioni, e pentir fece il Duca di averlo voluto corrompere”.

Morì a Milano, il 4 novembre 1525.  Non ebbe figli il suo titolo passò al cugino, il secondo Marchese del Vasto, Alfonso III d’Avalos, che si distinse anch’egli come generale imperiale.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

 

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