Ferrante d’Aragona ed il fallito assedio di Mondragone

L’assedio di Mondragone è forse una delle pagine più colorite delle cronache dell’epoca di Ferrante d’Aragona.

Insidiato da nemici all’esterno, il Regno di Napoli entro i confini patì l’ostilità, a volte latente ed a volte aperta, dei baroni insoddisfatti da una politica regia tesa ad accentrare il potere politico e gravati dalle esose imposte stabilite per rimpinguare le casse del regno.

In questi scontri, costellati di piccole battaglie e voldafaccia, si inserisce l’assedio di Mondragone.

Nel 1458 il Duca di Sessa si schierò con Giovanni d’Angiò, rivale dell’aragonese, e fu nei suoi territori che il francese appprodò per tentare di strappare il regno a Ferrante.

La fortezza di Mondragone, scrive Summone, era “posta ne’ fini de’ monti Massici fuor’un’altissimo giogo, la quale volgendo in mare al mezo giorno sovrastà a capi detti Falerni, così celebri per il buon vino che producono, hoggi detti il Mazzone, e dà quel lato del monte, a dritto del mare sonvi ancora i vestige dell’antica terra di Pentrino, dalle cui ruine trasse l’origine questo luogo, ch’è fu l monte; Dall’altro latto alcuante, vedesi una piccola Chiesa deeicata a San Marco Evangelista, dietro il cui altare affermano i paesani essersi aperta la terra la quale profunda si in modo, che colui, che v’entra non ritorna più in fuora, percò che soffocato dal fiato del drago custode dell’antro, è poi da lui divorato, per il che il monte fu chiamato del dragone”. La storia del drago nascosto in una crepa risale al Pontano il quale già riferisce di un “Nocsio Filippo habitante del luogo, huomo degno di fede, prattico delle cose del mondo, e suo famigliare” che colmarono la faglia “per ordine di Giacomo Sannazzaro, gentil’huomo Napoletano padro della terra, e d’altre vicine sotto il Re Ladislao, a cui egli era molto caro per la cognitione delle cose militari, che possedea: Ma che, poi entrando detto Giacomo nella spelonca per levar i paesani da quella superstitione, e qui dentro vi lasciò la vita, precipitandosi; o per otturatii suoi meati dall’orribil esalatione”. Viceversa la storiografia fa risalire il nome della città alla moglie del conte Riccardo II, figlia di Dragone, conte di Puglia, di nome Rocca.

Del drago si perdono tracce e ritroviamo Mondragone nel luglio 1463, in età aragonese, dalla parte di Giovanni d’Angiò, assediata da Ferrante e colta da una lunghissima siccità. L’assoluta carenza di pioggia prosciugò i campi e le cisterne.
“Quei di dentro – scrive il Summonte – vennero in una mai più intesa carestia d’acqua, perciò che havendo mancato di piovere, le cisterne seccorno in modo, che essi pur una minima gocciola non ne posseano havere…”. Poi inaspettatamente arrivò un nubifragio che fece naufragare le speranze di Ferrante di prendere la città per sete: “…indi sopraggiungendo una notte grandissima tempesta con tuoni, e lampi ne susseguì una gran pioggia, che l’estinse la sete; laonde il Rè, che si dava a credere di potere con la speranza della sete, che coloro pativano ottener la terra, veduto questo effetto se ne ritornò al Savone, ove dianzi havea fatto l’alloggeiamnti con tutto l’essercito”. Ferrante era dunque acquartierato presso le sponde del fiume Savone che sorge a Roccamonfina, percorre quarantotto chilometri attraverso i comuni di Teano, Francolise e Carinola e sfocia proprio a Mondragone: “Quivi havendo acconcio il campo diede (benche lentamente) principio a trattar di pace”.

Angelo di Costanzo colloca in questa cronologia di eventi, il tentativo d’una sortita angioina: “Il Re venne e si pose col campo alli Marci, e di là si sforzò con grandissima fatica di guastatori e di animali, di far salire l’artiglierie ad un colle, che per uan valle era separato dalla rocca; e poichè l’ebbe salite, trovò d’essersi affaticato invano, perhcè da quella parte erano tanto basse le mura per la gran sicurtà che si avea, per essere da quella parte la terra inaccessibile, che quando le bombarde si tiravano, o passavano per sopra le mura, ovvero percuotevano invano quelli acuti e vivi sassi del monte, e non ci era rimedio; e perchè a guardia delle bombarde erano alcune compagnie di soldati a piedi ed a cavallo, il principe e il duca Giovanni con una buona quantità di fanti andaro di notte, ed assaltaro quelli che erano nel presidio, e pigliaro il bastione, ed alcuni buoni soldati e nobili dell’esercito del Re, che stavano a quella guardia; e se alcuni che facevano la guardia al campo che era alli Maroi, non avessero inteso il romore, e riferitolo al Re, già il duca e il principe s’avriano portato a Sessa l’argilierie; ma il Re fu tanto presto a mandare soccorso di mano, che quelli che si sforzavano tirare l’artiglieria coi prigioni, si ridussero a Sessa. Il Re adirato con quei villani del castello che si tenano, non mancava di minacciarli; ma non giovò niente, perchè venne una pioggia a tempo, che essendo in tutto mancata l’acuqa, levò di necessità quelli dal rendersi, essendone per via di assalti sicurissimi; e per questo il Re lasciò l’assedio vinto da necessitèà, e cominciò a dare per alcune via al principe speranza di pace”.

Lo stesso autore, ancora recuperando Pontano, attribuisce la tempesta alla blasfemia dei religiosi di Mondragone: “Scrive il Pontano, che in questa guerra seguì sempre il Re , che quelli della rocca vedendosi in tutto mancare l’acqua, stavano per mandare a rendersi, quando alcuni preti ed altri della Terra, persuasi dal diavolo, che l’ira di Dio avria fatto turbare l’aere e movere una tempesta , scesero per que’luoghi inaccessibiti la Croce di Cristo, e con infinite bestemmie la buttaro dentro il mare, e che nel medesimo tempo un altro prete pose nella bocca e nel palato di un asino la Santissima Eucaristia, e l’atterraro vivo innanzi la porta della chiesa, e che si mosse subito dopo questo falto tal tempesta in mare ed in ciclo, e tanta pioggia, che empì tutte le cisterne, e che’ questa fu la causa che il Re, lasciato l’assedio, sapendo che non potea pigliare la Terra per altro che per sete, si ritirò al campo vecchio a Savona”.

Dal fallimento d’ogni tentativo di prendere Mondragone nacque una temporanea pace che permise a Giovanni d’Angiò di raggiungere Ischia.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Foto gentilmente concesse dalla Compagnia d’arme “La Rosa e La Spada”

 

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