Giudizio di Lamartine su Robespierre

In Storia dei Girondini, Alphonse de Lamartine traccia un profilo di Robespierre molto diverso da quello di chi lo dipinse come un feroce demagogo, un uomo puro, gentile, coerente, amabile nella sua quotidianità. Leggiamo.

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La vita privata di Robespierre attestava il disinteresse de’ suoi pensieri; era dessa il più eloquente de’ suoi discorsi. Se il di lui maestro, Gian Giacomo Rousseau, avesse abbandonato il tugurio delle Charmette per essere il legislatore dell’umanità, non avrebbe vissuto un’esistenza più raccolta, più povera di quella di Robespierre. Tal povertà era meritoria, perchè volontaria. Oggetto di molti tentativi di corruzione da parte della corte e delle fazioni di Mirabeau, di Lameth e dei Girondini durante le due assemblee, avevasi avuto quotidianamente la propria fortuna in pugno; pure non si degnò di afferrarla. Eletto poscia alle funzioni d’accusatore pubblico e di giudice a Parigi, tutti e tutto aveva respinto, onde vivere in austera e superba indigenza.

Il suo patrimonio, e quello del fratello e della sorella assieme, consistevano nel prodotto di alcuni pezzi di terra affittati nell’Artois. I fittaiuoli, poveri ed affini alla sua famiglia, non pagavano con troppa regolarità gli arretrati. Lo stipendio quotidiano qual deputato, durante l’assemblea costituente e la Convenzione, sovvenir doveva al necessario di tre persone; e talvolta fu costretto ricorrere alla borsa de’ suoi ospiti e degli amici. I di lui debiti, che trovaronsi sommare in tutto a quattromila franchi alla sua morte, dopo sei anni di dimora a Parigi, comprovano l’estrema sobrietà de’ suoi gusti e delle sue spese.

Le abitudini eran quelle di modesto artigiano. Abitava nella via Sant’Onorato, in una casa bassa, di quasi rustica apparenza, con cortile, circondato di magazzini pieni di assi, la quale oggi porta il n.° 396, in faccia alla chiesa dell’Assunzione. Questa casa consisteva, al pianterreno, in una sala da mangiare che metteva allo stesso piano della corte e comunicava con un salone, la cui finestra sporgeva su di un piccol giardino. Questo salone era seguito da un gabinetto di studio del quale si trovava un cembalo. Una scala a spirale conduceva dalla sala da pranzo al primo piano che abitava la famiglia del proprietario, e di là all’alloggio di Robespierre. Una tal casa apparteneva ad un falegname intraprenditore di fabbriche, chiamato Duplay, che aveva adottato con entusiasmo i principii della Rivoluzione. Legato con parecchi membri della Costituente, Duplay li pregò di essere condotto da Robespierre, el’intera conformità delle loro opinioni non tardò ad upirli.ll giorno dei massacri del Campo di Marte, alcuni membri della società degli Amici della Costituzione pensarono che sarebbe imprudente lasciare Robespierre raggirarsi al fondo del Marais, attraverso una cita tà ancora piena di emozione, ed abbandonarlo senza difesa ai pericoli di che lo si diceva minacciato. Duplay offri allora di dargli asilo, e l’offerta fu accettata. A partir da questo momento, Robespierre non cessò più, sino al 9 termidoro, di vivere nella famiglia del falegname. Una lunga coabitazione, un desco comune, la contiguità di vita di parecchi anni, avevano convertila in mutuo attaccamento la ospitalità di Duplay, e la famiglia del suo ospite era divenuta come una seconda famiglia per Robespierre. Questa famiglia, cui Robespierre aveva fatto adottare le sue opinioni senza nulla toglierle della semplicità de’costumi ed anco delle sue pratiche religiose, era composta del padre, della madre, di un figliuolo ancora adolescente e di qualtro figliuole, di cui la primogenita aveva venticinque anni, e la più giovane diciotto. Il padre, occupato tutto il giordo alle fatiche del suo stato, andava qualche volta a sentire Robespierre ai Giacobini; ei ne ritornava penetrato di ammirazione per l’oratore del popolo, e di odio con i nemici di questo giovane e puro patriota.

Madama Duplay condivideva l’entusiasmo del marito; la stima che nutriva per Robespierre le faceva trovare oporevoli e dolci i piccoli servigii di volontaria domesticità che ella gli rendeva, come se gli fosse stata men ospite che madre. Robespierre pagava con affezione questi servigi e quest’abnegazione; egli rinserrava il suo cuore in questa povera casa. Conversevole col padre, filiale colla madre, fraterno col figlio, familiare e quasi fratello con le figliuole, in quest’intimo cerchio formato attorno a lui, ispirava e provava tutti i sentimenti di patriottismo e di amore. Infatti anche l’amore gli legava il cuore colà ove il lavoro, la povertà ed il raccoglimento de fissavano la vita. Eleonora Duplay, la figliuola primogenita del suo ospite, ispiraya a Robespierre un affelto più tenero e più serio di quello che portava alle sorelle. Questo sentimento, piuttosto predilezione che passione , era più ragionato in Robespierre, più ardente e schietto nella donzella. Nė l’uno nè l’altra aveva potuto dire quando era comincialo questo sentimento; ma esso erasi in grandito con l’età nell’anima di Eleonora, coll’abitudine nel cuore di Robespierre. Un tale attaccamento gl’ingenerava tenerezza e non tormenti, felicità e pon distrazioni; era l’amore che conveniva ad un uomo geltato tutto il giorno delle agitazioni della vita pubblica,un riposo di cuore dopo le lassitudini dello spirito. “Anima virile, diceva egl idella sua amica, dessa morir saprebbe come sa amare”. Cotale affrtto, confessato da amendue, approvato dalla famiglia, rispettavasi da sé nella propria purezza. Vivevano nella medesima casa come due fidanzati e non come due amanti. Robespierre aveva chiesto la donzella ai suoi genitori, e gli era stata promessa. L’incertezza del domani e lo scarso patrimoni gli impedivano di celebrare le nozze prima che la sorte di Francia fosse pronunciata; ma diceva non aspirare che all’istante in cui, consolidata la rivoluzione, potesse ritrarsi dall’agosne e sposare la donna che amava per vivere nell’Artois in un a piccola terra della sua famiglia e poi terminare tranquillamente la sua vita lontano da ogni pubblica cura.

Viveva presso i Duplay anche una sorella di Lebas, di nome Sofia, amante fidanzata di Saint-Just, il più giovane dei seguaci di Robespierre. Sofia, meno riservata delle compagne, agitava sovente la famiglia per i litigi che il suo carattere le creavano con lo sposo promesso. Robespierre la rimproverava per tale incostanza di cuore, non amava il suo carattere, stimava invece Elisabetta, la minore delle figlie di Duplay, che proprio Lebas chiedeva in sposa e che poco dopo effettivamente impalmò. Quella giovinetta, cui l’amicizia di Robespierre costò la vita al marito il giorno seguente alle nozze, visse più di mezzo secolo dopo quel giorno senza avere una volta rinnegato il suo rispetto per Robespierre, nè compreso le maledizioni del mondo contro il fratello della di lei gioventù che le appariva invece così puro, buono e virtuoso.

Le vicissitudini di fortuna, d’influenza è di popolarità di Robespierre non cangiarono nulla alla semplicità della sua esistenza. La folla si recava ad implorare in favore la vita alla porta di quella casa, senza che nulla vi penetrasse di fuori. L’alloggio personale di Robespierre consisteva in una stanza bassa, costruta in forma di camera in soffitta al disopra delle tettoie, con la fine stra che guardava sul tetto. Le finestre delle camere guardavano sul tetto e non avevano altra prospettiva fuorché l’interno del cantiere sempre rimbombante del fragor delle scuri e delle seghe degli operai, e continuamente attraversato dalla padrona e dalle sue figlie, che si occupavano di affari domestici. La camera del deputato di Arras non conteneva che un letto di noce, coverto di damasco blù a fiori bianchi, una tavola e quattro sedie di paglia. Questa stanza gli serviva nel tempo stesso pel ristoro e per riposo. Le sue carte, i suoi rapporti, ed i manoscritti dei suoi discorsi, scritti di proprio pugno, di carattere regolare, ma laborioso e cancellato, erano classificati accuratamente sopra tavolette di abete, in faccia alla parete. Vi si vedevano disposti alcuni libri scelti ed in numero piccolissimo un volume di Rousseau o di Racine, quasi sempre aperto sul tavolo. Ivi Robespierre trascorreva la maggior parte del giorno, occupato a preparare le sue arringhe. ne usciva solo per recarsi, la mattina alle sedute dell’assemblea, e la sera, a sette ore, al club dei giacobini. Il suo modo di vestire, anche al tempo che i demagoghi affettavavno di lusignare il popolo imitando il più dimesso cinismo, era pulito e decente, come quello d’uomo che si rispetta nell osguardo altrui. La cura alquanto ricercata delal sua dignità e del suo stile osservavasi sin nel di lui esteriore. I capelli incipriati e sollevati sin alle tempie, una marsina abbottonata alle anche, aperta sul petto per lasciar vedere un farsetto bianco; calzoni corti di giallo colore, calze bianche, scarpe con fibbie d’argento, ne componevano la foggia invariabile di abbigliamento durante tutta la sua vita quotidiana. Pareva che, non cambiando mai di forma nè di colore i suoi vestiti, volesse offrire sempre di sè la medesima immagine, per imprimerla indelebilmente nello sguardo e nella mente del popolo.
I lineamenti del viso esprimevano più la tensione perpetua d’uno spirito preoccupato, che non l’irrequietezza, il disordine e la perversità del malvagio. Il volto aveva sempre sereno ne’ domestici lari, a tavola, o la sera nel salotto del falegname, dove trattenevasi abitualmente discorrendo dei fatti del giorno e dei progetti. I soli ammessi in quella intimità erano pochissimi amici di Robespierre e di Duplay erano talvolta i Lameth, Lebas, Saint-Just sempre, Parris, Sergent, Confinhal, Fouché, che amava la sorella di Robespierre, e che questi non amava, Taschereau, Legendre, il beccaio, Merlin di Thionville, Couthon, Pethion, Camillo Desmoulins, Buonarroti, patriota romano emulo del tribuno Rienzi, un certo Nicola stampatore del giornale e dei discorsi, Didier un chiavaiuolo amico di Duplay, infine madama di Chalabre, nobile e ricca, entusiasta di Robespierre che si dedicava a lui come le vedove di Corinto o di Roma agli apostoli del culto novello, gli offriva la propria fortuna per servire alla popolarizzazione delle sue idee , e si accattivava l’amicizia della moglie e delle figliuole di Duplay per meritarsi uno sguardo di Robespierre.

Si parlava di Rivoluzione. Altre volte, dopo una breve conversazione ed alquanti scherzi con le fanciulle, Robespierre faceva delle letture alla famiglia. Per lo più leggeva le tragedie di Racine. Egli amava di accentare quei bei versi, sia per esercitar sè stesso alla lettura, mediante il teatro, sia per inalzar quelle semplici anime a livello dei grandi sentimenti e delle grandi catastrofi dell’antichità, cui ogni giorno più si accostava la sua e la loro vita. Usciva raramente di sera, e sol due o tre volte l’anno conduceva madama Duplay e le figliuole allo spettacolo. Era sempre al Teatro Francese ed a rappresentazioni classiche. Amava soltanto le declamazioni tragiche, che gli ricordavano la tribuna, il popolo, la tirannia, il patibolo, i grandi delitti, le grandi virtù; teatrale sin nei divertimenti. Gli altri giorni Robespierre si ritirava di buon’ora nella sua camera, si coricava e si rialzava poscia per lavorare nella notte.

Di tal guisa viveva quest’uomo, la cui potenza, nulla intorno a lui, diveniva immensa nell’allontanarsi dalla sua persona. tal potenza non era che un nome. Questo nome dominava sol nell’opinione. Robespierre era divenuto a poco a poco l’unico nome che il popolo sempre ripetesse.

 

 

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