Guerra di Siena, l’intervento imperiale

Nei movimenti del corsaro Dragut si distingueva con chiarezza la mano della Francia. Il musulmano era stato ricevuto nei porti di Provenza e, dopo l’impresa di Mahdia, opera della flotta imperiale allestita da Andrea Doria e da Giovanni de Vega, viceré di Sicilia, l’ambasciatore francese presso la Sublime Porta, d’Armon, invitò Solimano II a considerare la vicenda come una infrazione della tregua tra Asburgo e ottomani, conclusasi dopo la Pace di Crepy del 1545. Il Sultano fu dunque invitato ad assalire Puglia e Sicilia, escludendo però i domini germanici perché ciò avrebbe indotto i principi tedeschi ad unirsi a Carlo V.

Questo sodalizio franco-turco creava scalpore a Roma e nelle corti cattoliche, soprattutto portava scompiglio nella Penisola italiana, così esposta alle razzie musulmane. Molti stati, fino ad allora distanti dagli Asburgo, mutarono orientamento. Parliamo anzitutto di Firenze. Cosimo de Medici capì subito che una eventuale conquista francese di Genova avrebbe aperto l’Italia al dominio dei Valois mettendo il Mediterraneo in balia della Francia e del loro alleato ottomano. Benché Cosimo avesse come moglie Eleonora de Toledo, la figlia di Pedro de Toledo, viceré di Napoli, il Medici aveva sempre cercato di restar apparentemente neutrale nel confronto tra Francia e Spagna per continuare a far prosperare la sua banca. La prospettiva di un assoggettamento della Penisola ad Enrico II però lo spinse a rivedere tale posizione politica. La faccenda era seria per Firenze giacché la nemica Siena s’era consegnata ad Enrico II e questi ne aveva affidato le difese nientedimeno che a Piero Strozzi, esule fiorentino, acerrimo nemico dei Medici. Cosimo, non stette a guardare: pur di vedere Siena soccombere, accettò di finanziare la spedizione imperiale.

La notizia della caduta di Siena in mano nemica raggiunse Carlo V impegnato all’assedio di Metz. L’Imperatore volle che il vicerè di Napoli s’apprestasse alla guerra e così fu. Tuttavia le pessime condizioni di salute di Don Pedro de Toledo lo obbligarono a nominare suo figlio Don Garcia de Toledo luogotenente della spedizione. Il vicerè raggiunse Livorno via mare, sul naviglio di 34 galee del Principe Doria con 3000 spagnoli, mentre suo figlio attraversò lo Stato Pontificio con 15000 fanti e 1000 cavalli. Il peggiorare delle condizioni di salute costrinse Don Pedro a spostarsi prima a Pisa poi a Firenze dove ritrovò sua figlia. Lontano dai luoghi della battaglia, provò a dar disposizioni ma gli fu impossibile. La morte lo colse il 22 febbraio del 1553.  Nelle fila senesi v’erano il Duca di Soma, Paolo, Giordano e Francesco Orsini, Alessandro Traulzi, Sforza Auogaro, Bartolomeo da Pesaro, Mario Santafiore e il cavalier Spinola, mentre il contingente napoletano annoverava i comandanti Sforza Santafiore, il Principe di Bisignano, Ascanio da la Cornia, Nicolo Madruzzo e Alessandro Vitello, Gio. Gioseppe Bonaventura, I Duca di Popoli, col ruolo di Generale di Cavalleria, e Camillo di Bartolomeo Chiccoli, della Famiglia Lanfranca, di cui leggiamo: “fu capitano di grandissimo nome, passando per tutti i gradi della militia, si ritrovò nella guerra con Alessandro Vitelli, poi col Generale Girolamo del Vecchiano, fù nell’impresa del Mondovì, del Chirasco nel Piemonte, di Pinnarolo, e d’Alba; poi dal Cibo Marchese di Massa fù mandato contro Luccehsi all’impresa di Castelnuovo de’ Turchi Capitano d’una Galea, e navigando verso la Corsica à Gianleute carcerò in battaglia Dragut Corsaro; nel palliano fù Consigliero del Generale Duca di Castro, prendendo quella fortezza, & altre. Fù Luocotenente di Silvestro Borghese; & in Genua fu Maestro di Campo del Conte Luigi Fiesco; si ritrovò in altre segnalatissime imprese, & ultimamente dal Gran Duca fù mandato à governare la fortezza di San Carvano capitano di 400. fanti. S’unì col Marchese di Marignano a Martiano, che con altri Capitani ricuperò Monte Catino preso da Pietro Strozzi, col quale havendo attaccato il fatto d’arme hebbe lo Strozzi quella rotta notabile, con tanta mortalità de Francesi, che fù causa della presa di Siena, dove per quattro mesi Camillo vi dimorò, con la sua soldatesca, e di là con 600. fanti fù mandato dallo stesso Gran Duca ad Arezzo, & à Valiano ricuperò il ponte occupato dà Francesi d’ivi cacciàdogli; guadagnò Crucoli, e gli smantellò le muraglie; per ordine del detto Marchese fece presso, che infinite altre prove del suo valore, e ricevè molte gratie dalla Serenissima casa de Medici, e fù alla fine la sua vita vinta dalla morte, per non morir mai il suo nome nell’anno 1575” (Carlo de Lellis, Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli).

I napoletani, cominciate le ostilità nelle parti della Val di Chiana, costrinsero alla resa il presidio di Monticchiello, dopo un assedio di diciotto giorni. Le truppe conquistarono le roccaforti senesi di Buonconvento, Castelmuzio, Montefollonico, Petriolo, Pienza, Rigomagno e Trequanda. Presero pure Lucignano ma non riuscirono ad avere la meglio del presidio di Montalcino. Le cose andavano per le lunghe e, da un lato, per Cosimo era un male perché, come finanziatore, avrebbe pagata cara quella spedizione, dall’altro, per Carlo V l’impegno imperiale su più fronti stava rendendo insostenibile l’impresa. A peggiorare le cose si misero i turchi che continuavano a minacciare le coste del Regno di Napoli e ciò indusse le armate imperiali a ritirarsi. Il loro ritiro offrì a Cosimo la possibilità di giocare un ruolo da protagonista nella partita.

Così Firenze chiese a Carlo V il permesso per muover guerra a Siena. Cosimo ottenne l’accordo imperiale, truppe e la promessa del rimborso dei costi della spedizione: iniziò la seconda fase della Guerra di Siena.

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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