I Bizantini visti da vicino. Intervista a Nicola Bergamo

Nicola Bergamo è esperto di Storia Bizantina e direttore scientifico della rivista internazionale di studi bizantini Porphyra. Ha pubblicato “Costantino V. Imperatore di Bisanzio”, “Irene, Imperatore di Bisanzio” e diversi altri testi ed articoli a carattere scientifico. Lo ringraziamo per la disponibilità con cui ci ha concesso questa intervista.

Solitamente si legge che le origini di Venezia siano dovute alla fuga delle popolazioni dell’entroterra veneto in seguito alla calata degli Unni in Italia. Lei invece le colloca nell’ambito della migrazione longobarda. Cosa può dirci in merito? Quali furono dunque le tappe salienti del rapporto tra Venezia e Bisanzio?

La leggenda narra, sia da parte bizantina sia da parte veneziana, che Venezia nacque dalle ceneri di Aquileia distrutta dalle orde di Attila. Come tutte le leggende anche questa ha una base di verità, ma qual è? La risposta è abbastanza complicata perché necessita di dovute premesse. Le fonti che sono giunte fino a noi provengono sostanzialmente da uno scritto del X secolo, quindi ben più tardo del periodo migratorio. Parimenti, anche la fonte bizantina riporta la stessa notizia e il periodo è il medesimo. È verosimile, quindi, che i Veneziani residenti in Costantinopoli oppure mercanti che lì avevano interessi economici, abbiano riportato la leggenda tramandata da padre a figlio della nascita mitica della loro città.

Questo è un atteggiamento abbastanza normale, ogni civiltà cerca di costruirsi, e quasi sempre a posteriori, dei natali nobili. Così fece anche Venezia che si inventò la data del 25 marzo del 421 con la fondazione della prima chiesa, chiamata in veneziano San Giacometo (San Giacomo di Rialto) da parte di un carpentiere di nome Candioto. Ovviamente questo risulta essere impossibile visto che la zona Rivoaltina era ancora disabitata e la prima costruzione in laguna, sebbene anch’essa ammantata di leggenda, è ascrivibile al Patrizio bizantino Narsete che donò una chiesa assieme al santo patrono, San Teodoro, alla nascente comunità venetica. Siamo però nella seconda metà del VI secolo in piena fase di ricostruzione voluta fortemente dall’Imperatore Giustiniano dopo la riconquista della penisola italica.

La fase propulsiva alla nascita della futura Venezia fu l’arrivo dei Longobardi nel 568 che, a differenza di altri popoli, vennero in Italia per rimanervi in pianta stabile. Secondo molti storici fu questo che portò alla migrazione forzata da parte delle genti latine che abitavano i grandi centri della regione romana Venetia et Histria (all’incirca moderno Veneto, Friuli-VG, parte della Lombardia). Da questo nuovo smottamento sociale e urbanistico vennero impiantati i semi per la nascita della seconda Venezia, quella più piccola e certamente più famosa.

La nuova comunità lagunare rimase sempre legata a Bisanzio perché faceva parte integralmente del suo Impero. I Longobardi conquistarono quasi tutto l’entroterra, ma diverse zone della penisola, specie la costa, rimasero sotto il controllo imperiale. Fu grazie a questo rapporto simbiotico che Venezia crebbe nei secoli e divenne poi una seconda Costantinopoli. Fu l’Impero a proteggerla durante l’invasione longobarda e poi dopo l’arrivo dei Franchi e Carlo Magno, sebbene a Venezia vi furono sempre due fazioni, una filo-occidentale e una filo-orientale. Quest’ultima riuscì ad imporsi nella quasi totalità dei fatti, permettendo alla comunità lagunare di rimanere ancorata alla tradizione bizantina. Gran parte dei titoli aulici dei duces venetici sono di matrice imperiale, così come quasi tutti i proto-dogi del VII e VIII secolo. Bisognerà attendere diversi secoli affinché Venezia si emancipasse totalmente. Io ho trovato nel 1082 una data credibile per la separazione consensuale tra le due entità ormai distanti da molto tempo. I dettagli sono descritti nel mio nuovo libro “Venezia bizantina” (Helvetia, Venezia 2018).

Ha dedicato un suo studio ad Irene d’Atene, moglie di Leone IV, che, dopo aver fatto ammazzare suo figlio Costantino VI, fu imperatrice di Bisanzio dal 797 all’802. Quale fu il suo rapporto con l’Italia e la Roma del pontefice?

Si, ho scritto un libro che porta il titolo molto polemico di “Irene, Imperatore di Bisanzio”. Perché? Perché Irene fu la prima donna ad ergersi a capo dell’Impero e per questo dovette scegliere un titolo maschile. Al tempo non vi era la possibilità di fare altro, ma fu donna a tutti gli effetti. Dopo un lungo periodo come tutrice dell’erede legittimo Costantino VI, decise si sbarazzarsi del figlio, sebbene pare non fosse sua intenzione ucciderlo. L’abbacinamento al quale il giovane Imperatore fu sottoposto ebbe risvolti negativi che portò alla morte precoce. Irene così divenne unica a poter tenere lo scettro e lo fece con una forza inaudita.

L’Impero di Bisanzio ebbe uno stretto legame con l’Italia durante il governo di Irene. Fu lei a volere una spedizione militare contro il neo nato principato di Benevento, appena assurto a protettore delle gens longobarde in fuga da Pavia dopo la conquista franca. In testa a questa spedizione fu messo Adelchi che comandò un contingente imperiale molto importante. I vascelli salparono da Costantinopoli e attraccarono in Calabria, ancora sotto il dominio bizantino. Quando il figlio del re Desiderio si trovò ad ingaggiare battaglia contro i “cugini” beneventani fu una strage. Irene pensava che la forza legittimista avesse la meglio, invece Adelchi fu visto come un burattino in mano imperiale e fu ucciso dai suoi stessi compaesani longobardi. Benevento scelse così l’Impero dei Franchi e si schierò apertamente contro quello di Costantinopoli. Dopo questa débâcle, Irene lasciò ogni tentativo di riconquista della penisola.

Se dal punto di vista militare le cose non andarono per il verso giusto, posso affermare che a livello religioso Irene si dimostrò molto più capace, specie per quanto concerne il rapporto con il Patriarca di Roma. Ebbene, grazie alla ferma volontà imperiale, fu convocato un nuovo Concilio Ecumenico, che si chiamerà Nicea II (787), dove la diatriba iconoclasta fu definitivamente eliminata a favore del ritorno delle immagini sacre. Roma e Costantinopoli, assieme alle altre sorelle, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, si riabbracciarono e permisero una pace religiosa. Per questo motivo Irene divenne Santa, almeno per la Chiesa Ortodossa.

 

Un’altra sua pubblicazione è dedicata al suocero di Irene, Costantino V Copronimo, imperatore dal 741 fino alla morte, sopraggiunta nel 775. Anche in questo caso, concentriamoci sui rapporti di Bisanzio con l’Italia, è infatti sotto il suo impero che i Longobardi occuparono Ravenna, capitale dell’Esarcato e simbolo del potere bizantino in Italia.

Il governo di Costantino V fu per molti anni sottostimato dagli studiosi moderni per via della sua scelta religiosa di abbracciare l’iconoclastia. Un tempo vi erano solo le fonti iconodule (coloro che adoravano le immagini e per questo in forte contrasto con l’Imperatore) che scrissero la storia di Bisanzio, lasciando così un’immagine pessima del Basileus. È ovviamente compito dello storico cercare di far luce anche negli angoli più bui degli avvenimenti passati e così mi sono cimentato a donare un nuovo punto di vista.

Costantino V riuscì a ristabilizzare la presenza imperiale in Anatolia e nella penisola balcanica. Il suo vigore permise a Costantinopoli di rinascere e di tornare ad essere quello stato temuto e rispettato nell’area medio-orientale. Eppure, durante il suo governo, ci fu la perdita di Ravenna, antica capitale imperiale e poi esarcale. Non furono cause religiose ma solo impossibilità militari. Tutti i soldati validi erano stati utilizzati nelle campagne contro gli Arabi prima e contro i Bulgari poi. Quest’ultime avevano impegnato la quasi totalità dei reggimenti tematici, ossia quelli dei “coscritti”, tanto che lo stesso Imperatore introdusse il servizio volontario che permise l’istituzione dei primi contingenti professionisti chiamati “Tagmata”. In Italia però le truppe esarcali erano davvero esigue e i Longobardi, spinti dalla forza del loro sovrano Astolfo molto attivo militarmente, riuscirono a conquistare facilmente Ravenna sancendo la fine del governo imperiale in quella zona. Enclave rimasero, come accadde per il ducato venetico, oppure come gran parte dei themata (così si chiamavano le regioni militarizzate a Bisanzio) del sud della penisola italica, sotto il comando imperiale.

L’Esarcato fu però una conquista davvero effimera perché da lì a qualche anno il regno longobardo venne conquistato dai Franchi. Grazie alla nuova alleanza tra Aquisgrana e Roma, i territori appartenuti all’Esarcato passarono sotto il controllo diretto del Patriarca di Roma che così diventò un sovrano. Costantino tentò la carta politica, cercando di ri-ottenere le antiche terre tramite Carlo, ma non vi riuscì. Così si spostò tra i suoi antagonisti, i vari duces ribelli dell’antica Austria longobarda (odierno nord-est della penisola italiana) che mal sopportavano il nuovo capo. La battaglia della Livenza fu l’ultimo atto di resistenza degli antichi sovrani al potere carolingio. Per alcune fonti, specie quelle franche, Carlo distrusse la resistenza, per altre, quelle longobarde, il nuovo sovrano fu costretto a scendere a compromessi e accolse alcune istanze dei duchi ribelli. Costantino aveva chiesto le terre romane (odierna Romagna proprio per questo motivo) in cambio di aiuti economici ai capi dell’Austria. Non finì bene, ma anche in questo caso l’Imperatore non aveva dimenticato gli antichi domini ravennati.

Infine, ci può fornire d’uno sguardo d’insieme sul Catapanato con sede a Bari?

Il Catepanato fu un tentativo ben riuscito di riunificare tutti i territori imperiali nel sud della penisola italica. La riconquista imperiale iniziò con Niceforo Foca detto il Vecchio per differenziarlo poi dal Giovane che divenne Imperatore e conquistatore di Creta. La grande spedizione militare iniziata nella seconda metà del IX secolo fu architettata da Basilio il Macedone grazie ad una importante disponibilità economica e militare. A differenza di altri tentativi, questa volta ci si focalizzò sul buon rapporto con le etnie locali in gran parte di lingua o dialetto greco. Parlo delle coste dell’odierna Calabria, Puglia e Basilicata. Niceforo fu in grado di riconquistare gli antichi temi di Calabria, Puglia, unificandoli, per poi lanciarsi alla conquista di Benevento, al tempo ricchissimo e prestigioso principato longobardo. La città del vento fu conquistata da parte degli imperiali ma non riuscirono a mantenerla per via di dissapori interni e della cronica mancanza di uomini validi alle armi. La capitale del principato tornò in mano longobarda quasi subito ma fu notevolmente ridimensionata. Vista la grande importanza che Bari ricopriva per quelle terre, il governo imperiale decise di ricostruirla in gran parte e di attribuire alla città l’importante ruolo di capitale dei domini imperiali in Italia. Successivamente, grazie ad un’importante riforma amministrativa, Bari subì un restyling completo e fu presa come esempio l’antica sede esarcale di Ravenna, tanto che il palazzo del nuovo funzionario, il Catepano, non era così dissimile da quello dell’Esarco.  Il Catepano era a tutti gli effetti il rappresentante dell’Imperatore in Italia tanto da essere nominato tra i più meritevoli della sua cerchia. Governava mantenendo i poteri militari e politici nelle sue mani, così poteva velocemente intervenire sui conflitti locali senza chiedere aiuto alla capitale. La sua unica prerogativa era di non essere legato all’élite locale per evitare così di esserne influenzato in qualche modo, per questo motivo i Catepani erano quasi sempre di origine orientale.

Grazie a questa nuova figura, i territori sottoposti all’Impero rimasero uniti a Costantinopoli fino al 1071 quando caddero per mano normanna. Il legame con la Nuova Roma non si spezzò mai, Ruggero II re del nuovo regno costruito sulle ceneri dei domini imperiali e longobardi, mise le basi del futuro regno di Napoli (e del successivo Regno delle Due Sicilie). La lingua greca rimase importante per un lungo periodo così come la forma di governo e l’arte. I re normanni si ispirarono a Bisanzio per costruire le loro dimore e le loro chiese, unendo la bellezza dell’oro e del mosaico alla loro tradizione nordica, riuscendo nell’unica impresa non riuscita agli Imperiali, far tornare nell’alveo territoriale la ricca e sempre amata Sicilia.

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