I genovesi e le Canarie

Già fin dal secolo XIII i navigatori genovesi provarono a navigare attorno alle coste d’Africa per provare ad approdare nelle Indie e fu così che scoprirono le Canarie.

Tedisio Doria e i fratelli Ugolino e Guido Vivaldi, nel 1280, usciti dallo stretto di Gibilterra con due navi, la Sant’Antonio e l’Allegrancia, costeggiarono l’Africa e toccarono le Canarie. Avevano a bordo numerosi genovesi e due francescani. Una delle due navi naufragò presso la Guinea, l’altra giunse Capo di Buona Speranza e poi sino in Etiopia. Almeno questo è quanto poté ricostruire nel 1455 il navigatore Antoniotto Usodimare che incontrò in Senegal gente che capiva e parlava il genovese e diceva di discendere dai superstiti di questa spedizione.

Questo tentativo è confermato da altro scrittore Pietro d’Abano, in Conciliator Differentiarum, quœ inter Philosophos et Medicos Versantu, che scrisse: “Or sono pochi anni due galere genovesi provvedute di ogni cosa necessaria al viaggio, traversarono lo stretto di Gibilterra”. Ma ulteriori notizie non se ne hanno. Tuttavia una carta cosmografica genovese del 1455, opera di Bartolomeo Pareto, mostra anche le Canarie, e questo è più che un indizio.

C’è da supporre che il nome Allegrancia, che ancora oggi porta una delle isole dell’arcipelago, sia dovuto all’imbarcazione genovese che giunse in quelle terre, così come l’altra isola chiamata Lanzerotta potrebbe aver assunto il nome dal genovese Lanzerotto Marocello, come appare sulla carta di Pareto dove, sotto il vessillo genovese, l’isola Lanzerotta reca scritto “Maroxello Lanzerotto, Januensi”. Il Lanzerotto sicuramente raggiunse le Canarie nel viaggio che i genovesi organizzarono nel tentativo di trovare Doria e i fratelli Vivaldi. Il portolano di Angelino Dulcert, del 1339, fu il primo a registrare l’isola col nome di Insula de Lanzarotus Marocelus.

Fatto sta che la voce dell’esistenza di queste isole si diffuse presso corti e letterati. Così il Petrarca in De Vita Solitaria fa cenno alle Canarie: “Ne eccettuo le Isole Fortunate, poste all’estremo occidente, come quelle che sono a noi più vicine e più conosciute, lontanissime dalle Indie e dal Polo e da molti scrittori ricordate, e primieramente dalla musa lirica di Fiacco. Colà a memoria dei padri nostri approdava una squadra armata di Genovesi, e Papa Clemente VI di recente investiva della sovranità di quelle isole un principe… a cui qual sorte sia toccata nel suo regno fuori dell’orbo non saprei dire. So però che di quelle isole molte cose si scrivono e si riferiscono, dalle quali si palesa quanto poco loro convenga il nome di Fortunate. Del resto le genti elio l’abitano paiono compiacersi nella solitudine, sono di costumi selvaggi e poco dissimili dalle bestie, per cui più per istinto di natura che per elezione non vive solitaria ma erra per le solitudini in mezzo alle fave ed in compagnia dei propri armenti”. Tali voci furono all’origine di successive spedizioni, non a caso affidate a genovesi.

Nel 1317, Dionigi, re del Portogallo, nominò come suo ammiraglio Emanuele Pessagno, nelle fonti indicato come Manuel Pessanhao, di nobile schiatta genovese, coll’obbligo di tener costantemente sotto i suoi ordini venti ufficiali genovesi per dirigere esplorazioni lungo la costa dell’Africa. Il Pessagno comandò personalmente le navi portoghesi che raggiunsero le Canarie, Madeira e le Azzorre e fu anche responsabile della preparazione dei primi documenti cartografici di queste isole. I suoi servigi furono così apprezzati che i suoi discendenti seguitarono a godere dell’alto ufficio fino a Lancellotto Pessagno, ultimo della famiglia che ebbe, nel 1448, il grado di ammiraglio da Alfonso V.

Nuovamente un navigatore genovese mise piede nelle Canarie nel 1341 quando Alfonso IV di Castiglia affidò due navi a Nicoloso da Recco ed al fiorentino Angiolin del Tagghio. Queste imbarcazioni salparono da Lisbona e dopo alcuni giorni di navigazione per l’Atlantico, trovarono le Canarie venendo in contatto con quelle popolazioni e portano con sé a Lisbona quattro indigeni ed una statua raffigurante un uomo nudo con una palla in mano. Durante il loro viaggio ammirarono anche il vulcano di Tenerife con la sua colonna di fumo biancastro. Di questa spedizione parlò Boccaccio in un racconto dal titolo De Canaria et insulis reliquis ultra Hispaniam in Oceano noviter repertis, in cui scrisse che l’avventura nelle Canarie non fu affatto fruttuosa dal punto di vista economico e fu forse per questo che le isole tornarono dimenticate.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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