I signori medievali di Lauro

Il vallo di Lauro, per la sua posizione strategica tra l’Irpinia e la pianura vesuviana, finì al centro delle discordie signorili e del fammentarismo altomedioevale, fu infatti un territorio a lungo conteso, e aspramente combattuto, dai principi longobardi di Benevento, Salerno e Capua. Entrò a far parte del principato beneventano nel 581, passò a Salerno nel l’849, in forza del Capitolare di Radelchi, poi fu possesso dei capuani, a partire dal 1076. Alla morte di Riccardo di Capua, nel 1106, il vallo passò ai normanni della famiglia Sanseverino.

A Ruggero I, figlio del normanno Turgisio di Rota e marito della longobarda Sikelgarda, succedé suo figlio Roberto. Ambedue i signori sostennero l’incardinamento religioso della contea di Lauro, con donazioni ai cenobiti benedettini di San Giacomo di Lauro, di Sant’Angelo di Taurano, della Madonna delle Grazie di Domicella. Tra le numerose donazioni fatte da donna Saracena, moglie di Roberto, risultano alcune indirizzate al monastero benedettino di San Lorenzo di Aversa e anche all’abbazia di Montevergine, con l’intento di affidare la protezione delle proprie terre ad un illustre ente religioso. Roberto II fu signore di Caserta, Lauro, Solofra e Serino, nel 1163 divenne Conte di Caserta e si vide assegnare numerosi altri feudi da Guglielmo I. Da lui ebbe origine il ramo dei Sanseverino di Lauro quando assegnò in eredità a Guglielmo, uno suoi dei figli, la contea di Caserta ed i feudi di Lauro e Striano. Proprio Guglielmo visse abitualmente “in castello Lauri intus in palacio eiusdem castelli”, tuttavia il suo non fu un periodo facile. La lotta di successione tra l’Imperatore Enrico VI, marito di Costanza d’Altavilla, e Tancredi, conte di Lecce, espose i suoi fedi ad occupazioni militari e saccheggi. Morì senza vedere la risoluzione della guerra, lasciando tutto a suo figlio Roberto che patteggiò per Ottone IV e tardivamente rese omaggio agli svevi. L’unico figlio di Roberto, il conte Tommaso Sanseverino, fu convocato in Sicilia, nel 1223, da Federico II, per la guerra contro i saraceni, ma venne fatto arrestare per il suo appoggio ad Ottone IV, in seguito liberato, fu costretto ad allontanarsi dal regno, lasciando in ostaggio figli e nipoti a Federico II. La contea di Caserta e quella di Lauro finì a sua moglie Siffridina e poi a suo figlio Riccardo che, pur cresciuto in ostaggio a Capua, fu sempre nelle grazie dell’imperatore, benvoluto sino al punto da giungere a ricoprire l’incarico di consigliere e vicario generale del regno. Alla morte dello Stupor Mundi, si avvicinò però ai pontefici e venne prima osteggiato e poi perdonato da Corrado IV nel 1253. Ottenne feudi e incarichi di rilievo anche sotto Manfredi. Fu Capitano generale al di qua del faro ed organizzò le difese del regno in previsione dell’imminente invasione di Carlo d’Angiò, fu allora il papa, Alessandro IV, a scomunicarlo, anzi, tra le condizioni per la sua investitura a re di Sicilia, Carlo d’Angiò si vide imporre apertamente la cessione di Caserta e Lauro alla Chiesa. A quanto pare però Riccardo favorì l’ingresso in Terra di Lavoro degli angioini e, nella Battaglia di Benevento, passò al loro campo, solo così restò proprietario dei suoi feudi, morendo nel 1267. Anche suo figlio Corradello ebbe un atteggiamento ondivago: si ribellò a Carlo d’Angiò, autonominandosi capitano generale per conto degli svevi e facendo insorgere numerose città di Terra di Lavoro, per essere poi costretto a darsi alla macchia dopo la decapitazione di Corradino di Svevia. Il 10 ottobre del 1268, invitato da Guglielmo Stendardo a presentarsi a Capua, in curia, per prestare giuramento di fedeltà agli angioini e rientrare in possesso della sua contea, fu invece arrestato e relegato, insieme ai suoi familiari, prima a Trani, poi a Castel del Monte. Perdonato da Carlo II, si spense nel 1307 senza lasciare figli.

Così scomparve il ramo di Lauro della famiglia Sanseverino e la contea, dopo un breve periodo che la vide sottoposta a Federico de Laisalto, balzò da un titolare all’altro, in possesso di Guglielmo Belmonte, Grande ammiraglio del regno e vicario generale in Sicilia, poi di Roberto di Bouogne, ancora di Leonardo, cancelliere di Acaya e maestro Razionale della Gran Corte, e infine a Bertrando del Balzo, a suo figlio Ugo e poi a sua nipote Sveva che, sposò un Orsini.

Roberto, figlio di Romano Orsini, conte di Nola, signore di Avella e Atripalda e Gran Giustiziere del Regno, fu il capostipite di quella progenie che restò titolare di Lauro dal Trecento sino al 1541. Niccolò Orsini, figlio di Roberto e Sveva, fu tra i più validi sostenitori di Carlo III d’Angiò-Durazzo. Uomo di grandi abilitò diplomatiche e cultore delle arti, ottenne da Urbano V l’approvazione della regola dell’Ordine Brigidino Sanctissimi Salvatoris, istituì il Collegio delle Rocchettine di Sant’Agostino a Nola e Lauro e  il convento di San Giovanni del Palco a Taurano. Suo nipote Pirro, fu spodestato da re Ladislao, dopo un lungo assedio a Nola, durato diciotto mesi. Raimondo, primogenito di Pirro, risollevò le sorti del casato sposando Isabella Caracciolo, sorella del Gran Siniscalco Sergianni, e riuscì ad ottenere dalla regina Giovanna II i beni che erano stati confiscati al padre. Si oppose però a Renato d’Angiò e combatté a fianco di Alfonso I d’Aragona, sposandone la sorella Eleonora, in seconde nozze. Ottenne così la terra di Scafati, il principato di Salerno, il ducato di Sarno e quello di Amalfi e, per di più, il fondaco del sale di Salerno. Dopo la morte di Felice Orsini, figlio primogenito di Raimondo, fatto sparire insieme ai fratelli Daniele e Giordano, da Ferrante d’Aragona, la contea di Lauro fu consegnata a Giovanni Antonio Orsini, principe di Taranto.

Orso Orsini, figlio di un fratellastro di Raimondo, partecipò alla Congiura dei Baroni e si distinse nella Battaglia di Sarno, tuttavia rinnovò infine la sua obbedienza agli aragonesi e riottenne i suoi feudi. I suoi feudi vengono divisi tra i suoi figli naturali, Raimondo e Roberto, ma Alfonso d’Aragona li spodestò e li fece incarcerare. Dopo dieci anni di prigionia, i due furono liberati da Ferrante II e reintegrati nei loro possessi. Lauro passò allora agli Orsini di Pitigliano, passando da Niccolò III a suo nipote Enrico, a cui si deve la costruzione del Santuario di Santa Maria a Parete a Liveri.

Enrico Orsini appoggiò però Francesco I di Francia contro Carlo V e morì privato dei suoi beni, proprio mentre i soldati imperiali stavano entrando a Nola. La casata si estinse e Nola venne incorporata nel Demanio Regio, mentre Maria Sanseverino, moglie di Enrico, riuscì ad ottenere Lauro. Soggiornò nella cittadina, ma travolta dalle ristrettezze economiche si spostò a vivere a Napoli e vendette la contea ai Pignatelli nel 1541.

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: G. Buonfiglio, I Signori della Valle di Lauro, di Longobardi ai Lancellotti

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