I tercios visti da vicino. Intervista ad Hugo A. Cañete

I tercios dominarono i campi d’Europa per più di un secolo e mezzo divenendo simbolo dell’impero spagnolo. Ne parliamo con lo studioso Hugo Álvaro Cañete autore di numerosi volumi di storia militare, tra i quali Los Tercios en el Mediterráneo, La guerra de Frisia, Los Tercios de Flandes en Alemania e, per la collana di Quaderni di Historia Regni, del saggio “Brasile 1625: Il Tercio Viejo di Napoletani di Don Carlo Caracciolo, Marchese di Torrecuso. Perdita, assedio e recupero di Salvador di Bahia”, inserito nel testo Condottieri e Battaglie della Napoli Spagnola. Lo ringraziamo per averci concesso questa intervista.

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Può parlarci della vicenda militare che, nella storia dei tercios spagnoli, le sembra la più avvincente?

Durante i due secoli in cui queste unità di combattimento operarono al servizio della monarchia ispanica, ci sono innumerevoli fatti di armi che sono gloriosi e alquanto stupefacenti. Cronache e trattati sono a mio parere fonti inesauribili, che in gran parte sono ancora ignorati dal grande pubblico, vale a dire, a livello divulgativo, e certamente ci sono molti altri fatti d’arme che non sono ancora usciti dal mondo accademico. Di quelli noti, credo che valga la pena citare il sito di Castelnuovo del 1539. Sia per il valore mostrato sia per la grandezza degli eventi. Non era una squadra di soldati, o di una compagnia… nemmeno d’un’azione eccezionale nell’ala o nel centro di una battaglia o di un assalto ad un muro durante l’assedio di una fortezza. È la difesa a tutti i costi di una piazza in territorio nemico e isolato, fino all’ultimo uomo, di un tercio di fanteria completo con 3500 uomini. La piazza di Castelnuovo, oggi in Herceg Novi in Montenegro, era un luogo strategico sulla costa dalmata che è stato occupato nel 1538 da parte della flotta della Lega Santa dopo la prima battaglia navale della Preveza. Una volta che la squadra si ritirò, l’enclave fu salvata dal tercio di Sarmiento, che fu creato nella stessa piazza con le compagnie di molti dei tercios che furono spediti.
La Lega Santa cadde a pezzi e la guarnigione di Sarmiento restò isolata a Castelnuovo per tutto l’inverno e la primavera dell’anno successivo, senza possibilità di essere evacuata, perché in quel periodo il dominio sul mare era ottomano. Avrebbero potuto tentare di fuggire lungo la costa fino al territorio veneziano, che non era lontano, o fuggire disperatamente a nord alla ricerca dei territori austriaci dell’imperatore Carlo V. Ma i suoi ordini erano di mantenere quella piazza e lì sono rimasti. All’inizio dell’estate furono assediati da due eserciti ottomani, uno per mare, dalle galee del Barbarossa, e un altro da terra, che insieme contavano circa 50.000 uomini e una pesante artiglieria d’assedio. Nonostante fosse in totale inferiorità, il tercio di Sarmiento arrivò a fare due grandi sortite, una delle quali fu una cosiddetta “incamiciata”, che causò il panico nel campo turco e costrinse la guardia del Barbarossa ad evacuare. In entrambe le sortite ci fu un gran numero di morti tra i nemici. Barbarossa tentò con ogni mezzo di accordarsi per una resa onorevole, sapendo che la vittoria poteva essere molto costosa, e per questo parlò con il guardiamarina Garci Mendez, un fidato soldato di Sarmiento. Barbarrossa dispiegò tutte le sue capacità per cercare di ottenere la resa, e fu allora che l’alfiere spagnolo rifiutò: “Vostra Altezza sa che non avrò il coraggio di dire al mio maestro di campo l’idea della resa…”.
Rifiutata la resa, gli spagnoli si difesero da tutti gli assalti e poco a poco le loro compagnie vennero decimate. Quando le mine demolirono la cittadella settentrionale della piazza e il nemico attaccò, i sopravvissuti si ritirarono nella cittadella meridionale del porto. Sarmiento morì lì combattendo con i suoi uomini. Alla fine dell’assedio, che durò poco più di due settimane, c’erano solo 200 sopravvissuti, la maggior parte feriti in ospedale e donne che furono fatte prigioniere. Un capitano distinto come il basco Machín de Munguía fu decapitato per volere del Barbarossa quando si rifiutò di diventare un rinnegato e di servire il Sultano. Il tercio era scomparso, ma al Barbarossa tutto ciò era costato 24.000 dei suoi uomini migliori. Tale fu la sconfitta dell’esercito ottomano nella sua vittoria che dovette sospendere le sue operazioni nel resto dell’anno e per tutto l’anno seguente, ciò permise alle potenze cristiane di respirare. Nella cronaca degli Annali di Aragona di Diego Dormer, è riportato che 25 anni dopo, i prigionieri sopravvissuti di Castelnuvo riuscirono a fuggire in una galea e tornare sulle coste spagnole. L’evento è stato cantato in tutta Europa, un fatto epico. Ed è vero che lo fu.

Cosa rese i tercios superiori alle fanterie degli altri paesi?

Secondo me ci sono tre ragioni che hanno reso praticamente invincibili i soldati dei tercios. In primo luogo un codice d’onore e un comportamento molto alto, a mio parere, questo parte dalla società della “Reconquista” che aveva combattuto per secoli contro i musulmani nella penisola, in uno stato di guerra quasi permanente. È qualcosa che ha permeato tutti gli aspetti della vita quotidiana e che ha prodotto una fede straordinaria, determinazione e capacità di recupero. In secondo luogo, il valore dei soldati. Essere un soldato era volontario e si considerava un lavoro rispettato, dal momento che era al servizio del re. Una uscita per migliaia di hidalgos [bassa nobiltà] o per secondogeniti di famiglie nobili, incluso gente comune come Francisco Verdugo, che ha visto nella professione militare una vita di reputazione e il benessere economico. Questo impiego prevedeva anche un buon livello di istruzione. È sorprendente leggere nelle cronache l’alto livello intellettuale dei soldati, che fanno confronti costanti con scritti di autori dell’antica Roma, e persino parabole e metafore con elementi della mitologia romana. È noto che un esercito composto da persone con un alto livello di istruzione combatte molto meglio degli ignoranti e degli analfabeti di cui gli eserciti degli stati dell’Europa settentrionale e orientale erano in gran parte composti. In terzo luogo, il suo modo di fare la guerra. Avevano inventato la concentrazione delle armi da fuoco con le compagnie di spingardieri, e più tardi di archibugieri, del Grande Capitano. Per garantire la protezione a cielo aperto, hanno adottato il sistema di picche svizzere copiato dalla falange di Alessandro, e così sorse il tercio, un’unità di armi combinate: un quadrato (squadrone) che poteva muoversi di sessanta passi al minuto mantenendo una potenza di fuoco continua. Uno quadrato che non vacillava, come si può vedere nel caso di Rocroi con l’artiglieria francese che sparava a bruciapelo a tercios imperturbabili. Persone che entravano in uno scontro di picche senza impensierirsi, che non avevano rivali nell’uso della spada e del pugnale, che attaccavano giorno e notte, che non si arrendevano. Tutto ciò deve aver avuto un effetto demoralizzante sui nemici.

Quale fu il ruolo dell’Italia e degli italiani nei tercios?

Il ruolo dell’Italia fin dall’inizio è stato fondamentale. Tenete presente che parti dell’Italia contemporanea, come la Sicilia o la Sardegna, erano appartenute alla Corona d’Aragona da secoli. Inoltre, soprattutto a sud, a Napoli, il rapporto tra la gente d’armi napoletana e l’esercito spagnolo fu straordinario sin dai tempi del Grande Capitano e ci fu una eccellente integrazione. Non solo possiamo vedere i membri della famiglia genovese dei Doria indossare la croce di Santiago nelle incisioni d’epoca, ma anche un curioso caso di fusione tra italiani e spagnoli. E’ facile incontrare nelle cronache personaggi con un titolo nobiliare italiano però col nome spagnolo, o con titolo nobiliare spagnolo però con nome italiano, o con titolo nobiliare italiano portato da uno spagnolo il cui figlio era italiano, come è il caso dei Marchesi del Vasto. E succede anche con semplici soldati. Poi Francisco Balbi de Correggio si dichiara soldato spagnolo nella sua cronaca nonostante la sua origine italiana.
Col passare del tempo, ciò che all’inizio erano definiti tercios di italiani, cominciarono ad avere più connotazioni, ad esempio, nel XVII secolo si iniziò a parlare propriamente di tercios di napoletani, pur essendo di nazionalità italiana. I tercios di napoletani cominciarono a essere considerati a tutti gli effetti come spagnoli, abbiamo a tal proposito il caso del tercio del Marchese di Campolattaro durante la guerra del Palatinato, che secondo le cronache, quando si ritirò sulla riva occidentale del Reno per salvare Kaiserslautern, poco prima della battaglia di Höscht, le spie protestanti informarono che erano gli spagnoli a ritirarsi perchè indossavano una fascia rossa. Ciò conferma che i napoletani avevano il diritto di indossare la banda rossa degli spagnoli e che, pertanto, a differenza di altri italiani, erano considerati a tutti gli effetti spagnoli. Un altro segno del grande rapporto tra spagnoli e napoletani ci è dato dal sito di Salvador de Bahia in Brasile, quando i napoletani del Marchese de Torrecuso, che erano sulla spiaggia, corsero in salita, abbandonando la loro roba sulla spiaggia, protetta appenda da una piccola guardia, pur di prestare rapido soccorso al tercio di Osorio che era in pericolo per una sortita degli olandesi.

Quale personaggio spagnolo dei tercios le piacerebbe ricordare e quale italiano?

È impossibile dirne uno. Francisco Verdugo non ha effettuato grandi campagne militari una volta che era al comando di unità di grandi dimensioni, ma è stato in grado di tenere il nord dell’Olanda per 14 anni con il suo reggimento vallone praticamente senza aiuto. Abbiamo anche Cristobal Mondragon, Francisco de Bobadilla, Sancho Dávila, Alvaro de Sande, Francisco Sarmiento, Bernardino de Mendoza, Lope de Figueroa, tutti esperti di guerra, tutti con vite da film, e figure più alte, come il duca d’Alba o Álvaro de Bazán. Dal lato italiano ci sono anche una miriade di grandi soldati del calibro di Alessandro Farnese, Ambrogio Spinola, o il marchese de Torrecuso, ma soprattutto ricorderei specialmente una figura meno nota e precedente che ben meriterebbe uno studio, Chiappino Vitelli, un toscano di gran reputazione ed esperienza che si distinse nel soccorso a Malta quando era già in età avanzata e amato dai soldati sia spagnoli che italiani. Nella lotta contro i turchi dell’11 settembre sull’isola di Malta, in un momento di difficoltà per alcune compagnie cristiane, Chiappino Vitelli non smise di incitare i suoi soldati col grido “Santiago y a ellos!”. E dopo la battaglia, uno dei capitani spagnoli, Salinas, disse davanti a tutti: “Prego Dio, signor Chiappino Vitelli, che voglia sempre permettermi di servire il mio re agli ordini di un capitano tanto valente e buono come lo siete voi, così mai mi stancherei”.

Cosa era “l’incamiciata” e in quale contesto militare si verificava?

L’incamiciata (encamisada) era un’azione notturna di disturbo nel nel campo nemico destinata a neutralizzare l’artiglieria, creare confusione, danneggiare e demoralizzare l’avversario. Per eseguirla i soldati indossavano camicie bianche sui loro vestiti e, per quanto possibile, non usavano alcuna parte di corazza per non far rumore. L’uso dell’arma bianca era preferito, e tra le armi da fuoco si trattava per lo più di pistole, da usare in ultima istanza, una volta scoperti, poiché le micce accese potevano anche tradire l’attacco. Nelle incamiciate, gli archibugieri e i moschettieri abbandonavano i loro fiaschi di polvere da sparo, i cosiddetti dodici apostoli, per il rumore che facevano quando si scontravano l’un l’altro. Ce ne furono anche di incamiciate italiane e, anche se dovrei aggiornare i dati, ricordo che erano già state fatte nel regno di Napoli durante le campagne del Grande Capitano.

Può spiegarci infine la scomparsa di questa struttura militare?

La struttura militare in sé, scomparve soppiantata dal nuovo modo di guerreggiare alla francese, prevalente in Europa, e dal cambio di dinastia dagli Asburgo ai Borboni, con le cosiddette unità “reggimenti” invece di tercios, alla maniera francese. Tuttavia, la denominazione di tercios alle unità sopravvisse nella tradizione spagnola possiamo vedere, per esempio, come le milizie sollevate a Buenos Aires per la difesa della città nel 1806-1807 contro il tentativo di invasione dell’Inghilterra, portavano i nomi di Tercio de Gallegos o Tercio de Andaluces tra gli altri. Tuttavia, al di là dei nomi, gli eserciti spagnoli soffrirono la decadenza a causa del degrado di quei principi di cui abbiamo parlato e che definivano il modo di far la guerra. Non era più possibile parlare di uomini risoluti e resistenti, istruiti e formati, he sceglievano liberamente l’esercizio della professione di soldato. Con le continue guerre e l’esaurimento dei regni, le leve erano sempre meno numerose e le reclute meno adatte. Così anche l’iniziativa andò persa e, a metà del diciassettesimo secolo, si passo a seguire e non a capeggiare la nuova rivoluzione militare che apparve all’orizzonte con il nuovo modo di combattere: la guerra in linea, che fu possibile a causa dell’apparizione della pistola a scintilla e della creazione di grandi eserciti di coscritti, un nuovo paradigma che la monarchia ispanica, con il suo decadere e la sua piccola popolazione, non era più in grado di guidare.

 

 

La foto di copertina è tratta dal volume “La guerra de Frisia: las campañas del coronel Verdugo en el norte de Flandes, 1579-1594”.

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