Il 1874 sulla stampa napoletana: dalle tre effe alle tre pi

La storia della stampa napoletana dopo l’unificazione è tutta da scrivere. In particolare la stampa dialettale. Tra i fogli dialettali spicca Lo/Lu/Il Trovatore che fu pubblicato per ben 11 anni dal 1866 al 1877. Fino al 1870 fu redatto integralmente in napoletano, poi solo qualche rubrica in napoletano, perché “dall’indole faceta il nostro giornale si è cambiata in quella affatto seria”.
Un foglio rarissimo, sconosciuto a quasi tutti gli studiosi e appassionati di storia napoletana, utilissimo per motivi linguistici oltre che per conoscere la storia dell’opposizione al regime liberale. In barba alla libertà di stampa, Il Trovatore fu perseguitato senza pietà dal fisco, ma i suoi anonimi redattori tra mille sacrifici e difficoltà riuscirono, per oltre un decennio, a far sentire la propria voce.
Questo foglio legittimista, che lottava anche con la satira contro le ingiustizie della “nuova Italia”, volle contrapporre le tre P alle tre F.
Tutti conoscono la celebre espressione che viene utilizzata per descrivere il governo borbonico di Napoli: “Festa, farina e forca”. Tale definizione la dobbiamo ad Alexandre Dumas, romanziere ostinatamente antiborbonico, che ne “I Borboni di Napoli” scrive: “Forca, Farina, Feste, diceva Ferdinando, con tre F,[… è con la forca, la farina e le feste io governo Napoli”.
Le tre P, invece, sono per i nostri anonimi amici il frutto della modernità: parlate, piangete e PAGATE.
Correva l’anno 1874 ed oggi le tre P sono sempre più attuali.

***

 

TRE F E TRE P
Con tre F. il passato governava,
Governa con tre P questo presente,
Festa la prima e ciascuna la bramava,
Farina l’altra buona per la gente.
Forca la terza, e solamente questa
Rompeva ai popoli la testa…

Ma chi restava in casa sua quieto
E godeva le prime e ognor taceva,
Un ette niun diceva e sempre lieto
Facea ciò che parevagli e piaceva,
Né la terza dell’F il tormentava,
E la vita tranquillo ognor menava.
Ma le tre P son molto tormentose
Pei poveri infelici, ed ecco il come,
Parlate, l’una, dite quante cose
Volete, né le lingue siano dome,
Parlate ognor, parlate notte e giorno,
Che del vostro parlar c’importa un corno.

Piangete, la seconda; il vostro pianto
Pei soprusi, le tasse e le igiustizie,
Non ci dà ombra affatto; sotto il manto
Della Legge facciam triste nequizie,
E il pianto ed il parlar non ci dàn noia,
Non userem per ciò Forca, né Boia.

Però la terza P rome i stivali
A quei che piangeran, parlando ognora,
La terza P racchiude tutti i mali
Anche senza la Forca in sua malora.
Pagate, essa v’esprime: interpretate
La forza della frase, del pagate.

Pagate: quanto è orribile tal detto,
Pagate, poveretti, se l’avete.
Pagate, a vostro marcio e gran dispetto,
Pagate, e se non c’è l’alma vendete
Or fate il paragon, l’ultima due
Racchiudono l’idea d’orrida lue

Ma l’antica colpiva i susurroni;
La moderna colpisce tutti quanti,
Chi parlava punivano i Borboni,
Chi tace or dee pagar, né i vi son santi:
Per ciò spiegate se le P migliori
Sono dell’F, o dan più rii dolori?

Il Trovatore, 14 marzo 1874, p. 2

 

 

 

Autore articolo e foto: Vincenzo D’Amico, editore, bibliofilo, studioso di giornali napoletani di fine Ottocento

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