Il Castello di Acaya

Le sue origini sicuramente risalgono all’età angioina quando il centro era noto col nome di Segine. Tuttavia è nel Cinquecento che Acaya trovò la sua età d’oro. Nel 1535, infatti, Giangiacomo d’Acaya, erede del nobile casato che aveva ricevuto il feudo da Carlo II d’Angiò nel Duecento, riprese i lavori di suo padre Alfonso d’Acaya che aveva già ristrutturato l’antico castrum, e vi sperimentò i principi architettonici rinascimentali.

Giangiacomo d’Acaya nacque a Napoli nel 1500 dove crebbe pienamente inserito nei circoli culturali dell’epoca, distinguendosi per i suoi studi matematici ed ingegneristici. Fu pure in prima linea, nel Salento, quando i francesi invasero il regno nel 1528 e con cinquecento soldati albanesi ostacolò l’avanzata del nemico e lo respinse.

A Segine mostrò tutta la sua perizia di valente architetto militare. Con un complesso programma ingegneristico trasformò il borgo in una piccola città fortezza, protetta da una solida cinta muraria ancora oggi visibile in più punti. Al vertice sud-occidentale del circuito murario cittadino, consegnò al castello una forma trapezoidale tipicamente rinascimentale, costruì tre baluardi ed un profondo fossato.

Al termine dei lavori, Acaya era diventato un piccolo borgo fortificato nella campagna leccese. Tra Lecce e la costa adriatica sorgeva così una città geometrica, innovativa, con un reticolo di strade rettilinee con orientamento Nord-Sud, tagliato nella sezione meridiana e alle estremità opposte da tre strade trasversali e punteggiato da tre piazze lungo la diagonale che idealmente congiunge il castello al baluardo di Nord-Est.

Nel castello oggi sono visibili cave sotto i bastioni, cucine e magazzini con forni in pietra e cisterne per la raccolta dell’acqua, nonché silos funzionali alla conservazione di granaglie. Molto affascinanti sono i resti di una chiesetta trecentesca, emersi nei recenti scavi, con un affresco rappresentante la Dormitio Virginis. Precedente alla costruzione di Giangiacomo d’Acaya è pure un frantoio ipogeo.

Il signore di Acaya attirò così le attenzioni di Carlo V da cui ottenne il titolo di Ingegnere Generale del Regno e l’incarico di ispezionare i castelli delle varie città del Regno di Napoli – con il duca di Urbino, Francesco Maria della Rovere, ed il Capitano generale del Regno, il marchese Alarcon -, al fine di fortificarli secondo i nuovi precetti dell’architettura rinascimentale e metterli in sicurezza da assalti turchi e francesi. In particolare, l’esigenza di fortificare il Salento risaliva alla fine del Medioevo quando il sacco di Otranto mostrò la brutalità degli ottomani e l’inadeguatezza dei sistemi difensivi napoletani. Giangiacomo d’Acaya si occupò quindi del castello e delle mura di Castro, di Barletta, di Copertino, Galatina, Gallipoli, Molfetta, Mola e Parabita, guidò i lavori di fortificazione a Lecce, a Crotone, ad Amantea e nel 1546 fu a Napoli dove portò a termine Castel Sant’Elmo. Giangiacomo d’Acaya però andò incontro ad un tragico destino nel 1570, quando fu arrestato per aver garantito per un debitore insolvente e morì nel carcere del Castello di Lecce che egli stesso aveva ristrutturato.

Con la morte del barone anche il borgo di Acaya decadde, tuttavia resta il più precoce esempio di applicazione dei canoni della “città ideale” nel Regno di Napoli.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: P. Leo, La città fortificata di Acaya

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