Il duca d’Alba, il viceré soldato

Il Duca di Alba è passato alla storia come uno dei personaggi più spietati e dispotici del Cinquecento. In effetti questi innegabili aspetti della sua personalità affiancarono le sue grandi capacità militari e politiche, a volte anche intaccandole. Fernando Alvarez de Toledo y Pimentel fu questo anche nei suoi anni di viceré di Napoli.

L’ascesa al soglio pontificio del napoletano Pietro Carafa col nome di Paolo IV, il 23 maggio 1555, aprì un violento conflitto nella penisola italiana: il nuovo papa condannò la Pace di Augusta con i protestanti e riversò il suo rancore contro Carlo V che anni addietro aveva accolto con ostilità la sua nomina ad arcivescovo di Napoli. Il pontefice concertò nuovi assetti politici in Italia con Enrico II di Francia e siglò, col cardinale di Lorena, un trattato che prevedeva la rimozione dell’investitura del Regno di Napoli alla Spagna concedendola invece ad uno dei figli del re francese, poi, in concistoro accusò gli spagnoli di tramare contro di lui per giustificare le sue mosse. Fu così che andarono in pezzi gli accordi di Vaucelles che avevano stabilito una tregua tra Francia e Spagna.

Ereditò suo malgrado queste grane Filippo II che, al fine di isolare il pontefice in Italia, convenne nella restituzione di Piacenza ad Ottavio Farnese, concesse Siena a Cosimo de Medici e spinse alla neutralità Venezia, tuttavia un sostenitore così potente dei francesi andava combattuto non solo con le armi della diplomazia.

Filippo II ordinò quindi al Duca d’Alba di entrare nelle terre pontificie e allora 12.000 fanti, di cui 8.000 italiani capitanati da Vespasiano Gonzaga, signore di Sabbioneta e 4000 spagnoli comandati da Garcia de Toledo,  600 lance al comando di Marcantonio Colonna, 1.200 cavalieri guidati da Giovan Giuseppe Cantelmo, conte di Popoli, e 12 pezzi d’artiglieria affidati a Bernardo d’Aldana, dapprima occuparono le enclavi papaline del regno poi irrupperò oltre confine prendendo Ceprano, Ferentino, Frosinone, Veroli e Ostia. Fu una semplicissima passeggiata. Il nipote di Paolo IV, Antonio Carafa, marchese di Montebello, tentò di sfondare la linea del Tronto, ma fu respinto dagli uomini comandati da Ferrante Loffredo, marchese di Trevico. Una tregua di quaranta giorni, la cosiddetta Tregua di Fiumicino, fu rotta quando al Tronto si presentò un numeroso esercito francese al comando del duca di Guisa. Allora il Duca d’Alba sgombrò le terre di Campagna e Marittima e rientrò nei confini. Portatosi a Napoli e lasciata la sua armata al comando del conte di Popoli, ottenne dal parlamento nuovi finanziamenti e usò quei soli per rifornimenti alle truppe e per fortificare il confine. Volutamente scelse di evitare la battaglia campale per rafforzare le difese del regno lasciando che i francesi, lontano da ogni loro base, rinunciassero all’impresa. Ebbe ragione.

L’esercito francese non aveva condizioni favorevoli. Poteva anche essere assalito alle spalle dalle truppe del Ducato di Milano e dagli alleati fiorentini, inoltre la rottura degli accordi di Vaucelles riaprì il conflitto anche nelle Fiandre. Le cose si misero male da subito per il duca di Guisa perchè un prezioso alleato italiano, Ercole d’Este, duca di Ferrara, venne meno. Il francese dovette pure fare i conti con le scarse forze messe in campo dal papa che mosse uno striminzito drappello di uomini capeggiato dall’esule fiorentino Strozzi. Con qualche incertezza, il duca di Guisa avanzò occupando Campli, Teramo e Giulianova ma fu fermato al primo vero ostacolo: Civitella del Tronto. Carlo Loffredo, figlio del marchese di Trevico, e Ascanio Sforza, conte di Santafiora, gli inflissero una sonora sconfitta spezzando il suo assedio. Quando sopraggiunse pure il duca d’Alba, il Guisa era in ritirata su Ascoli.

Enrico II intanto subiva gravi sconfitte e dovette richiamare il Duca di Guisa a Parigi, dopo la disfatta di San Quintin. Il viceré di Napoli però non volle infliggere un duro colpo al pontefice, ma solo incutere timore, come gli aveva ordinato Filippo II. Tornò quindi ad invadere la Campagna e il 27 agosto lasciò pure che Ascanio della Corgna tentasse un assalto a Roma da Porta Maggiore con 300 archibugieri. La guerra si concluse ignominosamente per la Santa Sede. Senza il sostegno francese, le truppe papali furono sopraffatte dagli spagnoli ed il duca d’Alba entrò vittoriosamente a Roma nel settembre del 1557.

Gli abitanti di Civitella del Tronto, che avevano resistito valorosamente all’assedio francee, furono premiati con una larga esenzione dalle imposte, il conte di Popoli divenne duca e Fernando Alvarez de Toledo y Pimentel ottenne un donativo di 150.000 ducati da Filippo II.

Il duca d’Alba lasciò poche tracce come governatore perchè fu soprattutto un uomo d’armi e per queste qualità era stato assegnato a Napoli in un momento in cui le vicende politiche internazionali facevano presagire che ci fosse bisogno di un soldato come lui. Fu spesso assente dalla capitale, spesso fuori dal regno, lasciando al suo posto il figlio Fadrique. Tuttavia il suo carattere rigido e impietoso si palesò nelle poche disposizioni lasciate: la pena di morte per i falsi testimoni nei procedimenti penali e il taglio della mano per i falsi testimoni nei procedimenti civili.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: P. Giannone, Dell’istoria civile del regno di Napoli

 

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