Storia del Cristianesimo: il martirio di Marcello Mastrilli

Marcello Mastrilli nacque nel Regno di Napoli il 4 settembre del 1603 da antica famiglia aristocratica. Entrò nella Compagnia di Gesù nonostante l’opposizione del padre, Girolamo Mastrilli, Marchese di San Marzano.

Poco dopo ebbe una prima visione del cielo che si apriva e che collegò ad una futura attività da missionario in Oriente. Fu quindi educato nel collegio di Napoli, dove studiò filosofia classica e teologia e insegnò grammatica. Durante i suoi anni di noviziato, ebbe spesso apparizioni di San Francesco Saverio. L’Apostolo delle Indie, gli apparve più volte nella forma di un cavaliere vestito di bianco.

L’11 dicembre 1633, fu gravemente ferito. Un operaio, che smantellava gli altari della festa dell’Immacolata nel palazzo del Cardinale di Napoli per la festa dell’Immacolata Concezione, lasciò cadere un martello che gli finì in testa. Cadde nel delirio e stette quasi agonizzante per dieci giorni. Il 21 ebbe un’altra apparizione di San Francesco Saverio che lo guidò attraverso una serie di preghiere e voti, dichiarando infine: “Sei guarito: bacio in ringraziamento le sacre ferite del Crocifisso”. Effettivamente al risveglio si ritrovò in perfetta salute.

Dopo la miracolosa guarigione, Mastrilli diede inizio alla famosa “Novena della Grazia”, che sarebbe diventata molto popolare, in onore di San Francisco Saverio. Il santo gli aveva promesso grazie e salvezza  per quanti avessero ferventemente richiesto la sua intercessione per nove giorni in onore della sua canonizzazione – quindi dal 4 al 12 marzo.

Intanto, sebbene la notizia non avesse ancora raggiunto l’Europa, il 18 ottobre dello stesso anno, il gesuita provinciale in Giappone, il portoghese Christovão Ferreira, sotto tortura a Nagasaki, era divenuto apostata. Quando il fatto si diffuse i gesuiti progettarono una nuova missione in Giappone e Padre Marcello fu scelto come superiore. La missione partì da Lisbona il 7 aprile 1635, Sabato Santo. Trentatre missionari raggiunsero Goa, la capitale dell’India portoghese, l’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione. Li seppero del martirio di ventiquattro gesuiti avvenuto in Giappone l’anno precedente ma non demorsero.

A Goa, Padre Marcello trascorse molte ore pregando nella tomba di San Francesco Saverio, recuperò come reliquia un fazzoletto imbevuto del sangue del santo ed una piccola scatola contenente un pezzettino della sua carne. Consegnò a quel corpo un nuovo vestito donatogli da Filippo III e lasciò nelle mani del santo una lettera firmata nel suo stesso sangue.

Da Goa la missione salpò per Macao, ma qui nessuna nave portoghese prendeva preti a bordo perché ciò avrebbe messo a rischio tutti i portoghesi a Nagasaki. Navigarono alloraverso Manila dove il governatore delle Filippine, Sebastián Hurtado de Corcuera, si mostrò entusiasta della missione ma la popolazione spagnola si oppose temendo il massacro di massa del clero che certamente avrebbe comportato; così Padre Marcello restò nelle Filippine.

Accompagnò il governatore Hurtado de Corcuera in una spedizione contro i pirati nel corso della quale fu colpito al fianco da una palla di cannone che però lo lasciò miracolosamente illeso. Alla fine gli spagnoli ottennero una vittoria clamorosa che attribuirono al potere di San Francesco Saverio e all’intercessione di Padre Marcello.

Col tempo il gesuita si unì alla comunità di esiliati giapponesi nelle Filippine e si dedicò all’apprendimento della loro lingua e dopo un po’ il governatore gli procacciò un viaggio in Giappone su una nave spagnola. Incontrò numerose vicissitudini in mare aperto, compresa una violenta tempesta a largo di Formosa. Si dice che Padre Marcello calmò i venti e le acque facendo il segno della croce sul mare con il suo reliquiario contenente una reliquia di San Francesco Saverio. Alla fine sbarcò a Satsuma il 19 settembre.

Fu immediatamente scoperto, ma fuggì nell’entroterra; mentre tutti gli altri suoi compagni furono catturati e confessarono di aver navigato con Padre Marcello rilasciando tante informazioni sul suo conto. Dopo diversi giorni il gesuita fu scoperto e fatto prigioniero.

Il religioso comparve davanti ai magistrati dello Shogun il 5 ottobre 1637 a Nagasaki. Quando gli fu chiesto perché era venuto in Giappone, rispose che era sua intenzione convertire l’Imperatore, lo Shōgun Iemitsu, come ambasciatore da San Francesco Saverio. I magistrati sopresi di tanta fermezza, per condurlo all’apostasia, lo sottoposero alla tortura dell’acqua per due giorni. Il primo giorno usarono la tecnica a imbuto, in cui la vittima teneva infilato un imbuto in bocca mentre grandi quantità di acqua venivano versate dentro di lui fino a far sgorgare acqua e sangue da bocca, orecchie e naso. Il secondo giorno di tortura Padre Marcello fu legato su una tavola, la testa gli fu lasciata pendere mentre gli aguzzini non smettevano di versare grandi quantità d’acqua sul suo viso impedendogli di respirare. Così resistette per due giorni, ricevendo quattrocento recipienti d’acqua nel solo secondo giorno.

Riportato in cella, Mastrilli scoprì che tutti i suoi compagni, tranne uno, avevano rinunciato alla propria fede, un secondo era morto sotto tortura. Tornato nelle mani degli aguzzini, fu spogliato e sottoposto alla bruciatura delle sue parti intime con tenaglie roventi, poi ancora fu fatto oggetto della tortura dell’acqua. Resistette e tornò in prigione ma la sua condanna era stata stabilita: era destinato a morire nella fossa. Accogliendo gioiosamente l’emissario che gli comunicò la condanna, profetizzò che invece non sarebbe morto nella fossa ma che sarebbe stato decapitato.

Alle undici del mattino di mercoledì 14 ottobre 1637, Padre Marcello fu condotto dalla sua prigione fino al luogo dell’esecuzione in cima al pendio chiamato Nishi-zaka che sovrastava la baia di Nagasaki. Era legato, imbavagliato, parte del capo rasato, l’altra metà dipinta di rossa, segno di estrema ignominia per i giapponesi.

Quando poté parlare ringraziò i magistrati che l’avevano condannato poi parlò alla folla dicendo: “Ora saprete quanto è grande il Dio che adoriamo e quanto è prezioso il Paradiso per il quale speriamo”. Fu così legato e appeso per i piedi ad una forca, abbassato a testa in giù nel pozzo e lì rinchiuso, una tortura inventata da Takenaka Uneme-no-Shō che s’era mostrata la più efficace nell’ottenere apostasie di cristiani.

Contrariamente alle aspettative dei carnefici, tuttavia, Padre Marcello, non si contorceva né gemeva, ma rimaneva perfettamente immobile e, ritenendolo morto, sollevarono il coperchio trovando però il gesuita ancora vivo e forte nelle sue convinzioni.

Dopo quattro giorni di torture nella fossa, Padre Marcello non mostrò nessuno dei soliti sintomi. Alla fine i magistrati, per evitare che quella tortura desse più forza ai cristiani giapponesi, ordinarono che il sacerdote fosse decapitato immediatamente.

Dopo che i boia lo tirarono fuori dalla fossa, si inginocchiò ed invoco San Francesco Saverio. Ci vollero tre tagli di spada per recidergli la testa. Morì decapitato come aveva predetto.


Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: G. B. Mastrilli, Compendio della vita, e morte del p. Marcello Mastrilli della Compagnia di Gesù

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