La Battaglia di Cerignola

Il 28 aprile 1503, ebbe luogo la Battaglia di Cerignola, destinata a scrivere la storia del Regno di Napoli e dei rapporti tra Francia e Spagna in Italia e nel Mediterraneo.

Fallito il Trattato di Granada, firmato nell’ottobre del 1500, per la spartizione del Sud Italia tra le due potenze, Cerignola vide le armate iberiche capovolgere una situazione che fino ad allora aveva visto prevalere i francesi. Gonzalo Fernandez de Cordoba, meglio noto come Gran Capitano, sfidò Luis de Armagnac, duca di Nemours e conte di Guisa, battendolo con un’incredibile arguzia. Armagnac l’aveva costretto a rinchiudersi a Barletta, mentre i francesi dilagavano nell’interno del regno. Il francese aveva stabilito il suo quartier generale a Bisceglie ed aveva messo Barletta sotto assedio, convinto di poter infliggere il colpo di grazia agli spagnoli.

Nel settembre dello stesso anno, il Gran Capitano accettò che avesse luogo un duello tra undici cavalieri spagnoli ed undici francesi, a Trani. Nessuno dei due schieramenti riportò una vittoria. Si distinesero Diego Garcia de Paredes, il Sansone dell’Estremadura, e Pierre Terrail de Bayard, ma quel singolare duello servì solo al Gran Capitano per guadagnar tempo e far giungere, via mare, i rinforzi che attendeva. Esattamente per le stesse ragioni si tenne la nota Disfida di Barletta, duello fra tredici cavalieri italiani e tredici francesi che vide prevalere i primi guidati da Ettore Fieramosca. Così il Gran Capitano ottenne i rinforzi attesi, ma anche perchè nelle acque di Otranto, i navigli di Juan de Lezcano riuscirono a scacciare il presidio dello squadrone francese al comando di Pregent de Pidoux.

Grazie a questi rinforzi e alla vittoria a Seminara ottenuta dalle truppe di Hugo de Cardona e Fernando de Andrade sull’esercito francese di Berault D’Aubigny appena una settimana prima, gli spagnoli furono pronti a riprendere la guerra, uscendo da Barletta. La chiave del successo per il generale spagnolo sarebbe stata nella velocità dei movimenti delle sue truppe e nello sfruttare al massimo le caratteristiche del terreno di battaglia. Cordoba ordinò ai suoi cavalieri di portare ciascuno un fante con sé, qualcosa di inaudito e disonorevole per la sua epoca. Per reprimere le proteste dei suoi cavalieri, il generale stesso prese un soldato in groppa al suo destriero e si mise in marcia. Questo piccolo gesto cambiò molto nella mentalità militare spagnola, abituata a far distinzione tra i soldati non per capacità di combattere ma per condizioni di nascita.

Il saggio di Hugo Vazquez Bravo, pubblicato nel quarto quaderno di Historia Regni, ci riporta alla giornata campale. Il Gran Capitano era uscito il giorno prima da Barletta e si era mosso verso Cerignola dove il 28 aprile del 1503 fu in vista della guarnigione francese. Poteva contare 5.000 fanti, di cui mille archibugieri, duemila mercenari tedeschi, 600 uomini di cavalleria leggera, 800 di cavalleria pesante e 18 pezzi di artiglieria. I francesi facevano affidamento su circa 2000 uomini di cavalleria pesante, altri 2.000 di cavalleria leggera, quasi 6.000 di fanteria, 2.000 soldati svizzeri e 26 pezzi di artiglieria. La disparità dei numeri era evidente, ma il Gran Capitano studiò attentamente le sue carte.

Colpiti dalle artiglierie, i suoi uomini presero posizione su un leggero dislivello per rendere difficile la carica delle fanterie francesi, scavarono un fossato ed eressero delle palizzate. Il Gran Capitano collocò al centro le sue truppe di fanteria e le unità di cavalleria di Prospero Colonna e Pedro de Mendoza sui fianchi coperte dai fanti tedeschi, perlopiù armati di archibugi. Di fronte a questo schieramento fu piazzata l’artiglieria, anche perchè con il fumo delle detonazioni nascondesse agli occhi nemici il reale dispiegamento spagnolo.

La tattica francese era ancora legata ai vecchi dispiegamenti quattrocenteschi in cui il ruolo centrale era assunto dalla cavalleria pesante. Cordoba sapeva come mettere in crisi questa collaudata tattica. Nel pomeriggio ordinò alla sua cavalleria leggera di caricare. I francesi cascarono nel tranello. Duemila cavalieri comandati dallo stesso Armagnac attaccarono e credettero di aver messo in fuga il nemico. Lo inseguirono ormai sicuri di una vittoria, ma quando raggiunsero la fossa e il pendio della palizzata precedentemente realizzati dagli spagnoli, furono sconvolti.

Due ore prima del tramonto, prima tuonarono i cannoni francesi, poi avanzarono i gendarmi del Duca di Nemours seguiti dalla fanteria e da una retroguardia costituita dalla cavalleria leggera.

Oltrepassata la linea dell’artiglieria spagnola, i francesi si imbatterono in quell’insolito e insidioso posizionamento. Un’orda di archibugieri spagnoli aprì il fuoco e d’un tratto presero a tuonare pure le artiglierie. Fino a quel momento l’archibugio non era stato usato in modo massiccio sui campi di battaglia, fu un’altra innovazione del Gran Capitano. Nella sorpresa, i francesi si ritrovarono con la cavalleria pesante trafitta dagli archibugi nemici, bersagliati tutti da fanti e incalzati dai picchieri. La cavalleria del Duca di Nemours totalmente esposta al fuoco nemico fu falcidiata, lo stesso Armagnac cadde. In quel momento la fanteria francese sopraggiunse in soccorso. Attraversare il fossato e superare la palizzata costò loro morti e feriti e generò grande disordine. Accidentalmente, proprio in quei frangenti, esplose un magazzino di polvere da sparo degli spagnoli. Gli spagnoli però non demorsero, gli archibugieri continuarono a sparare fino a quando poterono – forse fino a quattromila colpi – poi furono sostituiti dai picchieri che marciarono sulla fanteria francese mietendo vittime. Anche Chadieu, comandante dei mercenari svizzeri al servizio della Francia, morì così.

Con l’esercito francese senza più comandanti, il Gran Capitano ordinò alle sue riserve di convergere ai fianchi del nemico e avvolgerlo in una morsa mentre la cavalleria leggera irrompeva al centro. Usciti allo scoperto, gli uomini delle retrovie spagnole si accanirono su nemici stanchi ed in preda allo scoramento. L’unico comandante francese rimasto in vita Yves D’Allegre, sopraffatto, dovette fuggire. Il resto dell’esercito francese si arrese. Era passata poco più di un’ora, gli spagnoli avevano perso 100 uomini, i francesi quattromila.

La prima cronaca della campagna italiana di Gonzalo Fernandez de Cordoba, la “Conquista del Reyno de Napoles” edita a Valencia nel 1505, testmonia laa pietà mostrata dal Gran Capitano verso i corpi senza vita dei nemici. Egli incaricò Tristan de Acuna di recuperare il corpo di Armagnac e di trasportarlo a Barletta dove volle dargli onorevole sepoltura nel Monastro di San Francesco. Allo stesso modo fece seppellire tutti i caduti di quella giornata.

L’atteggiamento passivo, di attesa, del Gran Capitano, la sua scelta del terreno di battaglia, l’ingegno nel crare ostacoli che impantanassero i movimenti della fanteria nemica ed il sapiente impiego delle armi da fuoco, lo premiarono e sancirono il tramonto dell’onnipotenza della cavalleria pesante francese. Gonzalo Fernandez de Cordoba aveva cambiato per sempre il modo di fare la guerra.

 

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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