La Chiesa tra riforma e rivoluzione

Papa Giulio II fu un grande mecenate ed un eccezionale pontefice politico e militare ma non va trascurato che amò profondamente la Chiesa. Il 3 maggio del 1512 si aprì il Concilio Laterano V, da lui voluto per arginare le pretese del re di Francia, Luigi XII, che minacciava l’Italia e Roma osando pure convocare vescovi ed abati a concilio di sua autorità per riformare la Chiesa. Purtroppo interessi e intrighi intralciarono i piani del pontefice, rallentando ed osacolando i lavori. Venezia, che pure aveva le sue mire, si schierò a favore del Concilio e vi mandò Francesco Foscari, patrizio della Serenissima.

La vittoria dei francesi a Ravenna (11 aprile 1512) impedì l’apertura del concilio fino al 3 maggio, quando i padri si incontrarono nella Basilica del Laterano. Erano presenti quindici cardinali, i patriarchi di Alessandria e Antiochia, dieci arcivescovi, cinquantasei vescovi, alcuni abati e capi di ordini religiosi, l’ambasciatore di Ferdinando II d’Aragona, e quelli di Venezia e Firenze. I lavori furono aperti da una prolusione dell’agostiniano Egidio da Viterbo, che denunciò senza remore i mali della Chiesa, suscitando profonda emozione nell’assemblea; di questa prolusione è rimasta celebre la frase: “Sono gli uomini che devono essere trasformati dalla religione, non la religione dagli uomini”. Giulio II però si spense del 21 febbraio del 1513 e vide solo le prime sessioni conciliari.

Gli succedette Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico, che, sull’esempio del suo predecessore accordò generosa protezione alle lettere ed alle arti, chiamando grandi ingegni al servizio della Chiesa. Le nazioni erano però dilanate da lotte fratricide sebbene si andasse affermando la potenza della casa d’Asburgo. Una radicale riforma s’imponeva con necessità urgente. Secondo Pico della Mirandola lusso e ingordigia di certi prelati varcavano ogni limite e le chiese somigliavano a stalle. S’invocava pure una purificazione della liturgia da certi riti. Il 16 marzo 1517 il Concilio si chiuse dopo 12 sessioni. Era tutto fallito. Non si richiedeva che il Concilio emanasse leggi nuove per rimediare ai tanti mali di Roma, bastava prendere sul serio quelle esistenti, ma la mancata restaurazione ecclesiastica e la fallita dinamicità del Concilio spianarono la strada al protestantesimo. Lutero affilava le armi che avrebbero prodotto la più grave lacerazione nell’unità ecclesiastica.

Si dice che quando Lutero cominciò a predicare la Riforma, papa Leone X non diede nessuna importanza alla cosa. Poichè il tedesco era un agostiniano, il pontefisce avrebbe sentenziato a chi gli chiedeva un perentorio intervento: “Si tratta solo di una noiosa disputa tra frati!”. Come si sa non fu così.

La situazione esplose. Lutero e Calvino irruppero sulla scena europea. Molti eminenti teologi e laici difesero Roma ma i risultati furono talvolta esigui perchè non ricevevano incoraggiamenti né aiuti dal potere politico e neppure da Roma. Papa Clemente VII eludeva l’urgenza di un Concilio che diramasse la questione; Paolo III lo indisse a Mantova per il 1537, ma i protestanti si opposero ed allora lo intimò a Vicenza per il 1538, ma ancora si dovette rinviarlo perchè si presentarono solo nove membri. Persino i sovrani cattolici mettevano ostacoli. Lo si convocò a Trento per il maggio del 1541, ancora invano. Solo il 13 aprile del 1545 lo si potè aprire. Le lunghe e laboriose assisi furono molto proficue. Si definì che le fonti della Rivelazione sono due, la Sacra Scrittura e la Tradizione. Si stabilì quali e quanti fossero i libri della Bibbia. Si affermò che la Chiesa è l’interprete autentica della Sacra Scrittura e che l’interpretazione unanime dei Padri è criterio ermeneutico. Altre definizioni dommatiche toccarono il peccato originale e la giustificazione che si ha mediante la grazia ottenutacià da Cristo con l’uomo che deve cooperare non solo con la fede ma anche con le opere. Ai vescovi si fece obbligo di risiedere in diocesi. I lavori furono a lungo sospesi, ripresero il 1 maggio 1551 e si lavorò sui decreti concernenti l’eucarestia, la penitenza e l’estrema unzione, pou subentrò ancora una interruzione.

Il concilio fu riaperto da Pio V il 18 maggio 1562. Le nuove sedute stabilirono decreti riguardanti il dovere della comunione, il sacrificio della santa messa, l’istituzione dei seminari, il matrimonio uno e indissolubile, il purgatorio, il culto della Vergine e dei santi. Il 3 dicembre del 1563 tutto si chiudeva. Aveva così fine il più grande Concilio Ecumenico che la Chiesa avesse celebrato, il più costruttivo, il più lungo, quello più complesso. Esso diede definitivo assetto al vastissimo campo del dogma, della morale, della disciplina, della liturgia, persino della musica sacra.

Nel 1414 erano state condannate le tesi di Wycliffe, poi tocchò a Lutero, a Baio, nel 1567, e arrivò il secolo dei lumi e furono condannate le idee di Quesnel, nel 1713, ed il giansenismo del Sinodo pistoiese nel 1794. Fino alla Rivoluzione Francese il Concilio restò un faro per l’Europa, poi nuove correnti di pensiero iniziarono a scuoterne le fondamenta. Trionfava la metafisica laica e la dottrina cristiana era messa da parte.

Per tutto l’Ottocento la Chiesa si batté contro “gli errori del secolo”: Fin dalla Mirari Vos del 1832, Gregorio XVI, il papa per cui la “trazione a vapore” era un’espressione di Satana, il pontefiche condannò Lamennais e respinse Gioberti, aveva attaccato il diffondersi del liberalismo. I pontefici avevano condannato dottrine e sistemi d’impronta razionalista, riaffermando i principi della Rivelazione, ma in pieno Ottocento la polemica s’era fatta asptra e si apriva una nuova diatriba: si poteva essere sicuri dell’insegnamento dei Pontefici? Il Magistero della Chiesa era infallibile?

Fu questo l’argomento del Concilio Vaticano I. Lo indisse Pio IX per l’8 dicembre del 1869. La questione era vitale per la Chiesa che doveva dotarsi dei migliori strumenti per combattere il razionalismo, il liberalismo, il socialismo ed il materialismo. Il 24 aprile 1870, al termine dei lavori, veniva approvata la Costituzione dommatica sulla fede cattolica, si definì l’ispirazione divina delle scritture e, riguardo all’infallibilità del papa, non mancarono polemiche. Alcuni temevano che una tale affermazione intaccasse il diritto divino dei vescovi, che accentrasse troppo il governo ecclesiastico, che troncasse ogni tentativo di unione con protestanti e ortodossi. Le dispute contribuirono a precisare la dottrina ed a ridurre la schiera di chi era ostile. La formula conclusiva fu chiara: “Noi, con l’approvazione del sacro Concilio, insegnamo e definiamo essere dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex Cathedra, cioè quanto nella sua funzione di Pastore e Maestro di tutti i cristiani, in viertù della sua suprema autorità apostolica, definisce che una dottrina riguardante la Fede e i costumi dev’essere abbracciata da tutta la Chiesa, grazie alla assistenza divina che gli è stata promessa nella persona di s. Pietro, gode di quella infallibilità di cui il Redentore divino volle fosse dotata la sua Chiesa tutte le volte che dev’essere definita una dottrina concernente la Fede e i costumi: perciò tali definizioni del Romano Pontefice, di per se stesse e non per il consenso della Chiesa, sono irreformabili”.

Era il 18 luglio del 1870 e non si sarebbe andato oltre.

Il 19 scoppiava la guerra franco-prussiana. Il concilio fu sospeso. L’occupazione di Roma del 20 settembre impedì ogni riapertura e papa Giovanni XXIII lo dichiarò definitivamente chiuso.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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