La decimatio, punizione esemplare del legionario romano

Negli ultimi anni della Repubblica Romana, Marco Licinio Crasso si occupò della campagna militare contro la ribellione del gruppo di schiavi guidato da Spartaco. Il ribelle tracio era riuscito a sconfiggere diverse legioni, il che rappresentava un duro colpo per l’orgoglio romano. Nominato pretore allo scopo di reprimere Spartaco, Crasso iniziò le operazioni provando ad assicurarsi il valore dei suoi uomini rispolverando la punizione arcaica della decimatio contro le legioni che erano fuggite nelle battaglie sino ad allora svolte.

Di cosa si trattava?

La decimatio era probabilmente il più atroce tipo di punizione in auge nell’esercito romano. Veniva esercitata contro le legioni che avevano osato fuggire in battaglia o che si ammutinavano e consisteva nel formare gruppi di dieci soldati ed in ognuno di essi, per mezzo d’un sorteggio, un uomo veniva scelto e punito dai suoi nove compagni con la lapidazione o bastonate. Chi si rifiutava di farlo veniva giustiziato, mentre chi sopravviveva alla punizione riceveva un razionamento di viveri a base di orzo, invece del frumento, e veniva poi mandato a dormire fuori dall’accampamento, esposto ai pericoli dei campi di battaglia.

Il più antico caso di decimatio di cui si abbia notizia risale al 471 a.C., per opera di Appio Claudio Sabino, durante la Terza Guerra Sannitica. La punizione fu applicata ad un’unità di fanteria che lasciò il campo di battaglia mentre combatteva contro i Volsci, all’epoca stanziati nei territori delle odierne Anzio e Velletri. Le truppe avevano disobbedito agli ordini e si erano ritirate nel bel mezzo della battaglia. La rabbia del console esplose col ricorso alla decimatio che condusse i soldati ad un’atroce morte.

La disciplina nell’esercito è evidentemente essenziale, lo è ancora più quando si è coinvolti in una guerra. Si ricordi per esempio che Manlio Torquato condannò suo figlio a morte per aver vinto, nonostante gli ordini contrari, un capo gallo in duello. I Romani ritennero valida qualsiasi misura perchè un soldato evitasse atti di codardia e forse anche questo contribuì alla longevità del loro impero ed all’estremo rispetto della disciplina del suo esercito. Così anche Marco Antonio fece ricorso alla decimatio per due delle sue coorti fuggite davanti ai Parti e fu pure applicata nel 17 a.C. per la Legione III Augusta che aveva aveva evitato di dar battaglia ai Numidi.

La decimatio però aveva come grave conseguenza la rottura del vincolo di fiducia tra commilitoni e tra soldati e comandanti. La morte poteva venire a caso, per mano dei propri compagni d’arme, a prescindere dal grado e dai meriti precedenti, e ciò imponeva un cambiamento: alla fedeltà, come base dei rapporti nell’esercito, subentravano, in parte o totalmente, diffidenza e paura. Senza ombra di dubbio la paura d’una punizione esemplare foraggiò l’altro grave problema delle legioni, la diserzione. L’imperatore bizantino Maurizio, a tal proposito, sostenne nello Strategikon che la decimatio arreccò alle truppe più danno morale di qualsiasi beneficio e, del resto, anche Crasso vide crescere la sua fama d’uomo crudele ma non le prestazioni delle sue truppe.

Al fianco delle punizioni avevano però il loro posto anche le ricompense: aumento del soldo, spartizione del bottino, la lancia d’onore, braccialetti, catene, collane d’argento o medaglie, per non parlare poi del trionfo che onorava collettivamente l’esercito ed il suo generale.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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