La Divina Commedia di Alfonso d’Aragona

Era la primavera del 1901 quando l’originale di “La Divina Commedia di Alfonso de Aragón, re di Napoli” arrivò nella libreria del famoso ed un po’ eccentrico collezionista inglesi, Henry Yates Thompson.L’uomo notò immediatamente il valore di quel vecchio libro e rimase a bocca aperta.

Il volume aveva fatto un lungo viaggio dal Quattrocento, attraverso il Monastero di San Miguel de Reyes, per perdersi nella storia e ricomparire nel 1846, a Madrid, nella collezione di Luis Mayans e Enríquez de Navarra. Era stato bizzarramente disprezzato dai venditori ambulanti antiquari della penisola iberica, forse perchè era scritto in italiano, chissà. Henry Yates Thompson riuscì però subito a coglierne pienamente il valore.

Si tratta di una pergamena in caratteri semigotici scritti a mano, con iniziali stereotipate e ben  112 miniature ai piedi di ogni pagina. Nel primo foglio spicca lo stemma quadripartito del re Alfonso d’Aragona. E’ l’immagine che leva ogni dubbio sul suo primo proprietario.

Secondo studi effettuati sugli inventari della Corona, tra il 1412 e il 1417, la biblioteca di Alfonso passò da 16 a 61 copie. Una collezione importante, fatta soprattutto di manoscritti miniati. Una collezione che crebbe quando, nel 1443, il re venne proclamato anche sovrano di Napoli. La sua corte, alimentata dal suo amore per i libri, divenne un luogo d’incontro per umanisti, pittori e intellettuali e nella Biblioteca Reale di Castel Nuovo si contarono più di 2.500 libri, una raccolta eccezionale per il suo tempo, forte di un budget di 20 mila ducati l’anno. Questa vasta coallezione racchiudeva opere religiose come bibbie, salteri e testi di teologia, ma anche volumi classici come quelli di Seneca, Tucidide, Ovidio, e naturalmente gli scritti degli umanisti contemporanei come Pontano e Valla.

Grazie a vari inventari e corrispondenze, sappiamo che la sua straordinaria biblioteca si alimentava di acquisti, sequestri di bottini di guerra, copie di manoscritti, ordini specifici a copisti e miniaturisti, doni. Così scrisse a Cosimo de Medici: “Nessun Onore coinvolge tanto, non solo chi riceve il dono, ma anche a colui che lo dà, come i libri che contengono saggezza. Pertanto, oh mio Cosimo, esprimo la mia gratitudine in un modo davvero unico. Non solo aumenti la mia biblioteca, ma la mia dignità e la mia fama” (Manuel Pérez Rodríguez-Aragón, Alfonso el Magnánimo y la divisa del libro abierto).

Ed a Napoli si circondò di poeti e studiosi castigliani, aragonesi, valenciani e catalani, come Pedro de Santa Fe, Jordi de Sant Jordi, Andreu Febrer, Ausias March e Joanot Martorell, e di grandi umanisti italiani come Poggio Bracciolini, Bartolomeo Faccio, Pier Candido Decembrio, Flavio Biondo, Giannozzo Manetti, Porcellio Pandone, Enea Silvio Piccolomini, Giovanni Pontano, Lorenzo Valla, suo segretario personale, Antonio Beccadelli, detto il Panormita, suo consulente culturale e autore della sua prima biografia “De dictis et factis Alphonsi regis Aragonum”. Probabilmente influenzato da questo clima di pensiero, Alfonso lasciò i testi sull’amore cortese, che fino ad allora l’avevano appassionato, per dedicarsi allo studio delle discipline umanistiche. E’ in questi anni che volle “La Divina Commedia” in italiano, una in catalano l’aveva già commissionata ad Andrea Febrer nel 1429.

L’opera che Alfonso commissionò a Napoli fu affida ad un laboratorio toscano. Tuttavia ci sono ancora dubbi sugli artisti che realizzarono tutto.

Si parla di Lorenzo di Pietro, Priamo della Quercia o Nicola di Ulisse, tutti strettamente legati alla scuola pittorica senese. Gli studiosi concordano solo nell’attribuire il Paradiso a Giovanni di Paolo che fu un artista attivo nella miniatura e anche nella pittura, proprio a Siena.

Di Paolo si distingue perchè nel Paradisco ha usato uno stile molto diverso da quello degli illustratori dell’Inferno e del Purgatorio. Si concentrò solo su alcuni dei versi di Dante e prestò molta attenzione ai dettagli simbolici e mitologici. La diversa ispirazione degli artisti si precepisce chiaramente nelle miniature poste in fondo alle pagine che plasmano il testo in immagini: la vena più brillante e drammatica dei primi libri contrasta con la limpidezza bluastra dei cieli di Giovanni di Paolo, l’impressionante bellezza dei suoi paesaggi ispirati alla campagna toscana e la presenza evanescente di Dante e Beatrice. Magnifico è questo Paradiso che risulta carico d’un sorprendente protagonismo rispetto ad altre precedenti riproduzioni della Commedia in cui l’Inferno ed il Purgatorio erano gli scenari più stimolanti.

Il manoscritto è particolarmente prezioso perché risulta dunque uno dei pochi che illustrano in modo esauriente le tre parti del poema di Dante, ma al carattere straordinariamente suggestivo delle miniature dobbiamo aggiungere anche la ricchezza degli elementi in oro che decorano in modo raffinato la cornice di tutte le illustrazioni.

Dopo la morte di Thompson, il libro fu donato alla biblioteca del British Museum ed lì è conservato sotto il nome di “Codex Yachts Thompson MS 36”, una codificazione davvero un po’ gelida per descrivere tanta bellezza.

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Foto gentilmente concesse dalla Compagnia d’arme “La Rosa e La Spada”

Bibliografia: M. Bollati, La Divina Commedia di Alfonso d’Aragona re di Napoli

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