La guerra tra Genova e il Ducato di Savoia del 1672

È fuori di dubbio che per lungo tempo Genova avesse avuto i suoi maggiori nemici tra i rivali sul mare: Pisa prima, Venezia e Barcellona poi furono negli ultimi secoli del Medioevo i nemici mortali della grande repubblica marinara. Ma questo stato di cose mutò completamente con gli avvenimenti della prima metà del 400/500 culminati con la pace di Cateau-Cambresis.

Genova, sotto il grande Andrea Doria, stabilizzò la propria situazione politica, cessando di essere quella città ove le lotte di fazione finivano col dare il predominio ora a Milano, ora alla Francia oppure alla Spagna: l’alleanza con gli spagnoli divenne una costante della politica della repubblica, facilitata dagli interessi economici e finanziari e dalla situazione geografica, stante la vicinanza al Milanesato spagnolo; allo stesso tempo venne meno la secolare rivalità con Venezia a seguito delle mutate condizioni dei flussi commerciali e dei rapporti di forza nel Mediterraneo. Ma fu in questo contesto, di sostanziale pace e tranquillità, che la nobile repubblica trovò il suo nuovo e ultimo nemico, colui il quale, alla fine, complice la caduta dell’Ancièn Regime, l’assorbirà definitivamente: lo Stato sabaudo.

Pur risalendo al Medioevo più antico, lo stato dei Savoia era in realtà, sotto il profilo territoriale, una creatura piuttosto recente: il vecchio ducato si era letteralmente disintegrato durante le Guerre d’Italia, sotto il duca Carlo III, ed era toccato al figlio di questi, il grande Emanuele Filiberto, ricostruire lo stato.

Il Testa di Ferro lavorò piuttosto bene, come bene lavorò suo figlio Carlo Emanuele I. Molta cura fu posta nell’amministrazione civile e nello stabilimento di una valida forza militare, indipendente dalle vecchie leve feudali. Trascurata non fu neppure l’espansione territoriale. Posto che l’ingrandimento a ovest e a nord non risultava possibile, impedita dalla Francia e dai cantoni svizzeri, mentre il Milanesato spagnolo stringeva lo stato ad est, il Ponente genovese divenne obiettivo primario: del 1575 è l’acquisto, dai Doria, del principato di Oneglia e, per eredità Lascaris, del vicino marchesato del Maro; nel 1601 il trattato di Lione con la Francia contribuì a cementare l’unità territoriale poiché fu acquisito il marchesato di Saluzzo mentre furono ceduti territori transalpini di difficile controllo quali la Bresse  e il Bugey.

Il ducato fu aspramente coinvolto nella guerra dei Trent’Anni. Carlo Emanuele I e suo figlio Vittorio Amedeo I furono praticamente sempre in guerra, ora alleati dei francesi ora degli spagnoli, mentre, sotto la reggenza di Madama Reale, Cristina di Francia, governatrice per il giovane Carlo Emanuele II, il conflitto degenerò in guerra civile. Il risultato di questi scontri, che per il Piemonte si chiusero nei fatti con la pace dei Pirenei, fu praticamente nullo sotto il profilo territoriale ma contribuì a creare nel paese un forte sentimento di identità nazionale attorno alla dinastia.

Lo sforzo di espansione del ducato nel Ponente ligure aveva visto un tentativo già nel 1625, quando Carlo Emanuele I, alleato della Francia, aveva aggredito la repubblica. Iniziali successi sabaudi avevano però portato la Spagna a muoversi prontamente in soccorso di Genova e il tutto si era chiuso con il ritorno allo “status quo ante”. Sotto Carlo Emanuele II si riteneva che la Spagna non avrebbe più potuto dare alla repubblica l’appoggio di un tempo e il ducato, vicino politicamente alla Francia, si sentiva altresì forte di nuovi contingenti militari organizzati in seguito alle riforme del duca. Secondo la narrazione storica tradizionale i membri del governo sabaudo, in particolare il ministro delle finanze Giovan Battista Trucchi, barone di Levaldigi, da tempo caldeggiavano un’azione militare per aprire una strada diretta da Oneglia verso il Piemonte, senza dover transitare per il territorio della repubblica e quindi accelerare il trasporto del sale e di altre mercanzie che dovevano altrimenti essere sbarcate a Nizza. Ora questa narrazione è messa in dubbio e si ritiene che la scelta di entrare in guerra sia stata dovuta essenzialmente allo stesso duca a seguito di un curioso avvenimento…

Era il 1672 quando Raffaele Della Torre, un patrizio genovese caduto in disgrazia e condannato a morte in patria, con l’aiuto del potente Carlo di Simiana, marchese di Livorno, riuscì ad ottenere un abboccamento con Carlo Emanuele II convincendolo di un ardito piano volto a scardinare le istituzioni della repubblica. Una truppa di mercenari e di fuorusciti avrebbe suscitato una rivolta in città abbattendone il governo mentre un esercito sabaudo sarebbe intervenuto immediatamente dopo prendendo la fortezza di Savona e quindi impadronendosi della stessa repubblica. Malgrado opposizioni nel consiglio il duca accettò il piano del Della Torre cui fornì cospicue somme di denaro per arruolare mercenari, cosa che questi fece. Un esercito sabaudo di circa 10.000 uomini, guidato dal conte Catalano Alfieri fu posizionato presso Ceva giustificandone la presenza con la necessità di difendere alcune comunità di obbedienza sabauda della zona di Pieve di Teco che si erano scontrate con le vicine comunità genovesi per ragioni legate a diritti di pascolo. L’azione era prevista per la fine del mese di giugno ma la sorpresa andò in fumo poiché la congiura del Della Torre fu scoperta dal governo della repubblica e la piazza di Savona fu messa in stato di allarme.  A questo punto, tuttavia, anziché desistere dall’impresa, il duca ordinò comunque all’esercito di entrare in territorio genovese, senza che peraltro la strategia fosse ben definita. Da parte genovese alle milizie locali si aggiunse in breve un grosso reparto di soldati corsi guidato dal sergente generale Pier Paolo Ristori, un veterano della guerra di Candia.

L’azione sabauda si sviluppò inizialmente nella valle Arroscia, attorno a Pieve di Teco, ove furono conquistati alcuni villaggi. Ma importanti rinforzi genovesi affluirono in breve tempo bloccando l’iniziativa piemontese; a seguito di uno sfortunato scontro con parecchie perdite presso Mozzo (oggi Muzio, frazione di Pieve di Teco) i piemontesi si ritirarono verso Pornassio e il confine.

Il duca Carlo Emanuele, innervosito dall’insuccesso, risolse allora di affidare il comando al proprio zio, don Gabriele di Savoia, marchese di Riva (era un figlio naturale di Carlo Emanuele I) con l’ordine perentorio di avanzarsi nel territorio genovese. Questi peraltro commise un grave errore: divise le proprie forze in due gruppi, uno sotto il suo comando, che avanzò verso Oneglia, e un altro sotto l’Alfieri, che da Garessio sarebbe avanzato verso Garlenda e Albenga. L’obiettivo era di accerchiare le forze genovesi nella valle Arroscia. Ma tutto andò storto. La congiunzione tra le due ali piemontesi non riuscì, la colonna di don Gabriele soffrì per un incidente che portò all’esplosione del magazzino delle polveri e si accinse quindi a ritornare su Oneglia, mentre la colonna dell’Alfieri fu bloccata dal Ristori sulle colline tra Garlenda e Stellanello e costretta anch’essa a ritirarsi. A questo punto però i genovesi presero l’iniziativa riuscendo a tagliare la ritirata dell’Alfieri presso Castelvecchio di Rocca Barbena e costringendo i piemontesi a trincerarsi qui. Quello che seguì fu una vera umiliazione per le armi di Savoia: dopo alcuni giorni di assedio, il 6 agosto 1672 i piemontesi cercarono disperatamente di forzare il blocco ma, malgrado l’Alfieri con pochi altri riuscisse a passare, furono respinti con grosse perdite (circa 600 caduti, tra cui vari ufficiali appartenenti al fior fiore della nobiltà subalpina) e costretti alla resa incondizionata. A questo punto l’iniziativa passò ai genovesi: don Gabriele di Savoia riportò le sue truppe in Piemonte mentre i genovesi prendevano la piazza di Oneglia. Da aggressore il ducato di Savoia doveva ora pensare a difendersi.

A Torino scoppiò il finimondo e si cercò immediatamente un capro espiatorio per la sconfitta che fu in breve trovato nel conte Catalano Alfieri: quest’uomo, già in la con gli anni, considerato uno dei più validi militari sabaudi, fu sottoposto a processo, sottoposto a tortura e condannato a morte, morendo in carcere prima dell’esecuzione della sentenza. Sul piano militare la situazione nel breve peggiorò, con i genovesi che aggredirono la contea di Nizza; tuttavia i piemontesi furono in grado di mettere in campo nuove truppe, anche grazie a frettolosi reclutamenti di mercenari stranieri. Il Nizzardo vide alcune piccole piazze, come Briga e la Penna, prese e riconquistate. Si combatté aspramente intorno a Dolceacqua e a Castelrosso ma non si ebbero risultati decisivi. Il duca ottenne l’appoggio di Luigi XIV che inviò alcune navi nelle acque di Oneglia, impedendo così i rifornimenti genovesi dal mare alla piazza occupata: ma più decisiva per la guerra fu la decisione sabauda di effettuare un rinnovato sforzo offensivo più ad est, nell’Acquese, nell’Ovadese e nel Novese. Oneglia fu così abbandonata dai genovesi che reimbarcarono le proprie truppe per spostarle ad est, più vicine alla propria capitale. Ottenuto dal duca di Mantova il libero passaggio attraverso il Monferrato, don Gabriele di Savoia con circa 8.000 uomini, dopo un furioso combattimento, prese Sassello e si portò quindi a stringere la piazzaforte di Ovada che, sebbene difesa da una forte guarnigione genovese, cedette in un paio di giorni, l’11 ottobre. I piemontesi persero comunque circa 800 uomini, molti dei quali caduti in seguito all’esplosione accidentale di una polveriera nel castello. A questo punto però i corsi del Ristori avevano raggiunto le alture del Turchino in modo da bloccare la via verso Genova. Si combatté aspramente sui monti a sud di Ovada e i piemontesi ottennero qualche successo quando fu portata la notizia della tregua d’armi.

Carlo Emanuele e la repubblica si erano avvalsi della mediazione del re di Francia al fine di risolvere le proprie divergenze. Il 10 gennaio 1673 furono pubblicati gli articoli della pace di Saint-Germain-en-Laye con cui, ancora una volta, si ritornava allo “status quo ante”. In questa guerra ignota e dimenticata qualche migliaio di uomini era morto per nulla.

La guerra sabaudo-genovese del 1672 fu realmente l’ultima in cui due stati italiani nell’Ancièn Regime si batterono l’uno contro l’altro; piemontesi e genovesi avrebbero ancora incrociato le armi nel 1745-46 durante la Successione d’Austria ma solo come comprimari. I Savoia, per realizzare le loro aspirazioni territoriali su Genova, avrebbero dovuto attendere il Congresso di Vienna.

 

 

 

 

Autore articolo: Valerio Lucchinetti, laureato in Discipline Economiche e Sociali all’Università Bocconi di Milano con tesi di storia economica sui mercati granari in Lombardia nel XVIII secolo. Attivo professionalmente nel settore della gestione di portafogli azionari è appassionato di storia, con preferenza per il Medio Evo e l’età moderna sino alla Rivoluzione Francese.

Bibliografia: A. de Saluces, Histoire militaire du Piémont; A. Tofanelli, Gli anni di Carlo Emanuele II-1672 La guerra contro Genova. Ciclo di lezioni sul Ducato di Savoia, UNITRE Torino, 2018-2019; C. Varese, Storia della Repubblica di Genova; Pier Giorgio Fassino, L’armata sabauda nell’assedio di Ovada del 1672, in URBS n.2, giugno 2009

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