La leggenda nera degli Angioini

Pochi principi nella storia d’Italia condividono la generale antipatia che circonda colui che Dante caratterizzò, tra le altre cose, per il prominente naso: Carlo, primo re di Napoli e fondatore di una dinastia, quella angioina, sempre caratterizzata nella tradizione storica popolare per le sue caratteristiche negative, tali da dar luogo, appunto, al termine di leggenda nera.

Ma cosa è stata questa leggenda nera? Essa fa riferimento alla storia di una dinastia che si macchiò di un crimine all’ascesa al trono e che, complici due donne con lo stesso nome, Giovanna, vide l’eliminazione fisica dei propri oppositori accadere con una frequenza inusitata nei 169 anni della propria permanenza sul trono, frequenza inusitata anche per tempi violenti come furono quelli che andarono dal 1266 al 1435. Eppure, inizio a parte, le cose sembravano aver preso una piega ben diversa.

Il crimine iniziale, ritenuto tale dalla storiografia ottocentesca, fu la decapitazione in Piazza Mercato, a Napoli, il 29 ottobre 1268, del sedicenne Corradino di Svevia e del suo fedele compagno, il diciannovenne Federico di Baden. Corradino era reo di aver cercato di riprendere le terre di cui era erede, Federico si era limitato ad accompagnarlo. Fu un atto duro, insolito anche per quei tempi duri, ma sicuramente dettato da realpolitik, volontà di eliminare per sempre possibili pretendenti alla corona. Così come fu atto ancor più duro, anche se meno noto, il destino che Carlo riservò alla vedova di re Manfredi, Elena d’Epiro, e ai suoi figli. Imprigionati in condizioni durissime morirono quasi tutti in prigione, la madre dopo pochi anni, i figli dopo circa trent’anni. Dopo Carlo il dominio angioino sul meridione d’Italia si stabilizzò, malgrado i Vespri e la perdita della Sicilia. I due successori di Carlo, Carlo II e Roberto, furono giudicati positivamente, il secondo meritandosi addirittura l’appellativo di “Saggio”. Sotto Carlo II il ramo primogenito della casata si impadronì del trono d’Ungheria, allora il più potente stato dell’Europa orientale, lasciando Napoli al ramo secondogenito. Fu con la morte di Roberto nel 1343 e la successione di sua nipote Giovanna I che cominciarono i guai.

Re Roberto aveva dato in sposa la nipote, ancora bambina, al coetaneo principe Andrea d’Ungheria, intendendo così riunire dopo la propria morte i due rami della casata. La volontà del defunto re era che i due giovani regnassero insieme. Ma Giovanna non ne voleva sapere intendendo governare da sola, forte del supporto della nobiltà napoletana. Nella notte del 18 settembre 1345 il principe Andrea fu trucidato nel castello di Aversa da dei nobili congiurati; secondo la tradizione Giovanna ignorò le urla disperate del marito mentre questi veniva strangolato e poi gettato da una finestra. Questo delitto diede il la ad una lunga serie di avvenimenti. Giovanna sposò in seconde nozze un cugino, Luigi di Taranto, probabilmente già suo amante, mentre il fratello di Andrea, re Luigi il Grande d’Ungheria, si decise per la vendetta e per due volte invase il regno, nel 1348 e nel 1350. Giovanna e Luigi di Taranto si rifugiarono in Provenza e iniziarono a loro volta a litigare per il solito motivo, poiché la regina non voleva condividere il potere. Gli avvenimenti sono complicati ma basti sapere che anche qui la leggenda nera fu nutrita a dovere. In un susseguirsi di accordi e di tradimenti Carlo, duca di Durazzo, cugino e cognato della regina, marito di sua sorella Maria, fu fatto giustiziare dal re d’Ungheria. Alla fine eventi esterni costrinsero l’ungherese a tornare in patria, lasciando Giovanna e Luigi alle loro diatribe. Il papa di Avignone intervenne in favore della regina, inviando a Napoli in suo supporto il provenzale Ugo del Balzo, conte di Avellino. Questi impose il proprio figlio Roberto come marito alla principessa Maria, sorella di Giovanna, ma fu giocato da Luigi di Taranto, che arrivò ad ucciderlo con le proprie mani e alla fine ad averla vinta. La sorella di Giovanna, Maria, si liberò allora a sua volta del proprio marito, facendolo uccidere in propria presenza, tanto per essere sicura. Luigi di Taranto ebbe il potere effettivo, ma venne a morte nel 1362 e dopo di lei Giovanna poté esercitare il potere più o meno da sola, con l’ausilio di un grande ministro, il fiorentino Nicola Acciaiuoli.

Fu lo Scisma d’Occidente a dare il via al terzo atto di questo dramma. Giovanna sostenne il pontefice avignonese Clemente VII contro il legittimo pontefice romano Urbano VI. Questi, signore feudale del regno di Napoli, dichiarò la regina deposta e ne investì il principe Carlo di Durazzo, legittimo erede angioino che bramava di succedere alla regina prima che questa fosse morta. Anche qui scorse il sangue. Giovanna finì deposta, malgrado il sostegno del suo quarto marito, il condottiero tedesco Ottone di Brünswick, e Carlo di Durazzo divenne nel 1381 re Carlo III di Napoli. Fece imprigionare Giovanna nel castello di Muro Lucano e poi, quasi certamente, uccidere. L’ormai anziana regina sarebbe stata legata da quattro sicari e poi soffocata tra due cuscini. Utile dire che neppure Carlo III fece una fine tranquilla, solo 4 anni dopo, nel 1386. Decise che Napoli non era abbastanza e volle togliere l’Ungheria alla figlia di Luigi il Grande, Maria, che era succeduta al padre. Ci riuscì ma arrivato a Buda divenne vittima di un complotto ordito da Maria e dalla madre di questi, e fu ferito a morte quando andò a trovare le due regine nei propri appartamenti. Buon sangue non mente, si potrebbe dire. I suoi sostenitori si vendicarono strozzando la regina madre in presenza della figlia pochi mesi dopo, tanto per tener fede alla tradizione.

Con il successore di Carlo III abbiamo finalmente a Napoli un sovrano che non è stato trattato male dalla storiografia italiana, anzi è stato più volte lodato come il primo ad ambire alla costituzione di un’Italia unita. Si tratta di re Ladislao, un abile e capace sovrano che con il motto “Aut Caesar aut nihil” nei primi anni del ‘400 tentò di conquistare la penisola, arrivando quasi a prendere Firenze dopo aver preso Roma. Ma anche Ladislao fornì opportuni argomenti alla leggenda nera, questa volta prendendosela non con i propri parenti ma con la nobiltà riottosa. La famiglia Sanseverino, probabilmente la più potente del reame, fu notevolmente assottigliata dal sovrano, che con l’inganno fece prendere i suoi membri più in vista e in Castel dell’Ovo li fece mettere a morte, nell’anno 1404 o 1405, non si sa con certezza.

La dinastia terminò con la sorella di Ladislao, Giovanna II, che successe nel 1414 al fratello morto senza figli. Questa donna fu probabilmente una vittima del proprio carattere volubile e delle proprie passioni, che la resero incapace di esercitare effettivamente il potere. Si appoggiò ai suoi amanti, prima Pandolfello Piscopo detto “Alopo” poi Sergianni Caracciolo ma se li vide sottrarre e uccidere dai loro rivali. Per questi suoi amori rimase nella leggenda napoletana come una sovrana oltremodo cattiva, dall’infinità voracità sessuale, che attirava i propri amanti in Castelnuovo e poi li faceva scomparire precipitandoli in segrete piene di serpenti o addirittura coccodrilli… anche lei alimentando così la leggenda nera. Alla fine Giovanna II morì nel 1435 lasciando il reame in preda ad una lotta per la successione tra Alfonso d’Aragona e Renato d’Angiò, da cui l’aragonese emerse alla fine vincitore restituendo al regno lo splendore di un tempo e meritando l’appellativo di Magnanimo.

La storiografia italiana, soprattutto del periodo post-risorgimentale e del primo novecento, alimentata in larga parte da ostilità verso la Francia, ha trattato duramente gli Angioini, favorendo la diffusione della leggenda nera. Ora le cose sono cambiate e l’operato della dinastia è stato rivalutato riconoscendo l’opera angioina nello sviluppo delle istituzioni del regno. Ma nella tradizione la leggenda nera degli Angioini è rimasta e si potrebbe dire che ha infettato anche le due dinastie che successivamente, in tempi diversi, hanno regnato a Napoli: gli Aragonesi ed, in minima misura, pure i Borbone. Ma dalla storia che abbiamo raccontato forse qualche ragione c’era…

 

 

 

 

Autore articolo: Valerio Lucchinetti, laureato in Discipline Economiche e Sociali all’Università Bocconi di Milano con tesi di storia economica sui mercati granari in Lombardia nel XVIII secolo. Attivo professionalmente nel settore della gestione di portafogli azionari è appassionato di storia, con preferenza per il Medio Evo e l’età moderna sino alla Rivoluzione Francese.

Bibliografia: A. Cutolo, Giovanna II. La tempestosa vita di una regina di Napoli; A. Cutolo, Re Ladislao d’Angiò Durazzo; B. Hóman, Gli Angioini di Napoli in Ungheria; G. Iorio, Note di storiografia angioina tra ‘800 e ‘900; E. G. Léonard, Gli Angioini di Napoli

 

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