La pirateria barbaresca nel Cinquecento

La pirateria barbaresca fu a lungo un dramma per il Regno di Napoli. Panico, svilimento dei commerci, saccheggi, stupri, prigionia e schiavitù erano dolorose piaghe portate dai pirati d’Algeri, Tripoli, Tunisi, “infami loro nidi”, come li chiamò Torquato Tasso.

La battaglia di La Prevesa del 27 settembre del 1538 segnò il momento culminante della potenza ottomana sul mare ed a questo periodo risalgono anche le maggiori scorribande inflitte alla Puglia.

Il Mediterraneo era in guerra: Rodi era passata ai Turchi nel 1522 e Carlo V aveva sconfitto Tunisi nel 1535, ma la vera insidia era rappresentata dall’accordo tra la Francia e la Turchia, “empia alleanza” incentrata sulle ambizioni anti-cristiane di Solimano e quelle antispagnole di Francesco I ed alimentata dalla speranza dei capi barbareschi di poter formare stati autonomi sulle coste d’Africa attraverso i servizi prestati ad Istanbul.

E cosi si arrivò alla presa di Castro. I Francesi avrebbero potuto creare problemi a Nord, i Turchi, forti di centomila uomini, da Valona si sarebbero dovuti muovere verso la Puglia. La flotta cristiana guidata da Andrea Doria, inferiore nei numeri, si ritirò a Messina ed i Turchi, sapendo ben guarnite Brindisi ed Otranto, attaccarono Castro.

Era il 27 luglio del 1537 e la cittadina pugliese si arrese subito, nulla potè fare il comandante del castello Mercurino Gattinara se non convenire a patti che i Turchi non rispettarono: ottomila fanti e cinquecento cavalieri saccheggiarono e fecero prigionieri radendo al suolo il centro abitato.

La flotta turca attaccò ancora Porto San Giovanni, mentre alcune milizie, sbarcate sul litorale, penetrarono nell’entroterra bruciando e saccheggiando. Tutto cessò il 7 agosto di quell’anno quando il nemico si mosse contro Corfù, dove però non ebbe fortuna.

Si compì così il primo sacco di Castro. Era il 1537. Il secondo si verificò nel 1573.

La spedizione di Algeri, voluta da Carlo V nel 1541, fu un totale fallimento e numerosi assalti continuarono a verificarsi. E’ il caso degli attacchi ad Ischia e Lipari, nel 1544, quando i pirati fecero oltre ottomila prigionieri, e di Vieste che subì, nel 1554, l’assalto del pirata Dragut, che causò la morte di ben 5.000 persone, di cui molte decapitate sulla “chianca amara“, un ceppo conservato presso la Cattedrale. Fallì pure il blocco di Tripoli del 1560 scatenando invece l’assedio di Gerba che portò Uluch Alì ad una schiacciante vittoria. Da quell’anno si intensificò la costruzione di torri costiere in tutto il Regno di Napoli.

In tale contesto, se Lepanto fu la grande vittoria cristiana, la seconda caduta di Castro fu uno di quegli eventi meno noti che mise in chiaro come le molestie barbaresche non si sarebbero placate.

La storia ci ha consegnato scarni dettagli su questo evento. Forse fu più un tentativo non riuscito che un devastante assalto alla città, certamente fu un fatto d’armi meno rilevante di quello di Taranto del 1594.

Il rinnegato messinese Sinan Bassà Cicala tentò più volte, dal 14 al 22 settembre di quell’anno, di prendere Taranto. Un centinaio di navi da lui condotte sbarcarono le milizie presso il fiume Tara e di lì marciarono verso la città. Furono respinte da Carlo d’Avalos e costrette a reimbarcarsi. Dopo tre giorni tornarono a provarci ma senza miglior fortuna. Ancora accostarono la flotta alle mura cittadine per sottoporle al fuoco delle artiglierie ma furono respinti. Infine un secondo sbarco a Tara portò ad uno scontro aperto che sancì la sconfitta barbaresca.

 

 

 

 

 

Autore: Angelo D’Ambra

Bibliografia:
S. Panareo, Turchi e Barbareschi ai danni di Terra d’Otranto
G. Coniglio, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo V.
M. Mafrici, Mezzogiorno e pirateria nell’età moderna (secoli XVI-XVIII)

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