L’ascesa dei Bonacolsi di Mantova

L’autonomia comunale inizia per Mantova ne l 1116 quando l’imperatore Enrico V assicura ai mantovani che nessun signore prenderà più il posto dei Canossa. Un decreto imperiale garantisce poi l’esenzione dall’albergario, la tassa per il mantenimento dell’esercito. La città guibila. La protezione imperiale garantisce finalmente prosperità e tranquillità sociale ed i mantovani si spingono sino ad abbattere il palazzo che era stato sede dei Canossa.

Nel 1133, Lotario III, successore di Enrico V, riconosce a Mantova più ampi confini amministrativi, spingendo il controllo mantovano sino al Mincio, al Tartaro e all’Oglio. La città, riconoscente, affianca Federico Barbarossa nella sua lotta contro Milano nel 1158. L’imperatore attraversa le Alpi, prende Brescia alleata dei milanesi, poi raccoglie le milizie dei comuni a lui fedeli e mette su un esercito di 15.000 cavalieri e 100.000 fanti – tra cui anche uomini forniti da Mantova – e così sottomette Milano. Alla quarta spedizione in Lombardia del Barbarossa, però, Mantova gli si schiera contro aderendo alla Lega promossa da Cremona. Nella lotta contro l’imperatore è coinvolto anche il Veneto e Mantova vi aderisce convinta di poter guadagnarsi più ampi spazi commerciali, soprattutto perchè scorge l’influenza di Venezia, città che il mercato del sale, guida l’economia del Nord-Est. Il successo, come si sa, è associato alla Battaglia di Legnano ma intanto Mantova è profondamente cambiata.

Ha seguito le vicende dei comuni settentrionali e si ritrova in balia di faide familistiche. La sconvolgono asti e schermaglie, non solo deve difendersi da Ezzelino da Romano, Signore di Verona, ma deve pure fare i conti con rivalità interne che infiammano le famiglie mantovane. Gli Agnelli, gli Avvocati, i Gonzaga, gli Arlotti, gli Assandri, i Visconti, i Visdomini, i Callorosi, i Poltroni… si azzuffano tutti l’uno contro l’altro. Addirittura, il 14 marzo del 1235, viene ucciso il Vescovo Guidotto da Correggio, podestà di Mantova. L’uomo cade vittima di un agguato mentre entra nella sala capitolare del Monastero di Sant’Andrea. Gli assassini sono capeggiati da Uguccione d’Altafoglia Avvocati e appartengono agli Avvocati, ai Poltroni, ai Callorosi, ai Visconti, ai Casaloldi. Riparano tutti a Verona, protetti da Ezzelino, e non si accorgono che la loro bravata a creato a Mantova i presupposti per l’ascesa dei Bonacolsi.

Ansiosi di tornare alla pace sociale, di dimenticare le risse, le turbolenze ed il clamoroso assassinio del loro podestà, i mantovani affidano la carica di rettore a Pinamonte Bonacolsi e Federico da Marcaria. Le famiglie a cui appartengono non sono state coinvolte nella lunga lista di episodi di violenza e godono della fiducia della cittadinanza. Pinamonte ne approfitta e pone le basi per diventare padrone di Mantova. Manda in esilio i rissosi, ottiene l’appoggio dei ricchi Gonzaga restituendo loro le terre usurpate dai Casaloldi e si libera di Federico da Marcaria accusandolo di una inesistente congiura contro le libertà comunali. Così riesce a ristabilire la serenità interna e a mostrarsi come l’unico difensore dell’autonomia municipale. Tutto questo gli vale l’elezione a Capitano del Popolo, carica persino mai contemplata dal Liber privilegiorum Comunis Mantue. Per sicurezza il popolo gli affianca Ottonello Zanecalli ma anche lui, come Federico da Marcaria, finisce subito impelagato in intrighi costruiti ad arte per far apparire Pinamonte Bonacolsi l’unico affidabile uomo politico. Intanto continuano gli esili delle famiglie dissidenti e ribelli, i loro beni sono confiscati ed arricchiscono proprio i Bonacolsi. Il 10 dicembre del 1276, Pinamonte riesce pure a scongiurare un colpo di stato, col popolo che arriva in suo soccorso e Mantova è felice, con la quiete sociale prospera nei commerci e riesce a stabilire accordi di scambio con le città vicine. Ad arrestare la carriera di Pinamonte è però una persona più astuta di lui: suo figlio primogenito Bardellone.

Bardellone Bonacolsi, il 29 settembre del 1291, già rettore di Mantova, guida un drappello di uomini armati e destituisce il podestà, poi fa imprigionare il fratello minore Tagino e lo condanna all’esilio. In un primo tempo si affianca al padre come Capitano del Popolo, poi ne prende completamente il posto.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: G. Vigna, Storia di Mantova; R. Quazza, Mantova attraverso i secoli; B. Arrighi, Storia di Mantova e sua provincia

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