L’eccidio di Montecilfone

L’eccidio di Montecilfone, in provincia di Campobasso, è un episodio assai mesto del Risorgimento in Molise, un storia di violenze e vendette in un contesto di instabilità politica.

Soldati del disciolto esercito borbonico guidati da Francesco Saverio Farano organizzarono una insurrezione popolare trascinando la folla in incendi, saccheggi ed uccisioni. Furono dispersi da un contingente dell’esercito, ma una delle vittime dei briganti, Giuseppe d’Inzeo Flocco, organizzò una subdola e violenta rappresaglia verso i compaesani.
Approfittando del vuoto di potere, del disordine politico, di un paese colmo di cadaveri e di case brucianti, si guadagnò la stima dei militi e, trasformandosi da vittima a carnefice, si vendicò di affronti recenti e passati. Con l’inganno, radunò i cittadini nella chiesa di Montecilfone, trentaquattro furono senza indugio fucilati e trentacinque incarcerati. Nei giorni seguenti le vittime delle esecuzioni salirono a cinquantanove.

Ne informiamo il lettore grazie alla ricostruzione dal giudice istruttore Evangelista conservata all’Archivio di Stato di Caserta (F.P.P.B., B. 118 F. 771). Pubblichiamo il testo per testimoniare quanto brigantaggio e repressione siano fenomeni complessi che esulano da semplici e schematiche interpretazioni.

 

Angelo D’Ambra

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“In Luglio del 1861 alcuni avanzi del disciolto esercito reclutati e diretti da un tal Francesco Saverio Farano, che avea assunto il fastoso titolo di Generale, costituivano in Montecilfone il nucleo di una vasta insurrezione. Occulti agenti, ai quali le novelle politiche istituzioni non andavano a sangue, davano loro impulso con lo scopo di sociali sconvolgimenti, e ne eccitavano le passioni per usufruttuarle a proprio vantaggio. La banda in quel principio era scarsa di numero, ed impotente; ma ingrossata da numerosi forestieri, che o per effetto di un piano preordinato, o per avidità di bottino convenivano giornalmente sul luogo, acquistò minacciose proporzioni. L’ardor della stagione, l’impunità dei primi tentativi, e la sete della rapina porgevano continuo fomite a quella fucina reazionaria, e gli elementi incomposti e discordanti che ebollivano senza posa, non tardavano a scoppiare in aperta rivolta. La furibonda plebaglia si recò in piena balia in Comune ed iniziò le sue imprese con gli incendi, i saccheggi, le requisizioni e col sangue. La casa di D. Giuseppe d’Inzeo Flocco venne messa a ruba, ed a fuoco, ed egli medesimo sia per diversità di opinioni politiche, sia per rancori antecedenti, ricercato a morte. La sua giovine figlia, posasi in fuga, per preservarsi l’onore e la vita, venne per lungo tratto inseguita da due insorti, e si sottrasse da quel pericolo pel ricovero offertogli dal congiunto Michele Gallina. Il baccano anarchico, che attentava alle basi più sacre di ogni consorzio civile, e che venne susseguito dalle aggressioni dei paesi limitrofi, ebbe breve durata. La Truppa accorse prontamente, e con l’energia dell’opera disperse gli insorgenti e ristorò l’impero della legge. Però i disastri di Montecilfone erano ancora in sul nascere, e la reazione avvenuta dovea porgere cagione ed addentellato a scene più deplorevoli e più luttuose. D. Giuseppe d’Inzeo Flocco, uno di quegli uomini, che nel tempo delle commozioni civili riassumono gli sbagli, le intemperanze, ed anche i deliri delle moltitudini e che intendono a qualunque costo rappresentarvi una parte qualsiasi spirò al nome di proscrittore della sua patria. I probi uditi spargono una sinistra luce sul suo conto; e il Certificato di perquisizione rivela che una tempera proclive alla vendetta e poco avezza a risentire gli scrupoli e il freno delle leggi. I pericoli corsi, le violenze sulla figlia, e il saccheggio sofferto gl’ispirarono il desiderio di fiere rappresaglie, e di un ampio indennizzo, e sotto l’ossessione di tale idea la fucina di quell’anima divenne il cratere di un vulcano interno contro coloro che reputava autore dei suoi mali. Predominato da questi pensieri, egli immagina un piano di sterminio a danno dei suoi concittadini, e rientra con la Truppa in Montecilfone. Sorde voci pari a rumori del popolo, che precorrono gli avvenimenti, annunziavano i suoi rancori, e i suoi propositi, e tutti coloro che conoscevano la sua natura e sospettavano di essere designati, corsero ad occultarsi nelle campagne. Coll’atteggiarsi a vittima della reazione il Flocco si guadagna la fiducia degli Ufficiali che prendono alloggio in sua casa; all’ombra dei medesimi s’investe dell’ambito titolo di Capitano della Guardia Nazionale, si fa prestare il giuramento di fedeltà e di obbedienza; ottiene la destituzione del Sindaco e la nomina di un suo congiunto a quell’ufficio; e proclamandosi Re di Montecilfone ed arbitro assoluto della cosa pubblica e privata, assume una dittatura senza limite. Appena giunge nel paese da ordine d’incendio, e di saccheggio, porgendo egli medesimo l’esempio coll’appiccar fuoco alla casa di Gennaro gallina, e manifesta sinistri disegni contro talune famiglie. Indi chiude l’abitato come in un cerchio di ferro, prescrivendo, che tutti vi si riconducessero, e che a niuno fosse lecito uscirne senza suo permesso e pose mano alle fucilazioni ed agli arresti. I suoi decreti furono quasi sempre di morte; involse nella stessa sorte nemici antichi e recenti; e le sue disposizioni vengono ciecamente eseguite perchè era invalsa in tutti gli animi la opinione della sua onnipotenza. Fra le prime vittime sceglie l’onesto giovine Michele Gallina, il salvatore della figlia, gl’innocenti Gennaro ed Antonio padre e figlio Ricciuti, Antonio Pennacchio perché non piaceagli l’incesso e Giuseppe Papiccio, reo di avergli reciso anni dietro il ramo di un albero. L’esecuzioni succedevansi alla giornata; e degli eccessi conghietturavano e le fonti di convincimento in quelle serali pronunzie erano per tutti i prospetti, le tendenze verso la vittima e le relazioni chi avea tenuti con la stessa. In questo alternarsi d’incendi, di saccheggi, di arresti, di fucilazioni, il Flocco non dimentica i danni subiti e nella brama di ristorarsene, bandisce una requisizione di generi, di animali, che asseriva dovere accorrere per la Truppa, ed esige dichiarazioni di debiti, cessioni e vendite simulate di fondi. Per la riscossione dei generi adibisce i congiunti Giorgio e Maria Peta individui rotti agl’intrighi, raggiri ed altre scaltrezze e nella casa dei quali l’Istruttore Signor Squadrilli ne rinvenne una quantità non lieve e negli atti relativi alle cessioni, vendite e dichiarazioni di obblighi adopera la figura del congnato D. Nicola Graziani di Palata. Non pochi nell’intendimento di scongiurare novelli infortuni si rassegnarono all’esigenze del Flocco e pagarono le taglie imposte mentre i ruderi delle case incendiate erano ancora fumanti ed ancora calde le ceneri dei parenti immolati. Coloro che riluttarono alle dure condizioni non ebbero tregua ed addivennero il bersaglio di arbitrari temperamenti. Le requisizioni poi degli animali praticavansi per via di tasse perentorie, e nel caso di riluttanza e di ritardo al mezzo più spedito della cattura adibendosi all’uopo individui reclutati con la minaccia dell’arresto e della fucilazione. I supplizzi individuali non bastavano, ed a decapitare il paese ed a scuotere via meglio il sentimento pubblico bisognavano quelli in massa. Nella Domenica del 22 luglio il Capitano Pastore Comandante della Truppa riuscì nella casa del Flocco, dove dimorava i notevoli del paese e lesse una lista di tutti costoro che a suo giudizio meritavano d’esser mandati alla morte. I convocati e segnatamente il Parroco, inorridiscono a quel progetto di eccidio; rimostrano contro quelle esecuzioni sommarie ed alla rinfusa in cui facilmente gli innocenti si confondevano coi rei, e rilevavano la necessità di procedere lentamente e con più maturo consiglio in affare, che rifletteva l’esistenza di molti cittadini. Il Flocco trasse una lista conforme alla prima. Si turba per quegli scrupo e sostiene della proposta misura era indispensabile. Per la divergenza degl’intendimenti e dell’opinione, l’assemblea si sciolse senza niente risolvere; ma poco dopo il suddetto fatto del Servente comunale bandisce l’ordine che tutti doveano convenir nella Chiesa principale per assistere alla pubblicazione dell’indulto concesso dal Generale Cialdini pei fatti della reazione. Per rendere più credibile quell’annunzio era stato affisso alla porta del Tempio una copia di un decreto di amnistia che le indagini istruttori hanno accertato di non essere stato giammai emesso. Quei naturali o perché abituati ad eseguir ciecamente i voleri del Flocco, o perché stanchi di una vita  trascorsa continuamente fra i palpiti e fra le incertezze, accorrono fidentemente per udir la sperata parola di perdono e di sicurezza. Il Flocco percorse gli angoli della Chiesa e li passa mutamente in rassegna come per investigar se qualcuno mancasse. Indi la soldatesca ne occupa le uscite, il Capitano Pastore, manifestando che solo i quattro autori del massacro del Sergente Iannotti andrebbero al supplizio e che gli altri sarebbero posti alla dipendenza del potere giudiziario, incomincia a leggere a voce alta un notamento di nomi. Il silenzio che succedeva a ciascun nome pronunciato lasciava indeggiar nell’anima di tutti la speranza di essere omesso o il timore di essere nominato. Di coloro che risposero sessantanove vennero arrestati, e il Flocco assegnano a ciascuno il posto che pel Destino precedentemente segnato, gli toccava, li distribuisce in due colonne. Trentaquattro furono senza indugio fucilati e gli altri tradotti nelle prigioni di Larino e Guglionesi. Nel giorno seguente facevasi firmare dai notevoli del Comune una deliberazione senza data da cui appariva che quell’esecuzioni erano state precedentemente risolute e disposte.

Montecilfone decimata dai supplizi, dagli arresti e dalle fughe, tremò a quel tristo spettacolo e presentì la sua rovina. Ogni sicurezza era scomparsa; e le vite e le sostanze dipendevano dal volere di un solo che non riconosceva niun limite ai suoi poteri e ne gli ordini del Comandante militare del Circondario. Proclamò contro il suo proscrittore e le autorità scisse dalle querele di desolate famiglie, disposero il suo arresto. In questo dramma doloroso che ormai ha una trista celebrità nella Provincia non morivano i saturnali, le orgie e gli atti di deplorevole violenza. Femmine impure ed uomini rapaci che nel tempo dei civili perturbamenti sbucano dal fondo delle masse pel desiderio della preda, derubarono e saccheggiarono. Qualche donzella andò soggetta a brutali tentazioni, alcune donne che il pericolo dei loro congiunti trasse nella casa del Flocco, ebbero turpi proposte e richieste; ed alcune altre che implorarono mercì e clemenza, percosse ed ingiurie. Le vittime di quell’esecuzioni aumentarono a cinquantanove; numerosi furono gli arrestati e coloro che pagarono le taglie e non poche le case che subirono l’incendio ed il saccheggio.

Il Flocco nell’interrogatorio deduceva che il suo arresto era stato provocato dall’opera e dalle influenze di D. Primiano Minni di Larino. Che le fucilazioni attribuitegli erano state disposte dagli Ufficiali della Truppa i quali nell’entrare in Montecilfone recavano le liste di tutti coloro che pei fatti della reazione meritavano il supplizio. Addebitava ai medesimi le requisizioni e le altre misure praticate e respingeva qualsiasi partecipazioni alle une ed alle altre e qualsiasi fatto di cui potesse essere ribadito. Le investigazioni istruttorie hanno smentito i maneggi rimproverati al Minni e le influenze dello stesso sulle Autorità del Circondario…”

 

 

 

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