L’introduzione del feudo in Italia

Il feudo, in Italia, venne introdotto nel 774 d.C. dai Franchi di Carlo Magno, non come la maggior parte crede dai Longobardi.

Chiunque riceveva feudi o benefici dai re d’Italia poteva, a sua volta, dividerli ad altri guerrieri, i quali giuravano di essere loro fedeli. Le regioni d’Italia furono rette da duchi, conti e marchesi. In principio, la durata del beneficio era, in Italia come per i germani, annuale; i feudatari italiani erano meri e semplici usufruttuari. Al tempo di Carlo Magno la costituzione feudale era già stata alterata:

  • I feudi erano divenuti vitalizi;
  • Erano trasferibili ai successori.

Il feudo era tanto connesso alla corona che il re aveva facoltà di revocarlo arbitrariamente. Con l’avvento di Ludovico II, imperatore e re d’Italia (855 d.C), venne emanata una legge in base alla quale a nessuno sarebbe stato tolto il beneficio senza una giusta causa, in sostanza si riconobbe al beneficio la durata per l’intera vita del concessionario, in seguito sarebbe passato in concessione al figlio qualora si sarebbe voluto confermare proprietario.

Ducati, marchesati e contadi non erano semplici benefici ma uffici e dignità dello stato, i quali una volta deceduto il concessionario tornavano alla corona, ragion per cui i figli di duchi, conti e marchesi erano esclusi dalla successione. Dal punto di vista politico fu un periodo tumultuoso per l’Italia, questa incertezza nella stabilità fu un’opportunità per molti, così tal prerogativa fu usurpata e i figli dei duchi, dei conti e dei marchesi riuscirono ad ottenere in eredità i vari benefici.

Lotario II emanò una costituzione, in Roma, con la quale estese la successione feudale in linea collaterale sino al settimo grado, mentre per i discendenti fino all’infinito. Dispose anche il divieto di alienazione dei feudi, ma tal prescrizione venne ignorata (soprattutto dai milanesi), ciò poteva accadere perché imperatori e re vivevano lontano dal suolo italico.

Tornando alla questione dell’usurpazione di duchi, marchesi e conti, Federico I dopo l’ascesa al trono (siamo qualche secolo più avanti), trovò un caos nel regno (degno dell’àpeiron di Anassimandro), con duchi, conti e marchesi che alla loro morte dividevano i loro possedimenti tra tutti i loro figli, (ad esempio un duca, con quattro figli, alla sua morte usava dividere i suoi possedimenti per quattro), ciò rendeva difficile se non impossibile la reversione del beneficio alla corona. Per arginare il fenomeno decise di concedere la successione al solo primogenito e di proibire le divisioni. Tutti questi provvedimenti fecero parte di una costituzione ideata per frenare le abusive alienazioni dei feudi. Vietò le alienazioni feudali a favore degli ecclesiastici, la motivazione è chiara, poiché la chiese non sarebbe mai stata a corto di successori, ragion per cui il feudo non sarebbe mai tornato alla corona. Obbligò inoltre i milanesi a chiedere la pace e a restituire le regalie usurpate: gabelle e contadi.

Per le ragioni sopra elencate e per l’assenza di re e imperatori in Italia, ci si avviò verso il decadimento e la corruzione del sistema feudale, tutti valori che ne erano alla base a seguito delle varie usurpazioni e arbitrarietà lo avevano reso pericolosamente instabile.

Entriamo, ancora di più, nel merito del feudo in sé e tentiamo di fare ordine e chiarezza.

Il feudatario è un mero usufruttuario, sottostante il signore concedente, prima per un anno, poi per più anni; in seguito si poté tramandare ai figli. Dopo le leggi di Lotario e Corrado poterono succedere anche nipoti e fratelli. Una volta alterata la legge feudale si poterono fare vendite, donazioni e altri tipi di alienazioni. Queste sono azioni che presuppongono la titolarità, il dominio della cosa, che il feudatario effettivamente non ha. I beni feudali formarono sempre il corpo dello stato, dal quale mai si staccarono ma furono semplicemente concessi in usufrutto a dei meri possessori, ergo, il principio fondamentale del feudalesimo era che il dominio restava al signore concedente 

Chiarito ciò, risulta erroneo e contro la natura intrinseca del feudo, ciò che i feudatari facevano, si atteggiavano a proprietari a titolo originario. Un carattere che contraddistingueva la natura e la provenienza del feudo, era la forma con il quale si veniva investiti dello stesso, se si veniva investiti con la forma tenere in demanio, la provenienza del feudo era diretta dalla corona, mentre con la forma in servitio, denotava la provenienza da parte di un vassallo.

Nel tempo i feudatari riuscirono ad ottenere molte conquiste:

  • I feudi passarono da temporanei a permanenti;
  • Potevano essere tramandati ai discendenti di sangue;
  • Potevano disporne liberamente senza consenso del signore;
  • Credevano di poterne alienare la metà e non oltre, nonostante l’esplicito divieto di alienazione.

Vediamo adesso la parte meramente tecnica, ossia la forma del contratto che si instaurava tra il concedente e il concessionario. Si era soliti ricorrere a due tipi di contratti: il primo, che prendeva il nome di ad propium, con cui il concedente trasferiva al concessionario l’usufrutto senza pretendere altro che il giuramento di fedeltà e l’obbligo del servizio militare; il secondo, dal nome ad libellumcon cui si riservava un semplice censo annuo.

Ciò che avete appena letto è un tentativo di fare chiarezza su un argomento che richiederebbe migliaia di pagine per essere trattato in maniera esaustiva; si è cercato di presentare l’origine del feudo in Italia e la sua evoluzione nel tempo in un modo molto schematico e sintetico, cercando di giungere direttamente al punto focale della questione affrontandola il più chiaramente e sinteticamente possibile.

 

 

 

Autore articolo: Davide Alessandra

 

Davide Alessandra, laureando in giurisprudenza e studente di archivistica, paleografia e diplomatica presso la scuola dell’Archivio di Stato di Palermo.

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