Lo Schiaffo di Anagni

Molte cose si son scritte sul celebre Schiaffo di Anagni ma è vero che Bonifacio VIII fu schiaffeggiato? Le Goff non ha dubbi: “Sciarra Colonna colpì il papa e il Nogaret fu accusato di averlo schiaffeggiato”. Analizziamo la vicenda.

Bonifacio VIII, al secolo Benedetto Caetani, proveniva da una ricca famiglia d’Anagni e fu eletto papa dopo la celebre rinuncia di Celestino V.

I suoi rapporti con Filippo IV detto il Bello furono sempre difficili, sin dal loro primo incontro nel 1290. Il futuro pontefice era allora in Francia come legato ed il Tosti commentò il fatto scrivendo: “Il cardinale tastò Filippo e lo trovò selvaggio di pelo e se ne ricordò per sempre”. Il 30 novembre di quell’anno, rimproverò pubblicamente, all’Università di Parigi, il re francese per aver escluso i francescani dall’insegnamento: “Voi, maestri parigini, avete resto e rendete stolta la dottrina della vostra scienza, turbando tutto il mondo, il che in nessun modo avreste fatto se aveste conosciuto lo stato della Chiesa universale. Voi sedete in cattedra e credete che Cristo venga guidato dalle vostre opinioni. Non così, fratelli miei, non così. Ma siccome il mondo è stato affidato a noi, così dobbiamo preoccuparci non di ciò che giovi ai vostri ‘chillici’, secondo il vostro piacere, ma di quello che, invece, giovi al mondo intero…”. Se suo zio Luigi IX s’era mostra pio e meritevole d’esser proclamato santo, Filippo si mostrò da subito bramoso di asservire la Chiesa alla sua autorità.

Il 24 dicembre dl 1294, non ancora sessantenne, fu eletto papa a Napoli, si recò a Roma dove ricevette la tiara scortato da Carlo II d’Angiò e Carlo Martello, poi stabilì la sua sede ad Anagni.

Appena eletto si scontrò coi nemici della sua famiglia: i Colonna. I cardinali Giacomo e Pietro Colonna ed i loro nipoti, tra cui Giacomo Colonna detto Sciarra, si riunirono nel castello di Lunghezza, vicino Roma e redassero un manifesto contro il papa che fu posto sull’altare di San Pietro. Vi si leggeva: “Domandiamo con insistenza che venga radunato un concilio universale perché stabilisca e dichiari: se la rinuncia di Celestino V è avvenuta legittimamente e canonicamente; e se l’elezione di Bonifacio VIII che è avvenuta dopo la rinuncia, è anch’essa canonica e legittima. In caso contrario, cada l’errore e si provveda a dare il suo vero sposo alla Chiesa”. La risposta del pontefice, trasferitosi momentaneamente ad Orvieto dove Luigi IX fu proclamato santo, fu l’indizione di una crociata contro i Colonna con la bolla del 10 maggio del 1297.

In molti prendono le armi al suo appello ed i Colonna furono sconfitti e Palestrina fu data alle fiamme. Solo la cattedrale venne risparmiata e tra le rovine il pontefice fece tracciare un solco con l’aratro come s’era fatto con Cartagine.

Qualche anno dopo, nel 1301, si rinvigorì lo scontro con la Francia: la bolla a lui indirizzata, Ausculta fili, fu bruciata e sostituita con un falso. Apertamente Filippo il Bello rifiutò ogni subordinazione al papa sino ad indire un’assemblea di vescovi a lui favorevoli a Notre-Dame di Parigi. Bonifacio rispose con la celebre bolla Unam Sanctam ribadendo solennemente i principi della teocrazia papale, ma Filippo si mostrò riluttante ad ogni conciliazione preparando la convocazione di un nuovo concilio per deporre Bonifacio VIII. Il pontefice rientrò precipitosamente nella sua Anagni e s’apprestò a redigere una scomunica contro il re di Francia da pubblicare l’8 settembre del 1303.

Gli emissari di Filippo, guidati dallo spregiudicato Guglielmo di Nogaret, legista del re, decisero allora di affrettare i tempi ed incontrarono Sciarra Colonna, sfuggito all’incendio di Palestrina. I due coalizzano tutta la nobiltà ghibellina romana ed i nemici del papa, tra i quali anche Niccolò e Adinolfo Conti, podestà e capitano del popolo di Anagni, e progettano la congiura che ha luogo nella notte del 6 settembre 1303.

Col favore delle tenebre, i ribelli entrarono in città per la Porta di San Niccolò aperta dal podestà, risalirono l’antico borgo con centinaia di uomini armati, appiccarono il fuoco alla porta del Duomo, misero al sacco la casa canonica, uccisero il prete ungherese Gregorio di Kutupani ed ebbero la meglio sull’opposizione posta dai Caetani e dai loro alleati. Alla fine il palazzo papale aprì le porte ai rivoltosi.

Bonifacio VIII, svegliato dalle campane, li accolse con grande dignità, abbandonato anche dai suoi servi spaventati. Era avvolto nel manto pontificio, con la tiara sul capo, in una mano le chiavi e nell’altra la croce con le sante reliquie. Stette seduto sul trono rispondendo alle accuse ed alle minacce dicendo: “Venite avanti… tagliatemi la testa; voglio soffrire il martirio; voglio morire per la fede di Cristo… Ecco il collo ed ecco la testa!”.

Probabilmente ciò che avvenne non fu un vero e proprio schiaffeggio del pontefice, ma piuttosto un oltraggio morale. Lo storico francese Georges Bordonove scrive: “E’ vero che Sciarra Colonna schiaffeggiò il vegliardo con il suo guanto di ferro? Certamente no. Ma è certo che Sciarra voleva strozzare Bonifacio, e lo avrebbe fatto se non gli avessero impedito di commettere questo orrendo crimine”. Ed il Nogaret nella sua relazione scrisse: “Non toccai la sua persona e non permisi che la si toccasse“. L’atto fu sicuramente grave, il pontefice ricevette minacce e offese affinché ritirasse la bolla ed accettasse di seguirli a Parigi per essere giudicato e deposto, ma è inverosimile che si sostanziò in uno schiaffo.

Dopo due giorni di prigionia, Bonifacio VIII fu liberato dagli anagnini per morire un mese dopo forse anche afflitto da tali vicende oltre che dagli acciacchi naturali.  Il suo successore, Benedetto XI, domenicano presente al misfatto, condannò i responsabili con la bolla Flagitiosum scelus (ovvero “Turpe Delitto”) in cui però si parla genericamente di “mani addosso”. Leggiamo infatti: “Alcuni scelleratissimi uomini, osando la più alta ingiustizia e la più grave perfidia hanno commesso un turpe delitto e un’empietà vergognosa contro la persona della buona memoria di Bonifacio VIII… Alcuni figli della perdizione, primogeniti di Satana, hanno catturato il papa Bonifacio, in Anagni, sua città natale. Ed eran figli che facevano prigioniero il padre; vassalli, come Guglielmo di Nogaret, Rainaldo da Supino, Tommaso da Morolo e altri membri della fazione che, armati, riducevano in servitù il loro signore come un nemico, ingiuriandolo, mettendogli le loro empie mani addosso, eruttando le loro funeste voci di bestemmia…”.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: S. Sibilia, Bonifacio VIII; L. Tosti, Storia di Bonifacio VIII

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