Lo strano caso dei Borbone di Roccaguglielma

Con la fine del Regno delle Due Sicilie i molteplici rami dei Borbone di Napoli si frammentarono in Italia ed all’estero, seguendo percorsi e vicende assai diversificati, fino a sfociare in talune aperte contrapposizioni. Le varie famiglie che discesero dai monarchi delle Due Sicilie hanno sempre mantenuto, però, quale elemento unificante, la rivendicazione dei diritti sull’antico trono e sugli onori ad esso connessi. In queste vicende un caso del tutto peculiare è quello dei Borbone di Roccaguglielma, un ramo cadetto derivante da un matrimonio diseguale che, appena pochi anni dopo la nascita del Regno d’Italia, riconobbe il nuovo stato unitario e rinunciò alle velleità di restaurazione, ottenendo il pieno riconoscimento da parte dell’Italia sabauda e, in seguito, partecipando attivamente alla vita dello stato italiano.

Questo ramo dei Borbone discese dal principe Luigi, conte di Aquila, fratello minore del re Ferdinando II, comandante della Real Marina che, alla metà dell’800, si era fatto fama di liberale, tanto da essere nominato per alcuni mesi Luogotenente del Re in Sicilia, durante il periodo travagliato della rivoluzione del 1848. Con l’ascesa al trono del nipote Francesco II fu sempre più emarginato dalla cerchia dei consiglieri ascoltati dal sovrano, nel 1860 criticò duramente la condotta delle operazioni militari per contrastare l’avanzata garibaldina, attirandosi la diffidenza di Francesco II che lo accusò di aver ordito una congiura per detronizzarlo, costringendolo all’esilio nel mese di agosto, insieme alla moglie Januaria di Braganza, sorella dell’imperatore del Brasile Pedro II, ed ai due figli maschi adolescenti superstiti. La famiglia avrebbe voluto raggiungere il Brasile come meta dell’esilio, ma finì per stabilirsi in Francia. Il figlio maggiore, Luigi Maria Alfonso, insignito dell’Ordine di San Gennaro, era nato a Napoli nel 1845 e visse a Parigi in esilio, dove conobbe Amelia Bellow-Hamel y Penot, giovane e bellissima ereditiera di una famiglia cubano-americana, i due furono travolti da una intensa passione e vollero sposarsi malgrado il conte di Aquila avesse negato nettamente il proprio assenso, per via della condizione borghese della sposa, i due giovani avviarono una lunga peregrinazione tra varie città francesi nell’intento di contrarre matrimonio religioso, che gli fu sempre impedito dalle autorità ecclesiastiche, sia per la minore età della sposa che per le pressioni della famiglia reale di Borbone. I due riuscirono a sposarsi soltanto nel 1869 a New York, in una cerimonia civile organizzata dal padre della sposa, John Bellow-Hamel, ma il matrimonio morganatico non venne riconosciuto valido agli effetti dinastici da Francesco II, che negò a Luigi Maria il trattamento di principe e la possibilità di succedere al padre quale conte di Aquila. Nonostante questo, nel 1872, l’ex sovrano concesse agli sposi il titolo di conti di Roccaguglielma, piccola località della Ciociaria scelta non casualmente: dalla fine del XV secolo al XVII il feudo aveva fatto parte di dominii farnesiani, e i relativi titoli furono considerati patrimonio distintivo della collazione della famiglia reale.

Stemma araldico dei Borbone di Roccaguglielma realizzato da Salvatore de Chiara

Dal matrimonio nacquero, nel 1870, Maria Januaria, che sposò l’inglese William Loys Freeman, che affermava d’essere discendente illegittimo del duca di Berry, su interessamento diretto della regina Vittoria d’Inghilterra, i loro discendenti proveranno a lungo, ma senza successo, a vedersi riconosciuta l’appartenenza alla famiglia reale dei Borboni di Francia. Secondogenito del conte fu Alfonso Luigi, venuto al mondo a Parigi nel 1873. Quest’ultimo intraprese la carriera militare nel Regio Esercito Italiano, frequentò l’Accademia di Modena e ne uscì come ufficiale di cavalleria, strinse rapporti amichevoli con Umberto I, essendo assegnato al reggimento Cavalleggeri intitolato proprio al sovrano, che gli riconobbe il titolo di conte di Roccaguglielma, con lettere patenti del 6 febbraio 1898. Lo stemma aveva questa blasonatura: “Un campo di cielo al castello di tre torri fondato sulla pianura erbosa sostenente un gallo ardito rivoltato, il tutto al naturale, e sormontato a destra da tre gigli, a sinistra da una stella, il tutto di oro”, che è assai simile allo stemma dell’attuale comune di Esperia, in provincia di Frosinone, al quale, in epoca postunitaria, fu assegnato proprio il territorio dell’antica Roccaguglielma, con l’aggiunta di un chiaro riferimento ai gigli borbonici.

Fu un caso praticamente unico, il solo riconoscimento da parte del Regno d’Italia di un titolo nobiliare delle Due Sicilie concesso da Francesco II in esilio, quando ormai la sovranità de facto era ampiamente cessata, e quei titoli avrebbero contrastato nettamente con la nuova legalità italiana. Né si trattò di un riconoscimento qualsiasi, ma di un provvedimento che interessò direttamente un esponente della ex famiglia reale, legando una parte del casato a Casa Savoia. Indubbiamente ragioni familiari, personali e politiche finirono per intrecciarsi: da parte sabauda non si mancò di cogliere l’occasione per conquistare alla causa nazionale un importante “trofeo” della dinastia rivale, da sfruttare anche in chiave propagandistica, da parte del giovane Alfonso dovevano esserci non pochi motivi di distacco verso la famiglia d’origine, non soltanto per l’inimicizia che divideva i conti di Aquila dal ramo principale sin dalla morte di Ferdinando II, ma anche a causa della separazione dei suoi genitori, con i due eredi che vissero con la madre grazie al sostegno finanziario della nonna paterna, la principessa di Braganza, lontano dal conte Luigi di Borbone.

 

In quegli stessi anni Alfonso Luigi avviò anche una serie di battaglie legali per vedersi riconosciuto il diritto ad adoperare il cognome Borbone ed i titoli principeschi. Dapprima innanzi alla giustizia italiana, nel 1901, dovette difendersi dall’accusa di abuso di titolo, essendo solito adoperare i titoli di Altezza Reale e conte di Aquila, venendo assolto, in seguito portò il caso all’attenzione dei tribunali francesi, poiché le prerogative gli erano contestate dagli zii e dai cugini in esilio, ottenendo alfine il diritto all’uso del titolo di Principe Borbone-Sicilia. Si dimise presto dal grado di Capitano dell’esercito e, dopo aver stabilito a lungo la propria residenza nel castello di San Girolamo a Narni, di proprietà della moglie, la contessa Enrica Weiss di Valbranca, si separò da quest’ultima con una causa di divorzio all’estero che ebbe una vasta eco sulla stampa mondana dell’epoca, e si trasferì dapprima Lucca e poi in Francia. Morì nel 1940 nello Chateau d’Arkia, ad Ustaritz in Aquitania. Dal matrimonio ebbe tre figli, Luigi Carlo, nato nel 1898, Maria Gennara, nata nel 1903, e Carlo Maria, nato nel 1905. Il primogenito si distinse durante la Seconda Guerra Mondiale, era già stato Sottotenente d’Artiglieria di complemento negli anni ’20 e fu richiamato in servizio nel 1939 per essere destinato ai servizi informativi in Africa Orientale, ove fu sorpreso dallo scoppio delle ostilità ed assegnato al comando del settore occidentale di Metemma e promosso al grado di Tenente. Qui partecipò alle battaglie per la presa di Cassala nell’autunno del 1940, meritandosi una Croce al Valor Militare per aver svolto funzioni di collegamento tra i reparti durante un violento bombardamento aereo. Luigi Carlo di Borbone morì nel 1967, il fratello Carlo, che fu terzo ed ultimo conte, un anno dopo, estinguendo così la linea maschile dei conti di Roccaguglielma, di cui rimasero uniche esponenti le relative figlie, Maria Cristina, nata nel 1933 e vissuta in Francia, e Isabella, nata nel 1926 a Viareggio e vissuta in Sud America, quest’ultima ottenne la concessione ad personam del titolo di principessa dal capo della Casa Reale delle Due Sicilie, Ferdinando Pio di Borbone.

Nel breve volgere di un secolo questa piccola famiglia sviluppatasi dalla dinastia Borbone visse le proprie vicende in mezzo mondo ed in maniera spesso tumultuosa, finendo spesso agli onori delle cronache per il clamore e le intemperanze dei suoi esponenti, ma rendendosi comunque partecipe degli eventi del suo tempo. Incarnò appieno il momento di passaggio epocale, radicata nelle tradizioni che ascendevano al rinascimento ed alla storia del regno borbonico, ma vitale nella realtà contemporanea del suo tempo.                  

 

 

 

 

 

Autore articolo e foto: Salvatore De Chiara

Bibliografia: Dizionario Biografico Treccani ; Guy Stair Sainty, The Costantinian Order of Saint George; Giuseppe Campolieti, Il Re Bomba; L’Italia, Giornale quotidiano – Organo delle colonie italiane sulla costa del Pacifico. 22/05/1920; New-York Tribune. 20/02/1898; www.famiglienobilinapolitane.it; www.istitutonastroazzurro.org      

 

 

 

 

 

 

Salvatore de Chiara, giornalista, cultore di storia militare e collezionista di cimeli bellici. E’ curatore del Civico Museo di Storia Militare di Aversa e membro del comitato scientifico del MOA (Museum of Operation Avalanche) di Eboli.

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3 pensieri riguardo “Lo strano caso dei Borbone di Roccaguglielma

  • 20 Marzo 2020 in 11:30
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    Gentile Autore, ho letto con molto interesse il suo dettagliato articolo, che mi ha informato su una vicenda che ignoravo completamente. Mi permetto però di formulare un appunto. Roccaguglielma, frazione del comune di Esperia nel basso Frusinate, non è in Ciociaria. La Ciociaria infatti non coincide con la provincia di Frosinone, che istituita nel 1927 ha accorpato territori che sino a quel momento erano appartenuti alla provincia di Caserta alias Terra di Lavoro e territori che appartenevano alla provincia di Roma. A loro volta, i territori che appartenevano alla Terra di Lavoro, e tra questi appunto Roccaguglielma, prima dell’Unità erano parte del Regno delle Due Sicilie, mentre quelli che appartenevano alla provincia di Roma erano parte dello Stato pontificio. La Ciociaria propriamente detta è solo la parte “papalina” della provincia di Frosinone, mentre la parte “casertana” della provincia di Frosinone è Alta Terra di Lavoro. Per cui, Roccaguglielma non è in Ciociaria, bensì in Alta Terra di Lavoro.
    Grazie
    Saluti

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  • 20 Marzo 2020 in 19:09
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    Gentile signor Longo, la ringrazio innanzitutto per l’apprezzamento. Lei pone delle giuste osservazioni ma, come saprà, la questione è tutt’altro che pacifica e definita univocamente, seguendo le particolarità dei territori di confine. Già Galasso, a suo tempo, rilevava come la nozione di “Terra di Lavoro” sia una costruzione più storica che squisitamente geografica, al contempo, nel ‘900, l’individuazione del territorio della “Ciociaria” ha subito modificazioni, con un ampliamento di quello che era il suo concetto più risalente. Non può adoperarsi una semplice individuazione del territorio di Terra di Lavoro con la giurisdizione della provincia omonima, che è creazione ottocentesca, mentre la “Terra laboris” storica aveva i suoi confini settentrionali nel Massico, senza giungere alla valle del Liri. Francamente, mi sembrerebbe una eccessiva forzatura attribuire al territorio compreso tra Cassino e il golfo di Gaeta, ove appunto si trova Roccaguglielma/Esperia, all’Alta Terra di Lavoro, pertanto, ho preferito adoperare una collocazione corrispondente ad una accezione “moderna”, sicuramente non perfettamente aderente alla accezione restrittiva più risalente, ma, non per questo, ingiustificata da elementi storici.

    Cordiali saluti

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    • 7 Luglio 2020 in 13:02
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      Veramente il toponimo Terra di Lavoro in senso amministrativo compare già al tempo di Federico II, che suddivide il Regno di Sicilia in giustizierati, uno dei quali era la Terra di Lavoro insieme al Contado di Molise, che successivamente assunse autonomia amministrativa come giustizierato distinto. E la zona in discorso ne era parte integrante. Ma in ogni caso, il territorio di Cassino e dintorni ha sempre fatto parte, già dai tempi dei Longobardi (avrà presente i placiti cassinesi, detti anche, non a caso, placiti capuani), della medesima compagine territoriale di cui era parte l’attuale territorio casertano. Mentre la denominazione di Ciociaria estesa ai territori ex napoletani è un arbitrio storico – linguistico, giacché, per dire, sotto il profilo storico gli attuali alto e medio Frusinate da una parte e il basso Frusinate dall’altra hanno avuto vicende storiche ben distinte. Similmente, come la ricerca dialettologica ha evidenziato, il confine tra i dialetti meridionali e quelli mediani ricalca sostanzialmente il vecchio confine di stato tra Regno di Napoli e stato pontificio. Per cui l’estensione del toponimo Ciociaria al basso frusinate, in assenza di dati storici e linguistici comuni, non ha alcun senso. Il toponimo Ciociaria sta infatti a indicare una regione storica, ma, per definizione, i territori di una regione storica devono avere storia e cultura in comune. E non è il caso invece dei territori in discorso. Cordialità.

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