Luigi XIV e l’insediamento dei Borbone nei domini spagnoli

Alla morte di Carlo II d’Asbrugo, si insediava a Madrid il duca d’Angiò, Filippo V, nipote di Luigi XIV, re di Francia, un Borbone. La secolare competizione fra le due grandi dinastie europee sembrò così superata in favore del ramo cadetto dei Capetingi. Seguono in merito le riflessioni di Louis Bertrand tratte dal suo “Luigi XIV”.

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Quando, il 10 novembre 1700, Luigi accettò il testamento del Re Cattolico che riconosceva come primo erede il giovane duca d’Angiò, suo pronipote – il re di Francia prese il solo partito che conveniva alla sua dignità, come all’interesse del Paese. Se avesse rifiutato, diventava re di Spagna l’arciduca Carlo, secondogenito dell’imperatore. A nessun costo si poteva ammettere che un tedesco regnasse a Madrid e che l’accerchiamento della Francia ricominciasse, come ai tempi di Carlo V e Francesco I.
Carlo II, l’ultimo Asburgo di Spagna, nonostante il suo odio per tutto quanto fosse francese, s’era rassegnato a riconoscere il duca d’Angiò come su successore per salvare l’integrità della monarchia spagnola: solo un nipote di Luigi XIV, il re più importante d’Europa, gli sembrava capace d’impedirne lo smembramento. Omaggio involontario al prestigio ed all’energia del Re Cristianissimo. Perciò – come fu detto – il secolo XVIII cominciava “con un massimo di prosperità inaudita per la Casa di Borbone”. Tuttavia Luigi XIV non si lasciò montar la testa. Questo autocrate che vedeva avverarsi senza effusione di sangue il sogno più caro di tutta la vita e compiersi miracolosamente il lungo piano perseguito durante tutto il regno – seppe servare anche nel momento del trionfo tutta la sua lucidità di mente. Mostrò nelle parole e negli atti una misura ed una dignità perfette. Ricordiamo la scena storica della presentazione del duca d’Angiò agli ambasciatori stranieri, a Versailles. – “Signori, – disse Luigi XIV, – ecco il re di Spagna! Lo chiamano alla corona la nascita e il testamento del defunto re. Tutta la nazione lo vuole e me lo chiede con insistenza: è l’ordine del Cielo: lo concedo con piacere”. E volgendosi verso il nipote: “Siate buon spagnolo; è questo ora il vostro primo dovere. Ma ricordate che siete francese e mantenete l’unione tra le due nazioni: è il modo di renderle felici e di conservare la pace d’Europa”…
Eppure la guerra era alle porte. Il re lo sapeva, prevedeva le temibili conseguenze del suo atto. Alcuni pretendono che con maggior arrendevolezza si sarebbe potuto evitare il conflitto. Errore o calunnia. Fin dalla divulgazione del testamento di Carlo II, l’imperatore, adiratissimo per aver perduto l’eredità, protestò con violenza; e nella misura che gli permetteva la sua debolezza si preparò alla lotta. Le potenze marittime, l’Inghilterra e l’Olanda dal canto loro si spaventarono pensando che il commercio delle Indie spagnole stava per passar nelle mani dei francesi, come il traffico del Mediterraneo. Guglielmo d’Orange, nemico personale di Luigi XIV, voleva la guerra e finse d’accettare il testamento di Carlo II per prepararsi ad assalire più sicuramente il rivale.
Questi ha davvero commesso gli errori che si addebitano e per presunzione ha provocato una nuova coalizione europea?
Gli si rimprovera d’avere, con lettere patenti registrare al parlamento, conservato al duca d’Angiò i suoi diritti alla corona di Francia: ciò che sembra ammettere la possibilità d’unire la Francia e la Spagna sotto lo scettro d’un principe della Casa di Borbone. Ma era soltanto una misura precauzionale per il caso molto improbabile in cui la discendenza diretta di Luigi XIV venisse a mancare – e d’altra parte cnon era certo che Filippo IV potesse allora conservare la corona di Spagna. Aggiungiamo che l’arciduca, tenace pretendente dell’eredità della monarchia spagnola, non aveva fatto nessuna rinuncia di questo genere. Se diventava re di Spagna poteva anche diventare imperatore di Germania. Nell’ora in cui l’imperatore si preparava alla guerra contro di lui, Luigi XIV aveva forse il diritto di mostrarsi più disinteressato del suo avversario?
…Si rimprovera anche a Luigi XIV d’aver espulso dalle fortezze chiamate “della barriera” le guarnigioni olandesi che grazie ad un trattato, quello di Ryswick, vi montavano la guardia contro di noi. Non si riesce a capire accuse pazze come questa. Dunque il nuovo re di Spagna, ch’era un principe di Francia, doveva tollerare nelle sue città fiamminghe la presenza dei peggiori nemici? Ed il capo dello Stato francese, che vedeva venire la guerra, doveva dare a costoro il formidabile vantaggio di lasciarli stabilire nel cuore del Paese che avrebbe dovuto, domani, difendere in nome del nipote? Più ancora: doveva permettere che tornassero a minacciare la nostra frontiera?
In realtà l’errore che commise Luigi XIV fu – sempre per imprudente generosità – d’aver rilasciato quelle guarnigioni invece di tenerle prigioniere, in attesa che gli olandesi chiarissero le loro intenzioni…
Altro rimprovero inconsistente: si censura Luigi XIV per aver riconosciuto Giacomo Stuart come re d’Inghilterra, invece di Guglielmo d’Orange, proclamato e legittimato dal parlamento inglese – e d’aver così aizzato contro di sé l’opinione pubblica protestante. Ma qualunque cosa potesse fare il re di Francia i protestanti gli davano sempre torto. E dobbiamo confessare che ancora una volta fu moltoingenuo perchè dovendo scegliere tra due pretendenti riconobbe proprio quello che era un altro suo nemico accanito e personale, e che aveva lacerato tutti i trattati e costituito una coalizione contro la Francia. Che più? Giacomo Stuart era esiliato ed infelice. Luigi XIV, da buon francese, credette più cavalleresco schierarsi con l’oppresso e non tradire la causa di chi era suo ospite in Fancia.
Se questo è stato un fallo, fu ben lieve. Luigi XIV ne commise di peggiori. Il più grave fu, nell’ora delle nostre sconfitte, l’ubbidire ai suggerimenti dei disfattisti, capitanati dalla Maintenon. Arrischiò di perdere la guerra decidendosi a cedere al nemico fortezze come Lilla, Condè, Maubeuge e strasburgo e fu sul punto di disonorarsi quando offrì sussidi agli alleati per combattere il re di Spagna, suo nipote. Per fortuna, nell’estrema avversità, questo vecchio malato e straziato dai continui lutti, riuscì a riprendersi. E diventò allora un vero capo nazionale. Seppe parlare alla Francia il linguaggio opportuno e ottenere da essa, per difendere il suolo della patria, i supremi sacrifici. Solo o quasi solo tra quanti lo circondavano non disperò. Ebbe un risveglio superbo che condusse alla vittoria di Denain. Opera sua. L’idea d’una diversione su quella città, diversione decisiva, che si può chiamare un’ispirazione del genio, appartiene al re che seguiva, passo passo, ora per ora, i suoi generali con la carta alla mano, dando istruzioni più savie, pur lasciando loro libertà d’azione…
Con i trattati d’Utrecht e di Rastadt, nostre diventavano la Franca Contea, l’Alsazia con le sue dieci città imperiali e tra esse Strasburgo – Strasburgo, annessa soltanto nel 1681, che dobbiamo all’azione tenace ed alla fede energica e prudente di Luigi XIV e dei soi ministri, Strasbugo testa di ponte sul Reno, una delle chiavi della Francia, la cui riconquista ci è costata, or non è molto, così cara. D’altra parte la Lorena, lasciata provvisoriamente al suo duca, era nostra virtualmente. La frontiera del Nord fu così tracciata più solidamente di oggi… Inoltre il pericolo che allora pesava sulla Francia d’essere accerchiata dalla Spagna e dalla Casa d’Austria, venne per esempre eliminato. Il ramo degli Asburgo fu sostituito dai Borboni.

 

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