Tiziano ed i Farnese

Col suo arrivo a Napoli, Carlo di Borbone ordinò il trasferimento in città della straordinaria raccolta d’arte ereditata dalla madre, Elisabetta Farnese.

Così l’intera collezione Farnese si trova oggi conservata nei musei napoletani, anche l’incredibile quadreria voluta da papa Paolo III, ovvero Alessandro Farnese.

L’amore per l’arte del pontefice portò a Roma, presso la sua corte Tiziano, artista che aveva già conquistato celebrità grazie alle committenze del padronato veneto, dell’Impero e della curia romana. A partire dal 1542, col ritratto del dodicenne Ranuccio Farnese, figlio del comandante dell’esercito pontificio Pierluigi e nipote di Paolo III, Tiziano riuscì a conquistarsi il favore della famiglia Farnese. Per loro, Tiziano realizzò non solo opere di soggetto sacro e mitologico, ma soprattutto ritratti di famiglia. L’importanza della raccolta di Capodimonte consiste nel fatto che, le opere di Tiziano conservata, ne permettono di seguire il percorso artistico fino alle esperienze della maturità.

Pensiamo a “Danae” del 1544 (in copertina). Il dipinto fu trafugato da Hermann Goering durante la Seconda Guerra Mondiale e fu riconsegnato solo nel 1947. Vi osserviamo una superba raffigurazione della figlia del re di Argo sedotta da Giove nella forma di pioggia d’oro secondo il racconto di Ovidio. Qui, la qualità vibrante e preziosa del cromatismo veneziano prende le forme della provocante carnalità del nudo femminile. Questo quadro era presente nelle stanze romane di Alessandro Farnese al tempo in cui era cardinale. La sensualità della donna dovette suscitare scalpore. Il soggetto è intrinsecamente erotico. L’audacia di una tale commissione appare clamorosa e si è voluto che nel volto femminile si celasse quello dell’amante del prelato.

D’un anno successivi sono il “Ritratto di Paolo III con i nipoti” e il “Ritratto del cardinale Alessandro Farnese”.

Paolo III, ossuto ed ingobbito ma ben saldo al seggio cui stringe forte il bracciolo, appare fra i nipoti Alessandro ed Ottavio in una illustrazione che celebra il nepotismo, mal comune ai pontefici rinascimentali, ma che pure decanta il casato. Il pontefice è in atteggiamento colloquiante con Ottavio, proteso in un inchino, mentre Alessandro, primogenito di Pierluigi Farnese, divenuto cardinale a soli quattordici anni per volere del nonno Paolo III, guarda l’osservatore con occhi d’arguzia. Tiziano riuscì qui a mettere a fuoco il carattere d’ognuno dei personaggi in un’atmosfera in cui echeggiano gli intrighi di corte. Una magistrale armonia di bianchi, rossi e scarlatti, frutto della tradizione veneziana, abbraccia il classicismo che Tiziano conosce nell’ambiente romano dominato dal plasticismo michelangiolesco.

In egual modo, il “Ritratto del cardinale Alessandro Farnese” acclama il Farnese con un dettaglio frivolo, quello dei guanti tenuti in primo piano nella mano sinistra, che è la chiave della complessa psicologia del personaggio ormai esponente di spicco della curia, abile diplomatico e raffinato uomo di cultura.

Del terzo periodo, quella della inoltrata maturità, sono invece le tele “Maddalena” e “Annunciazione”. Entrambe le tele esprimono un potente coinvolgimento emotivo; la prima, risalente al 1550, mostra un Tiziano uniformato ai precetti della Chiesa della Controriforma con una pudicizia accentuata ed una serie di dettaglia, il teschio, il libro ed il calice di vetro con la mirra, che ne aumentano il valore penitenziale secondo il rigore dottrinale del Concilio di Trento; la seconda, databile al 1557, assorbe la Controriforma in una pittura di pennellate aperte, dense e sfatte, cariche di luce e plasticismo che sprigionano un’atmosfera di nube cromatica in cui scompaiono i dettagli del mondo reale e si esalta il mistero dell’Incarnazione.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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