Torino e Carlo Emanuele III

Nel 1730 Vittorio Amedeo II abdicò al trono in favore del figlio Carlo Emanuele III. La sua istruzione era stata sommaria, poiché tutte le attenzioni erano andate al fratello maggiore, Vittorio Amedeo, morto nel 1715. Impreparato dunque a ricoprire tale ruolo, il giovane si mostrò inadeguato, orientato a foraggiare a corte il lusso, le feste, i balli. Profondamente deluso il padre tentò di riprendersi la corona. Lasciò il castello di Chamery, dove si era ritirato, e raggiunse Moncalieri. Inaspettatamente qui fu arrestato da due unità di granatieri: Carlo Emanuele III era stato tempestivamente informato delle intenzioni paterne e ne aveva disposto la prigionia. Il primo re del Regno di Sardegna terminò i suoi giorni nel castello di Moncalieri sorvegliato dagli armigeri del figlio che in realtà non si mostrò affatto un pessimo re, anzi.

Nella Guerra di successione di Polonia, entrò a Milano e ne assunse il titolo di duca. Alla pace però ebbe per sé solo le province di Novara e Tortona. Nella Guerra di succesione d’Austria, vinse a Camposanto e battè i francesi a Madonna dell’Olmo, all’Assietta. Alla pace però ebbe solo il Vigevanasco, il contado d’Angera, l’Oltrepo pavese con Bobbio. Il Piemonte sabaudo sotto il suo scettro continuò a crescere.

Torino nei suoi anni di governo passò dai sessantamila abitanti del 1730 agli ottantamila del 1770, era stato inaugurato il Teatro Regio, progettato da Benedetto Alfieri, crebbero poi il commercio e le manifatture e la città da nobile iniziò a divenire borghese. Ne nacque una nuova nobiltà perchè quelli che avevano venduto dietro il banco ora erano divenuti aristocratici, visto che le loro figlie avevano preso in moglie i giovani esponenti dei vecchi casati nobiliari.

La corte, dal canto suo, rispecchiava lo splendore assolutista. Sebbene basso e non bellissimo, il re aveva forza fisica, dignità nelle vesti ed un’ottima istruzione. Il suo servizio comprendeva circa 330 nobili (maggiordomo, gran cancelliere, cappellani, grande elemosiniere, gran cacciatore, cavalieri d’onore, maestro di cerimonie, gentiluomini di camera, di bocca etc.). La servità ammontava a 625 persone. Tutto, nella sua giornata, si svolgeva secondo le prescrizioni del gran maestro delle cerimonie. Si iniziava con la cerimonia dell’abbigliamento, si passava poi alla messa, alle udienze, al pranzo. Era l’udienza la principale occupazione del re e ce ne erano tre al giorno, mentre quattro volte alla settimana erano ricevuti i segretari di stato e solo di giovedì e di sabato si tenevano le udienze pubbliche. Anche il pranzo era sfarzoso. Tutti i principi della famiglia resale sedevano alla stessa tavola presieduta da Carlo Emanuele III, tutti pronti a grandi banchetti ed ottimi vini. Non ancavano i balletti. D’inverno ve ne erano dalle 6 alle 10 del pomeriggio. Per ballare occorreva che il gran maestro delle cerimonie chiamasse per nome i partecipanti e, prima di incominciare, vi era l’obbligo di offrire cinque riverenze alla corona, al re, alla regina.

Tanto sfarzo si riversò anche nelle chiese cittadine, nei palazzi, nei teatri. Entro le mura cittadine c’erano 1427 dei 4243 commercianti di tutto lo stato. Numerose erano le filande, quelle private e quelle degli istituti pii, l’Albergo di Virtù, l’Ospedale di Carità… Si contavano più di mille telai e lo stato favorì gli opifici creando una Compagnia reale del Piemonte per le opere ed i negozi di seta.

Sebbene il re negò ogni autonomia alle contee del Piemonte e ridusse notevolmente la libertà di stampa, assecondando anche qui il più puro assolutismo monarchico, Torino si arricchì di una profonda cultura scientifica. Nel 1757 il conte Salluzzo di Monesiglio, col matematico Joseph-Louis Lagrange e il professore di anatomia Gianfrancesco Cigna, dettero vita all’Accademia Reale delle Scienze attorno alla quale presero a gravitare nomi illustri. Torino divenne una grande capitale culturale europea e vi brillavano gli astri dei fisici Gianbattista Beccaria e Antonio Vassalli Eandi, del chimico Claudio Berholett.

Vittorio Amedeo III, figlio di Carlo Emanuele III, purtroppo fece affievolire questo spirito perchè dovette fare i conti con l’irruzione a corte della Rivoluzione Francese.

 

 

 

 

 

 

Bibliografia: G. Colli, Storia di Torino; F. Cognasco, Storia di Torino

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