I trionfi di Campobasso per Ferrante Gonzaga

Nel 1583 successe a Cesare Gonzaga, secondo conte di Guastalla, suo figlio Ferrante. Questi ebbe una radiosa carriera alla corte di Margherita d’Austria e Filippo III e fu da loro insignito del Toson d’Oro. Nel 1588, proveniente da Napoli, visitò il feudo di Campobasso con sua madre Isabella di Capua, principessa di Molfetta. In tale circostanza si ha la più antica testimonanza cronachistica dell’uso, oggi collegato alla tradizionale Processione del Corpus Domini cittadina, di macchine sceniche chiamate trionfi ed ispirati a temi relgiosi. Quanto segue è tratto dalla “Descrizione delle feste fatte in onore di D. Ferrante Gonzaga, e di Donna Isabella de Capoa in occasione della loro venuta in Campobasso alli 29 maggio 1588” datata il 4 giugno di quell’anno e pubblicata da M. Ziccardi in “I Cappuccini in Campobasso”, Campobasso 1876.

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Avendo l’Università di Campobasso avuto l’avviso che il Principe D. Ferrante Gonzaga e la signora Principessa Donna Isabella de Capoa erano per venire alli 29 maggio 1588, fu fatta elezione di 50 uomini, li quali furono mandati alla Serra Capriola, per incontrarli e accompagnarli sino a Campobasso; tal’è l’amore, e devozioni verso i detti Eccellentissimi Signori Feudatari, e fu mandata un’auriglia ben guarnita, con goladrapppa, e altri ornamenti di velluto negro per la signora Principessa.
Andò ad incontrare li detti signori anche una compagnia di numero 450 fanti e più, a distanza di circa due miglia fuori della terra, tutti ben in ordine, e circa 100 cavalli Giunti lì detti signori al Convento dei Cappuccini (circa mezzo miglio o poco meno di strada dalla Terra,) fecero l’adorazione della Croce, essendosi ivi trovato un Clero in ordine di 40 preti e più, con quattro stendardi, e musica, e in detto luogo si trovavano li Signori del Governo, i quali dopo fatta la cerimonia da parte dell’Università, e avutine i ringraziamenti, la signora Principessa con molta amorevolezza, montà sopra la detta auriglia coperta e difesa da un baldacchino di velluto cremesino, molto vagamente fregiato con l’armi dei detti signori, e così fu condotta per sin dentro la terra. In detto luogo dalli Padri Cappuccini fu preparato un trionfo il quale rappresentava S. Francescon quando ebbe le benedette stigmate, e quindi apparte un angelo che recitò una poesia in lode di detti Signori.
Appresso fu parato un’alto trionfo dalli Artefici Ferrari, avanti al quale fecero trovare due paranze di musica ad incudine e martelli. Prima che s’entrasse in detto trionfo si trovò un’inferno, dove si mostrava come erano tormentate le povere anime con spiriti di Demonii, e vi era un’epitafio che diceva “Ingredi, ne timeas Neptuni filia, conjuxque Trojani”, et alle basi delle colonne di detto trionfo da un lato verso l’inferno era S. Antonio, che assicurava l’ingresso del trionfo; sopra vi era l’angelo S. Michele, che pesava le anime, per darle il luogo del paradiso, o inferno secondo il merito, o demerito loro; e dall’altra base era S. Pietro con le chiavi per aprire il paradiso all’anime che li meritavano. Sotto i piedi del detto Angelo era scritto “mulier gratiosa inveniat gloriam” per mostrare che la signora Principessa era tanto graziosa, quanto degna di gloria, e in fronte all’arco era un’altro epitaffio: “Victoriae palmae, lauri, meriteque triunfi ubique dantur gentium”.
Appresso fu parato un’altro Trionfo dalli Bifolchi, e fra gli altri ornamenti verano due aquile d’oro coronate e in fronte (sotto delle aquile) era scritto, “Grande decus nostri, venturi gloria saecli”, et per li cantoni di detto arco erano scritti a grandi caratteri tre sonetti, uno dedicato al Principe D. Ferrante Gonzaga, un’altro alla Principessa Donna Isabella de Capoa, ed il terzo alla loro figliuolina Donna Zenobia.
Appresso fu parato un’altro Trionfo dalli Vasari il quale fra gli altri ornamenti aveva tre aquile che facevano tre fonti, significanti le grazie che scaturiscono dalla benignità dei detti signori, e sopra era scritto: Descende in domum figuli, et ibi audies verba mea.
Appresso fu parato un’altro Trionfo dalli Scarpari, sostenuto da quattro cavalli, e fra gli altri belli ornamenti vi rappresentarono la Fortezza e la Giustizia, sotto le quali era scritto: Iustissimo Principi: Fortissimo Principi. Vi era anche un pellicano, sotto il quale era scritto “Immensus amor” per figurare l’amore grande che detti Signori han mostrato sempre a questa Terra.
Appresso fu parato un’altro Trionfo dalli Merciari, e tra gli altri ornamenti vi era in fronte di esso la figura di un Cuore, il quale nell’apparire di detti Signori si aperse e mostrò dentro l’armi di loro casato, per indicare che essi l’avevano scolpito nel cuore. Vi fu l’ecclisse del Sole e della Luna significando che all’apparire dei raggi divini della signora Principessa, detti pianeti persero il lume dei raggi loro, e così si videro ecclissati. Vi apparse Cupido che andava scherzando intorno alle divine bellezze, e vi fu rappresentanta anche la favola di Diana con Atteone, perciocchè vi fu finto un bosco con un fonte dove era Diana che si lavava con altre Dee, ed Atteone trasformato in Cervo. In fronte vi era scritto: “Tacemus omnes, sic volvere fata” e poco appresso all’uscire del detto trionfo vi fu un giuoco moresco fatto da tre mori, e una mora, molto dilettevole.
Appresso fu parato un’altro Trionfo dalli Mercanti con una musica di pifferi, e vi erano due Angioli uno che presentava una corona reale, e l’altro uno scettro, per mostrare che detti Signori erano degni di Regni ed Imperi.
All’ultimo fu parato un Trionfo dal Capitolo, e dai Preti, di molto lavoro e ordine. Avea due porte tutte e due belle, apparenti, ricche, e assai be guarnite; nella prima erano quattro colonne lavorate d’oro, e azzurro, tra le quali erano due statue. La prima rappresentava una donna con certi cagnolini alle braccia, e rappresentava la Fedeltà; la seconda rappresentava un’altra donna con certi putti in braccia, e mostrava la Pietà.
Sopra la Fedeltà erano dipinte due mani che facevano una fede, e in mezzo avevano un core infiammato, effetto di detta fedeltà; e sopra la Pietà era un pellicano, emblema dell’amore, e della carità di detti Signori. Sopra erano l’armi del loro casato, e in mezzo era l’arme di detto Capitolo, con un distico in versi, che alludeva all’Aquila di dette armi:
Ut volucrum regina volat sublimior alt,
Gonzagae et gloriae sic petit astra domus.
Sopra tutti gli ordini della prima porta vi era un pallone, con una croce e la iscrizione: Capitulum Campobassanum Principi opt. max. La seconda porta mostrava un lavoro di broccato d’oro ricamato con cremesino, con certi rosoni posti per ordine. Un drappo copriva detta porta, talchè entrando la detta prima porta, e non trovando l’uscita si tirava con artifizio detto drappo, e si apriva detta seconda porta, sopra la quale si leggeva: Civica sic vobis aperimus pectora Divi, per mostrare che come loro si apriva la porta, così gli si aprivano i petti, e i cuori, e si entrava la Borgo di detta città, il quale fu trovato molto riccamente, e vagamente parato.
Smontati i cavalieri furono fatte le debite cerimoni con molto giubilio e allegrezza di tutto il popolo.

 

 

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