Volterra insorge contro Firenze

Il Catasto fiorentino fu promulgato con legge della Repubblica di Firenze il 22 maggio 1427. Gli abitanti di Volterra vi si opposero. I loro ambasciatori furono imprigionati alle Stinche ed ottennero la libertà solo concedendo i libri contabili. Tornati nella loro città, il malcontento esplose con una rivolta capeggiata da Giusto Landini. L’epilogo fu tragico. L’esercito di Firenze si mosse per sedare la ribellione e giunse sotto le mura della città che non riuscì ad ottenere aiuti sperati da Lucca e Siena. Il Landini venne ucciso a tradimento dai suoi concittadini il 7 novembre 1429 affinché si placasse l’ira di Firenze. Tutto è così descritto da Scipione Ammirato.

 

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E Fin da principio a istigazione di Niccolò da Uzzano contrario a Gio & poi a Cosimo suo figliuolo, che favoriva la città di Volterra, fu detto, che si sarebbe posto il catasto ancora sopra i Volterrani come il Distretto di Firenze; a che i Volterrani s’opponevano, pretendendo di non essere che altro soggetti de’ Fiorentini, non che del loro Contado. Ma la bisogna andò d’una maniera, che dopo molti trattati, e dispute, non volendo i Volterrani obbedire, che gli Ufficiali acconsentendovi, il Gonfaloniere Dati, e quella Signoria, ne fecero in più volte diciotto di loro venire in Firenze, i quali dopo molte pratiche furono messi in prigione.

Ma i Prigioni Volterrani stanchi dalla Carcere, e così confortati da Cosimo si lasciarono persuadere a dare i Libri dell’estimo, per il chè furono liberati. Tornati a Volterra, e parendo alla Plebe, che l’interesse de’ Privati avesse bendato gli occhi a quello del Pubblico, e che non si fosse avuto riguardo, come essi dicevano, alla libertà della Patria; fatte ragunanze ne’ Borghi della Città trovarono Gio. Contugi, e lo pregarono a volere essere loro capo, e guida a liberar la Patria dalla Tirannia de’ Fiorentini. Questi, o conoscendo il fondamento, che si deve fare d’un Popolo sollevato, o misurando le forze della Patria con quelle della Repubblica, non si volle mettere a sì gran risico, ma, pregatone propose loro per Capo Giusto Landini molto confidente della Plebe, il quale e per la nobiltà, e per essere Giovane di grand’animo, e di natura inquieto, non ebbe bisogno, nè di grand’inviti, nè di gran conforti, parendogli molto, con liberar la Patria dal giogo de’ Fiorentini, contro de’ quali ardeva di sdegno per essere stato uno dei ritenuti prigione, andare a rischio di farsene Signore.

Disprezzato per tanto ogni considerazione di pericolo prese l’armi, corse la terra gridando, viva il popolo, viva la libertà, viva Volterra. A queste voci tutta la plebe, e molti del popolo gli corrono appresso; perchè andato al palagio, dove risedeva capitano de’ Fiorentini Lorenzo Amadori detto il Grasso ne lo cacciarono, e prese le chiavi delle porte della città, corsero alla fortezza, dove rotto le porte se ne impadronirono senza contrasto. Giusto vedendosi padrone del palazzo del capitano, e della fortezza, si fece eleggere a viva voce per capitano e per castellano. I priori di Volterra, a quali in tale tumulto erano ricorsi tutti i buoni cittadini, non sapendo dove la cosa avesse andare a parare, non parendo nè anche a loro di viver sicuri, mandarono a Giusto Michele Landini suo consorte e Antonio Broccardi per saper da lui quello che pretendeva. Giusto rispose non altro, che conservar la libertà della città e del popolo; dal quale essendo stato eletto capitano, si voleva mantenere, a che se i priori avessero acconsentito, non sarebbe nè a loro, nè agli altri magistrati della città fatto alcuno oltraggio. I priori per aver tempo a consultare e provvedersi, approvarono l’elèzione di Giusto in capitano del popolo, e mandarono Piero Gualfredini da Verona lor cancelliere a riceverne il giuramento. Il giorno dopo non quietandosi il popolo, andò alla badia di S. Giusto, dove trovandosi abate Bernardo della Rena fiorentino lo fece prigione. Impadronitisi poi della rocca di Monteveltraio, Giusto co’ snoi seguaci diveniva ogni giorno più insolente, maltrattando quelli che eran conosciuti aderenti a Fiorentini.

La novella di sì fatto accidente a Firenze sentita, grandemente turbò gli animi de’cittadini; nondimeno trovandosi senza altra briga di fuori, e la città dentro, benchè vi fussero segreti umori, essendo quieta, non si disperarono d’aver presto a ricuperare la perduta città, e a gastigare gli autori della ribellione. Crearonsi dieci cittadini per questa impresa, Niccolò da Uzzano, Parigi Corbinelli, Ridolfo Peruzzi, Antonio da Rabatta, Palla Strozzi, Giovanni Gianfigliazzi, Rinaldo degli Albizi, Cresci di Cresci; e due artefici, Banco di Sandro, e Puccio d’Antonio di Puccio, ma de’quali i Pucci in breve tempo divennero nobili e grandi sopra modo. Da costoro la somma di tutta l’impresa fu data ai due cavalieri Rinaldo degli Albizi, e Palla Strozzi; i quali con gran diligenza ragunarono insieme tutte le lorgenti d’arme, levarono di Valdarno di sotto, e del contado di Pisa gran fanteria, e sapendo che Niccolò Fortebraccio dopo la pace fatta col duca di Milano era venuto in Toscana, e trovavasi in Fucecchio, mandarono per lui ; il quale venuto con le sue genti a servigi de’ commessari secondo gli fu comandato, si pose con esso loro col campo intorno Volterra, avendo però prima l’Albizi e lo Strozzi fatto sapere a Volterrani, che se si fossero rimessi ne’signori, sì per conto  del catasto come per il resto, che sarebbe lor perdona to, e in altra maniera trattati come mimici . Giusto il quale non era in dubbio, che i Fiorentini l’avessero ad assaltare, per quanto la brevità del tempo gli aveva conceduto, non era stato a dormire. E benchè sperasse che la città per la fortezza del sito, e per la grassezza del luogo fosse atta a potersi difendere per qualche tempo, avea nondimeno richiesto i Sanesi e i Lucchesi d’aiuto , ma nè da quelli cavò alcun frutto, perciocchè i Sanesi a’ quali di Firenze s’era mandato Neri Capponi per dar conto del  seguìto e richiedergli a tener le loro genti leste  allegavano d’essere in lega co Fiorentini, e Paolo Guinigi, a cui parea aver fatto torto a Fiorentini nella guerra avuta col duca di Milano, e dubitava che un giorno non se ne risentissero, non solo negò l’aiuto, che Giusto gli addomandava, ma come spesso sogliono fare molti, i quali si credono un errore con un altro ricoprire, ne mandò a Firenze prigione l’uomo da Giusto mandatogli. Con tutto ciò non s’era Giusto smarrito punto d’animo, e volendo più tosto morir principe di Volterra, che lasciarsi morir di stento nelle Stinche, o che il carnefice come a ribello gli mozzasse il capo su la piazza di S. Pulinari, attendeva animosamente a tutti i ripari, quando la rovina gli venne da quel lato, che temea meno.  Avea Giovanni Contugi, quello che messe avanti Giusto alla plebe, un consorte detto Ercolano cavaliere, uomo di autorità grande fra nobili: costui o per rimediare all’error del consorte, o perchè conoscesse le forze loro non esser tante a difendersi dal popolo fiorentino, e così veder la rovina certa della patria, o pure venutogli in fastidio le insolenze della plebe; ristrettosi co’ priori, i quali ancora non si assicuravano delle promesse di Giusto, si risolvettero di dargli la morte. Il che essendo difficile ad eseguirsi per stare e andar Giusto con gran comitiva di gente armata, presero i priori per spediente di fargli sapere, che averebbero avuto grandissimo bisogno per interesse suo e del pubblico di parlargli segretamente nella loro audienza; nella quale, non sospettando punto Giusto, parendogli di fare il servizio di tutti, andò molto liberamente, con lasciar tutta la sua gente alla porta del palagio de’priori. Ma non prima entrato nell’audienza, che il medesimo Ercolani con gli altri congiurati gli furono con l’arme addosso. Giusto come uomo feroce e ardito, vedutosi assalire pose mano alla spada che avea a lato, e con quella coraggiosamente difendendosi , ferì mortalmente due delli assalitori ; ma non potendo solo far lunga resistenza a molti, fu il settimo giorno di novembre con le ferite messo in terra; di dove preso ancora spirante, fu gettato dalle finestre del palazzo su la piazza, gridando viva il buono stato della  città di Volterra, i buoni cittadini, e l’amicizia col comune di Firenze; dalle quali voci, e dalla vista del sanguinoso corpo di Giusto sbigottiti i suoi seguaci, e’l popolo, restò il governo di Volterra a priori ; i quali mandarono il medesimo Ercolano Contugi, e Ottaviano Barlettani a commessari dell’ esercito fiorentino per dar lor conto del seguìto, e invitarli a andare a Volterra; nella quale tre giorni dopo la morte di Giusto furono ricevuti con grande allegrezza. Ma volendo i Volterrani trattare dell’aggiustamento con la Repubblica furono da commessari rimessi a Dieci della guerra a Firenze. Dove venuto l’avviso della ricuperazione di Volterra alla signoria, della quale era capo Tommaso Barbadori, varie furono le opinioni circa il perdono o gastigo de’ Volterrani; ma considerando che questa era la terza volta, che dall’arme loro era stata riacquistata, vinse il partito più severo; perciocchè furono privi di poter più eleggere il podestà, dando tutta l’autorità di quello uficiale al capitano del popolo, e oltre alla guardia della rocca di Volterra vollero che vi  si facesse una fortezza di nuovo, con far guardar quella  di Monteveltraio e di Silano, con altri ordini anche per il catasto.

 

 

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