1784, Venezia contro Tunisi

Sul finire del Settecento, le mai sopite ostilità tra Venezia e Tunisi esplosero in un incidente nel quale restarono coinvolti degli abitanti di Sfax. Il tentativo di composizione da parte di un emissario della Serenissima fallì e, nel gennaio del 1784, il Bey di Tunisi, Hamuda, dichiarò guerra a Venezia.

Il capitano veneto Padella era stato nel porto di Zerbi, sulla costa di Tunisi, per sbarcarvi un carico fatto ad Alessandria. Purtroppo il suo equipaggio era stato colpito dalla peste e i commercianti di Zerbi avevano rifiutato ogni contatto ingiungendo a Padella di allontanarsi. Il capitano riparò a Malta e qui le merci furono bruciate e l’equipaggio messo in quarantena. Così sorse il fraintendimento che portò alla guerra tra Venezia e Tunisi. Un accordo, infatti, stabiliva che la Repubblica avrebbe risarcito Tunisi di eventuali legni predati da navi maltesi. Ora, sebbene la nave di Padella non fosse affatto una preda della corsa, il Bey di Tunisi la intese come tale e reclamò il suo risarcimento, una cifra pari a diciassettemila zecchini. Il contrammiraglio Quirini tentò di ricomporre il dissidio ma non vi riuscì e così il Senato veneto armò la sua flotta affidandola a Angelo Emo, l’ultimo Capitano da mar della Repubblica di Venezia.

L’intento della Serenissima non era quello di far subito la guerra, ma di indurre il Bay ad abbandonare la sua ostinazione, così, nel giro di due mesi, la Concordia, diretta dal Condulmer, e due sciabecchi, il Nettuno ed il Cupido, varati a Corfù e si unirono alle navi di Venezia, la Fama, su cui era Angelo Emo, la Forza, affidata all’almirante Moro, la fregata Palma comandata da Cicogna, lo sciabecco Tritone comandato da Zoppola e le bombarde Distruzione e Polonia dei capitani Duplessis e Tommasi.

Angelo Emo comandò la squadra che si presentò nel settembre di quell’anno di fronte a Tunisi, facendo fuoco a più riprese per poi veleggiare su Susa. Il Bey non sembrò colpito dai fatti e quel porto fu bombardato per diciassette giorni. Le operazioni furono sospese solo per le condizioni del mare col sopraggiungere dell’inverno, ma l’ammiraglio guidò il successivo intervento, l’anno seguente, continuando il blocco di Susa ed effettuando altri bombardamenti su Sfax e la Goletta, anche a mezzo di batterie galleggianti da lui ideate e costruite.

A queste nuove operazione si unirono due grosse barche con obici e altre quattro scialuppe. Sfax aveva fama di inaccessibilità per i suoi bassi fondali e gli scogli. I francesi, tempo prima, vi avevano perduto una fregata. Angelo Emo però si adoperò in scrupolosi scandagli e penetrò sin sotto la città bombardandola per quattro giorni. Anche la Goletta aveva un difficile accesso, protetto da un castello ben munito di artiglierie. Emo vi entrò egualmente e, dopo aver invano proposto ancora al Bey di trattare, fece disporre i fianchi delle sue navi contro le batterie nemiche e poi impiegò le sue zattere galleggianti. “Consistevano in un rettangolo formato da 24 ed anche 36 botti disposte in 4 o 5 linee parallele, legate da funi, e rinchiuse in un telajo composto di grossi alberi. I vani fra linea e linea erano occupati dai così detti madieri; l’insieme offriva quindi una specie di piattaforma. Queste galleggianti portavano nella loro fronte de’ mortai o de’ grossi cannoni difesi da parapetti di alquanti sacchi di sabbia; al lato opposto stavano le munizioni, d’onde l’equilibrio di que’ navigli ingegnosi. Scortate dalle più forti scialuppe delle navi, poteano entar sicure nei bassi fondi, accostarsi alle batterie del molo e dei canali, rendere colla barriera dei sacchi inutile il loro fuoco, e offender sicure il nemico coi tiri de’ mortai e de’ cannoni di cui erano fornite”, si legge in Di Angelo Emo e delle sue geste. I tunisini restarono atterriti nel veder bombardati ed andar in fiamme quei luoghi che pensavano inespugnabili. A Goletta chiesero la tregua e l’Emo la accordò. Finalmente Hamuda apparve accondiscendere alle richieste di negoziati prima respinte, tuttavia appena le vele veneziane furono lontane dalla costa tunisina, le trattative furono accantonate.

Le navi veneziane, tra la primavera e l’autunno del 1786, tornarono a bombardare Sfax, Biserta e Susa. I veneziani stavolta trovarono Sfax munita di un nuovo molo sporgente sulla rada e protetta da nuove batterie e diciotto cannoni affidati ad ufficiali francesi. L’attacco di Emo si affidò ancora alle zattere e fu ancora una volta efficace. Giorni dopo l’ammiraglio era a Biserta e con un bombardamento la lasciò distrutta, con le rovine in fiamme. Egual sorte toccò poi a Susa. Uno sbarco avrebbe potuto portare ad una vittoria definitiva sulla Reggenza di Tunisi, ma il senato lo negò perché non disponeva delle risorse per poter gestire un attacco da terra e poi conservare il controllo del territorio. I negoziati ripresero quando l’improvvisa morte colse l’ammiraglio Angelo Emo. Si concordò una tregua e successive trattative condussero finalmente alla firma di un trattato di pace il 18 maggio 1792.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

Bibliografia: F. Frasca, Il potere marittimo in età moderna; A. Meneghelli, Di Angelo Emo e delle sue geste

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