Andrea Doria e Francesco I

Le relazioni tra il grande ammiraglio genovese, Andrea Doria e Francesco I, andarono in crisi quando il re di Francia affidò ad un ammiraglio francese la flotta che avrebbe dovuto attaccare il Regno di Napoli. Tuttavia il rapporto era già logoro per vicende private ed altre politiche connesse alle sorti della Repubblica di Genova. Il brano che segue è tratto da M. G. Canale, Nuova istoria della Repubblica di Genova.

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Ad Andrea Doria venuto era in odio già il governo e il servizio di Francesco I. Questo re invece di ristorare la propria fama in Italia, di aiutare il Pontefice, e rilevarlo dall’ingiuria enorme sofferta per l’infame saccheggio, serbando integra la fede, e salde le sue promesse, seguitava ad immergersi nei piaceri e nelle lascivie, e più che ad onoratamente vendicarsi della patita prigionia e di quella de figli, che tuttora gemevano in ostaggio, pensava nelle gozzoviglie a dimenticare i dolori del passato, e la vergogna dell’offesa. Arroge, che per niun patto voleva restituire Savona alla Repubblica, mentre questa gli si era data per la promessa e la ricuperazione di quella, guarentitale dal Doria. Ora Renzo da Ceri indignato di non avere potuto far prevalere il suo consiglio dell’impresa di Sicilia, accusava calunniando il Doria, e secolui i fuorusciti siciliani, fallito il disegno di tornare in patria, ascrivevangli gl’infausti successi della Sardegna, quindi il re porgendo orecchio ad essi anzichè alle giustificazioni sue, me sorgeva una mala soddisfazione che facea di leggieri presagire i più sinistri effetti. L’animo dell’ammiraglio ne rimaneva profondamente amareggiato, poichè a questi aggiungevansi altri, nè men gravi motivi di disgusto. Egli andava creditore della corona per la sua prima condotta di scudi ventimila, e di altrettanti per il riscatto dei principe d’Orange come risultava da un’espressa convenzione. Da qualche tempo sopportava con paziente animo le opposizioni e le invidie di Francesco del Prato cancelliere di Francia e del gran contestabile Auna di Montmoransi, ministri potentissimi di Francesco, essi odiavanlo e perseguitavanlo, mal comportando che un forestiero fosse entrato tanto innanzi negli uffizi del regno, e nella grazia del re da essere eletto ammiraglio del Mediterraneo. Già le loro insidie e le male parole aveano fatta forza sull’animo effeminato di Francesco prima della sua prigionia, avvenuta questa, più libero trovando il campo, diedero peggiore opera al malvagio talento che li traeva, sicchè il Doria si vide costretto a lasciarne il servizio. Intanto una nuova offesa accrebbe lo sdegno. Essendo dal re allestita una flotta per Napoli, ne assegnò egli il comando ad Andrea; scusossi questi dall’accettarlo, per gravezza di età e cagionevolezza di corpo, pregando però la buona grazia di lui a sopperirvi con Filippo Doria suo luogotenente, il quale trovandosi allora in Toscana, più agevolmente poteva recarsi ad attendere alle cose di Napoli. Nonchè accogliere la preghiera del Doria, il re conferì l’onore e l’incarico della spedizione al signor Barcessieux del che molto ebbe a dolersene. Crebbero i rancori di una parte, e i sospetti dell’altra, quando essendo stato preso dagli armatori francesi un brigantino che dall’Italia trapassava in Ispagna, fu trovata addosso da uno spagnuolo una credenziale di Andrea a Cesare, donde parea risultare che il portatore avesse uffizio di patteggiare il riscatto di alcuni prigioni; gridarono i regi ministri, amplificarono, sigurarono il fatto, consigliarono che lo spagnuolo si sostenesse, e fosse sottoposto alla tortura per estorcergli fra i tormenti l’esatto senso delle sue commissioni; ma querelossene acerbamente l’ammiraglio, e il re non credette di procedere oltre, ordinando fosse colui posto in libertà…

L’esito di quella giornata navale congiunta alla peste e alla fame che fieramente tribolavano la città di Napoli, dovea senza dubbio decidere le sorti dell’assedio, e darla vinta ai Francesi, ma qui un avvenimento inopinato turbò ogni ragionevole previsione; fu questo il trapassare che fece Andrea Doria dagli stipendi di Francesco I a quelli di Carlo V. Ne dirò con qualche ampiezza le cagioni, affinchè si riconosca che se il memorabile mutamento produsse effetti singolarissimi che non tutti possono tornare a lode del Doria, ciò che vi diede origine non gli va in alcun modo imputato, poichè me fu solo cagione la leggerezza e la slealtà del re di Francia, l’indipendenza di Genova, e la giustizia che tutta era dalla parte di Andrea. Private e pubbliche cagioni erano dunque quelle che muovevano l’animo del Doria ad alienarsi dalla parte di Francia e seguitare l’imperiale: quale delle due facesse a lui più forza, non è dato affermarlo; gli effetti che ne seguirono parvero persuadere che meglio in esso valessero le private che le pubbliche, e giovassesi di una particolare e giusta opportunità per recare ad esecuzione un disegno che a sè, alla propria famiglia e fazione era insieme utilissimo. Qui la ragione della storia non ha facoltà di penetrare. Solo Iddio, onnipotente conoscitore dell’umana coscienza, e suo inesorabile giudice, può misurarne gli abissi. Certo egli è che non mai da più legittima e pura sorgente ebbe a derivare il dominio eziandio oppressivo di un uomo e della famiglia di lui sopra la propria patria.

 

 

 

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