Bergamo e la sua antica fiera

Nell’ampio piazzale tra i borghi di San Leonardo e Sant’Antonio, a Bergamo, ogni anno, veniva anticamente organizzata una grande fiera cittadina, centro di prosperi traffici in tutta Italia. Ce ne parla questo testo tratto da Il Messaggero Tirolese del 1834.


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Antichissima è l’istituzione di questa fiera. Ch’essa esiste ai tempi di Berengario, ne fa fede il decreto, con cui questo Re concesse ad Adalberto vescovo di Bergamo gli annui proventi dei dazi, e le gabelle, che ritraevansi dalla medesima. Il sito, in che esercitavansi, chiamato il prato di s. Alessandro, era altre volte vastissimo, a segno tale che, nella stagione autunnale, il genio caratteristico di questo paese per l’uccellagione metteva a profitto quella grande spianata per la caccia delle allodole. Vecchiamente vi si costruivano in occasione della fiera botteghe e baracche di legno dai singoli negozianti. Nell’anno 1591, la notte dal 24 al 25 agosto, uno spaventevole incendio distrusse quasi tutta la fiera, recando ai negozianti un danno, che si calcolò oltrepassare i 600 mila scudi d’oro (austr. L. 7,980.000). Nel 1752 la città di Bergamo fece erigere, sotto la direzione di alcuni cittadini nominati dal Consiglio, il fabbricato, che‘ ora vediamo. La spesa relativa fu sostenuta nella massima parte da privati negozianti, che divennero cosi proprietari delle rispettive botteghe coll’obbligo del pagamento di un canone annuale all’ospital Maggiore, avente il dominio utile del fondo per donazione fattagliene dalla città nel 1475.

Il Veneto Senato nel 1476 decretò, che la fiera godesse piena esenzione di dazi nei giorni dal 22 al 30 agosto, e che questa esenzione si limitasse alla sola metà per la protrazione di altri quattro di successivi. La durata della fiera sino all’otto settembre non fu introdotta che in tempi posteriori. Lo stesso Senato poi nel 1615 emanò un apposito regolamento per la fiera, e determinò i precisi confini del prato s. Alessandro, entro i quali doveva esercitarsi col godimento dei relativi privilegi; essendo allora vietato ai mercanti esteri e nazionali il tenere queste botteghe fuori di quel recinto.

Merci, che principalmente vedevansi in fiera, erano i panni (nella maggior parte fabbricati in questa provincia o in quelle di Verona, Vicenza, e Padova, nell’ultima delle quali i fabbricatori lavoravano per alcuni mesi dell’anno per conto dei negozianti bergamaschi), le cosi dette saglie ed altre stoffe leggiere di lana di Francia e delle Fiandre, le tele di Germania , le mussole d’Inghilterra, della Francia e della Svizzera; il canape, le tele ed i cordaggi del Bolognese, dei domini Estensi e del Mantovano; i lavori di ferro e di rame di produzione della provincia , e in tempi più recenti le sete. Gli oggetti poi di moda, le chincaglierie ecc. non vedevansi ordinariamente in questo paese se non in tempo di fiera, dove venivano trasportati in molta parte da fabbricatori e negozianti Milanesi. Perciò a quest’epoca numerosissimo era qui il concorso di mercanti e di compratori italiani e d’estere regioni; ad accrescere il quale contribuivano, anche i molti spettacoli e popolari divertimenti, che qui si davano durante la fiera. Il Consiglio civico, cominciando col 1530, nominava tre distinti cittadini col titolo di Conservatori della fiera i quali aveano l’incarico di vegliare al buon ordine della medesima, e il sosteneano con molta dignità e splendidezza. Le quistioni tra i negozianti e i gabellieri erano in via sommaria giudicate con ogni favore ai primi, i quali erano protetti dall’autorità municipale.

Caduta la veneta repubblica, i privilegi della fiera si restrinsero, come sono anche presente, a rilasciare con annotazioni in sospeso le merci estere destinate al traffico della fiera; per quindi esigere il dazio d’importazione sopra quelle vendute per gli interni consumi dello Stato, e il dazio di transito sopra quelle vendute per l’estero, con restrizione dell’esenzione da ogni contributo. alle merci, che si rispediscono fuori pel medesimo stradale, pel quale entrarono.

Comique però col progresso dei tempi le facilitazioni accordate alla fiera si rendessero di poco momento, ciò non per tanto l’industria di questi abitanti, e fortunate combinazioni la mantennero sempre, com’è tuttavia, in prospero stato, e tale, che mentre altro perivano, essa conservossi superiore forse alla maggior parte delle fiere d’Europa. lI traffico delle sete crebbe qui in proporzione del grande aumentarsi del prodotto di questo prezioso genere, e dell’arricchirsi delle molte case commerciali qui stanziate. Il territorio di questa provincia produce annualmente pesi o rublii 250 mila di bozzoli. Ma non è a questa sola quantità, che si limita questo ramo del suo traffico. Molte partite di bozzoli del Bresciano, del Cremonese, del Mantovano, e del Veronese vengono acquistate e filato da speculatori bergamaschi. Inoltre i ricchi negozianti di questo paese acquistar sogliono molto partite di seta già filata nelle suddette provincie e nel Tirolo; e può dirsi che il traffico in grande delle sete vien fatto in Lombardia quasi esclusivamente dai negozianti bergamaschi e milanesi. Vivo per tutto il corso dell’anno egli è qui il commercio di questa merce, e continua ne e la spedizione ad estere regioni e particoltarmente a Londra; oltreché vi hanno anche molti opifici per le prime operazioni di manifattura della seta filata. Numerosissime perciò e molto importanti sono sempre le contrattazioni anche in tempo della fiera.

Dopo le sete, è il ferro, che occupa l’industria di questo paese, e che costituisce un considerevole ramo del suo commercio attivo. Varie miniere di questo metallo scavansi nelle Valli Brembana, Seriana, e Camonica. Il minerale, che se ne ritrae, vien fuso in molti forni; e poscia il ferro greggio proveniente da questi viene in parecchie fucine lavorato e ridotto in verghe, e in lastre, in cerchi da carro ecc. Inoltre la seconda delle valli produce anche dell’ottimo accijo ed anche parecchi oggetti di ferro fuso; nella quale ultima manifattura alcuni di que’ fonditori vanno perfezionandosi. L’industria del ferro però soggiacque ad una diminuzione per la concorrenza dei ferri stranieri, massime della Carinzia.

Ma ciò, che costituisce la maggiore floridezza dell’attuale fiera di Bergamo, è la sterminata quantità di panni, cotonerie, e telerie di lino e canape proveniente delle fabbriche tedesche della Monarchia Austriaca. Non è da tacersi, che la grande affluenza in Italia delle merci germaniche, e particolarmente dei panni, ha portato una scossa alle fabbriche nazionali, ed in quelle spezialmente della nostra Valgandino, e di Schio. Siccome però questo colpo si è fatto particolarmente sentire a riguardo delle merci più ordinarie; cosi alcuni più avveduti e giudiziosi nostri manufattori si applicarono da qualche tempo con prospero successo alla fabbricazione di stoffe line, e mezzo fine, con introduzione delle macchine di forestiera invenzione, e in questo modo anche la merce indigena serve ed accrescere la quantità delle operazioni commerciali della fiera.

Grandioso, è pure l’arrivo dei saponi provenienti delle fabbriche di Verona, di Vicenza, di Chioggia, e di Trieste. Lo smercio, che qui se ne fa, serve ai bisogni della maggior parte della Lombardia, inconcludente essendo la quantità, che ne va all’estero.

Importante esser dovrebbe anche il traffico dei generi coloniali, ma nello stato naturale delle cose, questo riesce inceppato per poter avere un largo sviluppo. Rilevante poi è lo smercio di dettaglio non solo delle principali mercanzie succennate, ma ben anco di coperte di lana, di coperte e di altri lavori di strusa e di filogello, e di tele gregge ed imbianchite, di reffe, cordaggi, chincaglierie, oggetti di moda, lavori di legno ed ordinari ecc. ecc.

 

 

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