Cefalonia 1943. La battaglia

Alle 11.45 del 15 settembre 1943 c’è la prima avvisaglia dello scontro nelle acque di Cefalonia. Una batteria contraerea, seguita da una batteria di marina, aprono il fuoco contro alcuni idrovolanti tedeschi che cercano di sbarcare truppe nella zona di Lixuri. Gli idrovolanti tornano indietro. Alle 14.35 inizia l’attacco aereo tedesco: alcune decine di cacciabombardieri Ju 87 bombardano e mitragliano i reparti di fanteria e di artiglieria collocati sui rilievi che circondano il porto di Argostoli, altri nove aerei concentrano l’attacco sulla strada costiera.

Due sono i settori coinvolti nell’attacco terrestre, il monte Telegrapho, dove interviene il Gruppo Tattico Fault, appoggiato dalla batteria semovente; la zona di Razata, ad est del capoluogo, dove l’attacco è condotto dal 910° battaglione rinforzato del maggiore Nennstiel. Sul monte Telegrapho sono dislocati due battaglioni del 17° reggimento fanteria, nella zona di Razata l’offensiva è affrontata da due battaglioni del 317° reggimento fanteria, attorno ad Argostoli sono disposte 14 batterie di artiglieria, di cui due di marina, che garantiscono un consistente contributo di fuoco per la difesa delle postazioni italiane. Alle ore 23.00, dopo combattimenti durissimi e sanguinosi, l’attacco tedesco si conclude con una disfatta. Sul monte Telegrapho, i Tedeschi del Gruppo Fault che non sono caduti in combattimento, circa 450 uomini, si arrendono; a Razata, anche grazie a un contrattacco notturno compiuto dalla compagnia del capitano Pantano, il battaglione tedesco è costretto a ritirarsi verso nord con pesanti perdite. Sette cacciabombardieri tedeschi sono stati abbattuti dalla contraerea.

Poco prima della fine degli scontri, verso le 22.00, un mezzo da sbarco che si sta avvicinando al capoluogo viene inquadrato dai riflettori e affondato dall’artiglieria italiana: ben 139 soldati tedeschi risultano dispersi. Barge è costretto a comunicare lo smacco al generale Lanz; la situazione appare molto critica per i Tedeschi, attestati sull’estrema punta settentrionale del golfo di Livadi con quello che resta del 910° battaglione, mentre la penisola di Lixuri è difesa solo dal 966° reggimento di Barge. Ma il comando italiano, ovvero sempre Gandin, non approfitta della momentanea supremazia e con la notte sospende l’inseguimento dei reparti tedeschi in fuga. Per quasi 40 ore gli Italiani restano fermi dando il tempo a Lanz di riorganizzare il suo dispositivo. Per quanto riguarda la resa del Gruppo Tattico Fault, il Comando di corpo d’armata tedesco decide di avviare un procedimento davanti al tribunale militare. Quando i tedeschi prigionieri, trattati dagli Italiani con “guanti bianchi” saranno liberati, nella zona di Troianata, il 22 settembre, Fault sarà immediatamente processato, degradato e condannato a cinque anni di carcere.

Alle 06.00 del giorno 16 sbarca a Cefalonia il maggiore Hirschfeld, che assume il comando delle operazioni sull’isola, in sostituzione di Barge, che rimane responsabile solo del controllo della penisola di Paliki. Lo sbarco di queste truppe di rinforzo avviene tra le 17.40 del 16 e le ore 0.45 del 20 settembre nella baia di Aghia Kiriaky e in quella di Myrthos, rimaste sotto il controllo tedesco col ritiro dei reparti italiani dalle alture di Kardakata ordinato da Gandin il 12 settembre. Una decisione avventata, che ora comincia a rivelare tutta la sua gravità.

La prima decisione di Hirschfeld è quella di costituire una testa di ponte prima dell’istmo, presso Kardakata, in modo da rompere l’isolamento in cui si trovano le truppe attestate nella zona di Lixuri, nella penisola di fronte ad Argostoli. Il comando italiano, decide di impegnare le forze a disposizione per la riconquista del nodo stradale di Kardakata, che permette i collegamenti con la penisola di Paliki. L’attacco viene condotto in un’area montagnosa nella zona compresa tra le località di Pharsa e Divarata, con l’obiettivo di accerchiare le truppe tedesche, dal primo battaglione del 317° reggimento fanteria , e una compagnia cannoni del 17° reggimento fanteria, che hanno il compito di prendere Kardakata; dal secondo battaglione del 317° e dal terzo battaglione del 317°, coprendo così il fianco est dell’attacco; dal primo battaglione del 17° reggimento fanteria, appoggiato da sette batterie del 33° reggimento artiglieria, che ha il compito di occupare le località di Pharsa e Kuruklata. La difesa tedesca si avvale del 910° battaglione, ovvero di un reparto del vecchio contingente di Cefalonia, e del terzo battaglione del 98° reggimento da montagna del maggiore Klebe, giunto di rinforzo, oltre a una sezione di semoventi.

Nonostante alcuni parziali successi italiani, la conquista di Pharsa e Kuruklata, a prezzo di gravi perdite e di molteplici episodi di eroismo di ufficiali, sottufficiali e soldati, la battaglia si conclude con un fallimento complessivo dell’offensiva e con la tragica disfatta del primo battaglione del 317° reggimento, bloccato sul ponte Kimoniko, che è sorpreso all’alba del 17 settembre, poco prima dell’attacco, in un terreno privo di difesa, dai cacciabombardieri tedeschi. Nel corso di combattimenti che si protraggono dalle 6.00 alle 10.30 del 18 settembre. Rimangono sul terreno 37 ufficiali e 400 soldati italiani, ma non tutti sono caduti nello scontro a fuoco, molti sopravvissuti devono essere stati eliminati al termine dello scontro.

Decisivo per l’esito dello scontro fu il predominio dello spazio aereo: il giorno 16 intervennero 79 Ju 87, 20 Ju 88 e due He 111, che colpiscono il capoluogo, la costa orientale del golfo di Argostoli, l’insenatura di Livadi; altri aerei si occupano di rifornire le truppe tedesche nella zona di Lixuri, mentre voli di ricognizione continuarono su tutta l’isola. Nei giorni successivi le missioni continuano un po’ su tutta l’isola, mentre vengono lanciati sui centri abitati circa 100.000 volantini che invitano gli Italiani alla resa. La notte tra il 18 e il 19 passa senza combattimenti, come anche il giorno seguente.

Senza aviazione, comunque, la sorte della Acqui è segnata. Alle pressanti richieste di aiuto di Gandin, il Comando supremo risponde: “Impossibilità invio aiuti richiesti alt Infliggere nemico più gravi perdite possibili alt Ogni vostro sacrificio sarà ricompensato alt Ambrosio”. In realtà un tentativo di correre in aiuto della divisione è fatto dall’ammiraglio Galati, che invia due cacciatorpediniere in soccorso, anche se senza copertura aerea le navi non avrebbero resistito agli attacchi dei caccia tedeschi, comunque la marina alleata ne ordina il rientro, gli alleati non intervennero direttamente in aiuto degli Italiani perché non interessati ai balcani che doveva, secondo i trattati di Yalta, restare sotto l’influenza staliniana. Nel corso della battaglia di Cefalonia,  i Tedeschi persero, 274 uomini e quattro aerei, ma il maggiore Hirschfeld mantenne saldamente il controllo del nodo di Kardakata, da cui, dopo aver ricevuto tutte le truppe di rinforzo, avrebbe dovuto lanciare l’attacco finale contro i concentramenti italiani, a settentrione, nel settore di Marketata, e a sud, verso Argostoli. Il 19 e il 20 settembre il generale Lanz è in visita a Cefalonia, si rende conto della disposizione e della consistenza delle forze. Quelle tedesche non sono ancora pronte e bisogna evitare di ripetere lo smacco di qualche giorno prima. L’offensiva finale, ben studiata, è fissata per il 21 settembre. Hirschfeld ha a disposizione il 910° battaglione da fortezza, il primo battaglione del 724° reggimento cacciatori, il terzo battaglione del 98° reggimento cacciatori da montagna, il 54° battaglione cacciatori da montagna, due batterie di obici e una sezione di cannoni da montagna in questo contesto che il Comando di divisione, sempre Gandin, assume una decisione che risulta, nell’economia complessiva della battaglia, inspiegabile.  Come è possibile che il generale Gandin abbia commesso una serie di errori tattici e strategici così evidenti?

L’attacco ad una postazione tedesca in via di allestimento sull’estrema punta meridionale di Cefalonia, a capo Munta, a circa sessanta chilometri dalla zona delle operazioni principali. Vennero spostate nel settore meridionale due compagnie del 17° reggimento fanteria e quattro plotoni mortai, due di mitraglieri e due cannoni. Le operazioni iniziano alle 23.00 del giorno 18, con l’occupazione di basi avanzate nella zona di Skalala, ma la preparazione dell’attacco si rivela insufficiente, alcune squadre penetrano nel caposaldo; uno dopo l’altro muoiono tutti gli ufficiali della settima compagnia; la risposta tedesca è efficace, all’alba arrivano 9 cacciabombardieri tedeschi che completano l’opera, l’azione viene sopsesa abbandonando sul terreno i feriti. I Tedeschi non faranno prigionieri, alla fine sono caduti 5 ufficiali e circa 50 soldati. I corpi saranno buttati in mare.

Lo scontro finale avviene nella zona centro-occidentale dell’isola e inizia alle 00.30 del 21 settembre, quando i Tedeschi muovono con due colonne lungo la rotabile Drakata-Phalari-Dilinata con l’obiettivo di conquistare Argostoli. Secondo le informazioni tedesche gli Italiani hanno la forza di due reggimenti di fanteria, disposti in profondità a sud di Kardakata. Si decide di procedere ad una manovra avvolgente nei confronti dell’intera divisione. In totale le truppe tedesche dovrebbero contare su 3.500-4.000 unità.col compito di aggirare le posizioni italiane. In preparazione dell’offensiva, il generale Lanz fa lanciare nuovamente volantini che invitano alla resa, minacciando chi si fosse opposto con le armi. Non vi sono diserzioni tra gli Italiani, ma le reazioni sono differenti da reparto a reparto, se in qualche caso aumenta lo spirito combattivo, in molti comincia a crescere “una notevole demoralizzazione”, reparti della Acqui si stanno nel frattempo preparando ad un secondo attacco in direzione di Kardakata, previsto per le ore 5.30. L’azione tedesca li sorprende in piena notte e segna la fine della resistenza italiana.

Alle prime luci dell’alba l’azione tedesca è sostenuta dai cacciabombardieri, che concentrano il fuoco sulle artiglierie e sui reparti di fanteria. Verso le 8.00 le truppe italiane sono completamente accerchiate, molti ufficiali sono morti, sul terreno vi sono circa 300 soldati e sottufficiali caduti. Distrutta la resistenza dei reparti di fanteria, i Tedeschi procedono verso le batterie del 33° artiglieria schierate più in profondità; la quinta, la terza e la prima batteria vengono così una dopo l’altra assaltate e distrutte; gli uomini rimangono ai pezzi fino all’ultimo: 180 sono gli artiglieri caduti a Dilinata. Il capitano Apollonio si salva per caso, perché coperto dai corpi dei suoi soldati, Pampaloni è ferito al collo e viene dato per morto.

Il Gruppo Tattico Klebe prosegue la sua avanzata e alle 14.00 raggiunge lo schieramento dei servizi divisionali della Acqui disposti nella zona Frankata-Valsamata-S.Gerasimo; intanto i due battaglioni di fanteria tedeschi, dopo aver travolto la resistenza del primo battaglione del 17° fanteria schierato tra Kuruklata e Pharsa, dove cadono in combattimento 350 soldati italiani, si avvicinano a meno di quattro chilometri dal comando tattico divisionale di Procopata. La sera del 21 i Tedeschi sembrano aver raggiunto tutti i loro obiettivi; le truppe italiane sono in rotta verso Argostoli. I Tedeschi intercettano i messaggi del generale Gandin che chiede con urgenza l’intervento di truppe aerotrasportate e l’appoggio dell’aviazione; per gli Italiani la situazione è critica. Secondo fonti italiane, già alle ore 11.00 del 22 settembre il generale Gandin aveva fatto alzare la bandiera bianca sul quartier generale che aveva spostato a Keramies, presso Metaxata, e verso le 12.00 aveva inviato ad Hirschfeld una delegazione per offrire la resa: “La divisione Acqui è stata dispersa dall’azione degli Stukas. La resistenza è divenuta impossibile. Di conseguenza, al fine di evitare un ulteriore inutile spargimento di sangue, offre la resa”. La decisione era stata presa in un ultimo consiglio di guerra convocato nella villa di Valianos, dove si erano riuniti il tenente colonnello Fioretti, dello stato maggiore, il colonnello Romagnoli, per l’artiglieria, il colonnello Ricci, del 317° fanteria, oltre ad altri ufficiali.

La battaglia di Cefalonia fu persa soprattutto per manifesta incapacità e ambiguità del gen. Gandin, considerato dai Tedeschi “l’utile idiota”. Fu solo la condotta arrendevole del generale di fronte alle provocazioni tedesche a causare malumori, tensioni e atti di violenza tra i soldati. Perché nonostante gli ordini del comando Supremo italiano di “considerare i tedeschi nemici” (11 settembre) e di “resistere con le armi alle intimidazioni di disarmo” (12 settembre), ancora il 14 comunicava alla truppa che erano in corso trattative?
Perché cedette subito ai Tedeschi il porto di Argostoli e il nodo strategico di Kardakata? perché dopo la vittoriosa battaglia del 16, sospese l’inseguimento dei reparti tedeschi in fuga e per quasi 40 ore gli Italiani restarono fermi e non annientarono le forze tedesche dando il tempo a Lanz di riorganizzare il suo dispositivo e consentire una testa di ponte per lo sbarco di truppe fresche e ben addestrate? Perché Gandin in vista dello scontro finale dispose l’invio di un battaglione a est dell’isola dispiegando risorse? Perché molti reparti erano dispersi lungo tutta l’isola e non vennero concentrati nella zona di combattimento? Perché durante i combattimenti finali del 21 settembre solo pochi battaglioni, soltanto 4 o 5 e in parte già provati, e ben poche batterie, fronteggiarono i Tedeschi in netta superiorità numerica e in armamento, avendo anche il dominio completo del cielo, vennero infatti impiegati circa 270 aerei tra Ju 87, Ju 88 e He 111? Perchè il generale era in contatto telefonico con il gen. Lenz, cosa si dicevano? probabilmente Gandin continuava le trattative per resa finale collaborando con i Tedeschi? Questo e altro fa presupporre, e senza ombra di dubbio, che il suo obiettivo era quello di consegnare truppe e armi ai Tedeschi e allora ci si chiede perchè fu fucilato nonostante il suo comportamento pro-tedesco, probabilmente perché testimone scomodo di come erano andate veramente le cose e sminuendo l’indubbio successo tedesco che con una abile manovra di aggiramento riuscirono ad avere la meglio sugli Italiani. I nostri soldati, nonostante i moltissimi errori grossolani che si possono spiegare solo con il comportamento ambiguamente sconcertante di gandin , combatterono valorosamente e con onore specialmente i reparti che si erano sin da subito opposti alla consegna delle armi (altro che mandolino del capitano corelli). Molti sostengono che probabilmente anche con la vittoria italiana le cose non sarebbero cambiate visto che gli Alleati non erano interessati ai Balcani che secondo i trattati di Yalta dovevano rientrare nella sfera di influenza di stalin infatti quando la R.M. (due cacciatorpedinieri) e alcuni reparti della R.A. intenzionati ad andare in soccorso alle truppe italiane furono fermati dal comando alleato. Molto probabilmente invece nel caso in cui gli Italiani riuscivano a buttare a mare i Tedeschi dopo la battaglia del 16, i Tedeschi difficilmente avrebbero tentato di sbarcare sull’isola se non con l’impiego di reparti paracadutati e enormi risorse di uomini e mezzi, probabilmente non disponibili.

Per quello che riguarda il numero dei morti la vulgata comune del dopoguerra di uso politico riporta un numero spropositato di caduti in circa 9/10.000 vittime. Secondo i calcoli di Apollonio, le perdite italiane in combattimento nella settimana 15-22 settembre furono di 65 ufficiali e di 1.250 sottufficiali e soldati; secondo altre fonti nelle esecuzioni sommarie che seguirono immediatamente dopo la resa furono uccisi altri 155 ufficiali e tra 4.000 e 5.000 sottufficiali e soldati. Le fonti tedesche parlano complessivamente di 4.000 Italiani caduti. Tutti dati totalmente fuori dalla realtà, infatti oltre ai 6.418 (di cui 1.360 morti negli affondamenti) e circa 1.300/1.400 rimasti sull’isola, considerare quelli che aderirono alla lotta partigiana, quelli che aderirono alla guerra nazifascista oltre a quelli che probabilmente si rifugiarono in famiglie greche facendo perdere le tracce. Da una analisi più approfondita e ricerche documentate i dati che si avvicinano alla realtà sono quelli della professoressa e studiosa Elena Aga Rossi, che riduce i caduti della divisione Acqui a un numero tra i 1.600 e i 2.500. Il che, precisa la storica, lungi dallo sminuire il significato della tragedia e attribuisce “al di fuori di mitologie ed esagerazioni, proprio nella sua aderenza al vero, maggior valore al caso di Cefalonia, al sacrificio di quanti — e sono sempre circa duemila italiani — morirono combattendo o fucilati dai tedeschi dopo la resa”.

Al rientro in  Italia molti non vollero consegnare le armi per il senso dell’onore militare specialmente tra gli ufficiali.

 

Autore: Antonio Lombardo
Fonti bibliografiche:
Paolo Paoletti, Cefalonia 1943: una verità inimmaginabile
Elena Aga Rossi, Cefalonia. La resistenza, l’eccidio, il mito
Giorgio Rochat, La divisione Acqui a Cefalonia
Gian Enrico Rusconi, Cefalonia. Quando gli italiani si battono

 

 

Antonio Lombardo è ingegnere meccanico, ufficiale di complemento artiglieria e consulente TAR Campania e Prefettura Caserta.

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