Ciceruacchio

Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio, combatté per la Repubblica romana, alla cui caduta provò a raggiungere Venezia venendo però denunciato, arrestato e fucilato dagli austriaci a mezzanotte del 10 agosto 1849 a Ca’ Tiepolo. Testo tratto da R. Giovagnoli, Ciceruacchio e don Pirlone.

***

 

Avveduto ed intraprendente, Angelo Brunetti si diè di buon’ ora ad esercitare la modesta industria del carrettiere, trasportando, sopra un carro tirato da un cavallo di sua proprietà, il vino da Frascati, da Genzano, da Marino, da Zagarolo a Roma.
Della plebe romana in genere e del carrettiere in ispecie ha lasciato una stupenda ed efficacissima dipintura Massimo D’Azeglio.
«Come ognun sa, Roma è stata da secoli il refugium peccatorum della terra intera; e se non se ne fosse certi altrimenti, basterebbero i casati a provarlo. Ce ne sono d’ogni lingua, d’ogni nazione, nè quelli che li portano mostrano nulla che li faccia apparir forestieri. Ma, badiamo, questo accade nel mezzo ceto, ed in parte anche nel patriziato. Ma fra il popolo, in ispecie in Trastevere, alla Regola ed a’ Monti, non se ne trova esempio. Fra questo popolo stesso si distingue poi una oligarchia gelosa più delle altre di mantener puro il sangue romano, e quest’oligarchia sta principalmente ne due mestieri di selciarolo e di carrettiere del vino.
É raro che nei matrimoni costoro escano dalla loro classe….. A colpo d’occhio s’osserra la differenza che è fra costoro e la rimanente popolazione. La struttura quadrata dei loro corpi, il volume e il modello dei muscoli, le nobili attaccature, la complessione asciutta, senz’adipe, senza pancia, mentre a Roma ambi i sessi nelle altre classi tendono al tondo ed al rilassato, li mostra veri discendenti di quei legionari, che, portando nelle marcie oltre le armi, oltre i rileri, anche un palo per l’accampamento, ogni sera dorerano fortificare questo con fosso e spalto, prima di riposarsi. I bassorilievi ci mostrano, in marmo, come erano fatti questi antichi uomini di ferro, ed i carrettieri del vino ce li mostrano oggi in carne e d’ossa.
Son gente rozza ed ignorante, é verissimo; ma nel 1070 aspetto, ne’ loro atti, nel modo di stare, d’andare, d’atteggiarsi, è un’espressione altiera, una sicurezza orgogliosa, che in nessun popolo del mondo m’è accaduto d’incontrare; ed è impossibile non rimanere colpiti dai caratteri di superiorità che appaiono in codesta parte della popolazione; la quale, nelle fattezze, nell’espressione, nel modo di vivere, e perfino nei materiali, negli attrezzi delle loro industrie, mostra un grandioso affatto speciale a loro; una maestà, un far da padroni, che si cerca invano nelle classi elevate »
Molti di questi tratti caratteristici si riscontravano in Ciceruacchio. Di statura appena superiore alla mezzana, robusta, dalle larghe spalle, dal largo torace, dalle gambe muscolose ed ercoline, Angelo Brunetti aveva viso largo ed aperto, di carnagione biancorosea, circondato da una folta chioma, alquanto ricciuta, di capelli castano-chiarissimi. Giusta egli aveva fronte, il naso profilato, occhi azzurri, espressivi, ridenti, attorno alle gote egli aveva la barba bionda, non molto lunga, e il capo, cosi vivo e spigliato, posava sopra un collo grosso e taurino.
Vestiva sempre, anche dopo che divenne assai agiato, anche dopo che ebbe acquistato una certa celebrità e una grande autorità, modestamente, ma non senza una certa eleganza, il costume del popolano romanesco. Giacca corta, per lo più di velluto, sopra corto panciotto, calzoni stretti al ginocchio e allargantisi a campana sul collo del piede: attorno alla vita larga sciarpa di seta, fazzoletto di seta a fiorami attorno al collo; in testa cappello a cencio, un po’ alto ed aguzzo verso la punta, quasi alla foggia calabrese.
Nel complesso la sua figura e la sua fisonomia piacevano a prima vista, e facevano apparire Angelo Brunetti per un bell’uomo, e, ciò che più importa, per un uomo grandemente simpatico.
V’era in lui quella certa fierezza, quella certa disinvolta ‘alterigia e nobiltà di mosse e di atteggiamenti di cui parla il D’Azeglio, non disgiunta da una tendenza naturale alla giovialità e alla giocondità. Era uomo coraggioso e facile all’ira, ma nobile qual’era, facile al perdono e all’oblio delle offese…
Non c’è mezzo di stabilire con sicurezza il tempo preciso in cui egli fu ascritto alla Carboneria, affiliato alla Vendita di Trastevere: forse fra il 1827 o il 1828: ad ogni modo è certo che nel 1830 Ciceruacchio apparteneva a quella setta.
Là egli probabilmente conobbe anche il dottor Mattia Montecchi, dal quale, appena istituita a Roma la succursale della Giovine Italia nel 1833, a quella fu ascritto.
Certo è che, nel 1837, nella invasione del colera, morbo che rapi, nella sola Roma, cinquemila quattrocento diciannove cittadini in poco più di due mesi, uccidendone fino a duecentottantasei al giorno, Ciceruacchio si mostró coraggioso e caritatevole nel prestar cure e soccorsi agli attaccati dal male, specialmente nei rioni popolari.
Durante il colera, o poco tempo dopo, pare che fosse tramata una congiura a Roma, per dar fuoco ad alcuni edifizi a fine di attrarre colå le milizie e per tentare, nel frattempo, una insurrezione. Se tale precisamente fosse l’obiettivo della trama non è certo; certo è che trama settaria vi fu e parecchi furono i condannati : Angelo Brunetti fu coinvolto nella congiura e potė uscirne senza condanna a prodigio : però egli fu sottoposto alla vigilanza della polizia.
Cosi, stimato per la sua probitá, amato ed apprezzato assai dai patrioti e dai liberali, sorvegliato dalla polizia, adorato dai carrettieri, dai pescivendoli, dai barcaiuoli, dai facchini e in genere, da tutti gli artieri, il Brunetti giunse ad essere notissimo in Roma col nome di padron Angelo e con quello di Ciceruacchio, e allorchè, nel 1846, Pio IX accordo l’amnistia, egli, cosi ingenuo e cosi facile all’entusiasmo, divenne, di un subito, e con piena buona fede, e con espansione vivissima e sincera – checchè ne dicano in contrario il D’Amelio, lo Spada, il D’Ideville ed altri – ammiratore sviscerato, adoratore devoto di Pio IX; e tale si mantenne, nonostante i molteplici e crudeli disinganni a cui la politica a partita doppia del Pontefice sottopose il suo entusiasmo e il suo ottimismo fino al 30 aprile del 1849 : quando il cannone francese tuonò a porta Angelica e a porta Cavalleggieri, allora soltanto l’ultima illusione e l’ultimo rimasuglio di credulità sgombrò dall’animo del forte popolano, ed egli finalmente maledisse colui che egli consideró come il carnefice della sua patria…

 

 

historiaregni

Historia Regni è un portale telematico dedicato alla storia, anzitutto quella italiana. Nasce su iniziativa di Angelo D’Ambra, è senza scopo di lucro e si avvale di collaborazioni gratuite. Le foto presenti sono state, in parte, prese da internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, non avranno che da segnalarlo al nostro indirizzo email info@historiaregni.it e si provvederà alla rimozione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *