Dagli Stuart agli Hannover

Proviamo ad analizzare brevemente le vicende che portarono la dinastia degli Stuart d’Inghilterra a cedere il passo agli Hannover.

Il 27 marzo 1625, re Giacomo VI di Scozia e I d’Inghilterra prendeva congedo dal suo popolo, lasciando il posto al suo secondogenito maschio Carlo, essendo l’amato primogenito morto a diciotto anni di febbre tifoide.
Per tutta la vita Carlo I ebbe alcuni, grandissimi difetti: una timidezza che sconfinava nell’arroganza, un complesso di inferiorità tremendo, dovuto all’eterno confronto con il fratello maggiore e alla sua balbuzie, e la certezza assoluta di non poter mai sbagliare. Come individuo privato, Carlo I aveva molte qualità: era coraggioso, riservato, cavalleresco appassionatamente devoto alla sua bella moglie, Enrichetta di Francia e ai suoi figli. Come re era discutibile.
Dapprima egli si illuse di poter governare da solo; sciolse d’autorità il consesso e per undici anni il paese fu in balia di uno sfrenato dispotismo. Il re era appoggiato dal vescovo anglicano Laud e da Thomas Wentworth, che Carlo I fece conte di Strafford e per anni si servì di lui per consolidare la propria tirannide; ma quando ebbe bisogno nuovamente del Parlamento per far fronte alla situazione (ribellione in Scozia e in Irlanda) Carlo non esitò ad abbandonare Strafford al suo destino dopo avergli giurato che non avrebbe permesso ai suoi nemici di torcergli un capello. Il conte fu decapitato.
Oramai la guerra civile era alle porte. Al fianco del re – che cercava di appoggiarsi alla Francia secondo la secolare abitudine degli Stuart – stavano le alte gerarchie ecclesiastiche, una parte della nobiltà, i nostalgici di un restaurazione cattolica e i mercenari scozzesi dell’esercito di Montrose, perché la monarchia non era riuscita a formare un esercito regolare.
Con il Parlamento si erano allineati i piccoli e i medi proprietari terrieri, i mercanti delle città, i rappresentanti delle professioni liberali: religiosamente il protestantesimo nella forma più radicale.
Sulle prime il successo arrise all’esercito regio; ma dopo le vittorie del miglior generale dei parlamentaristi, Cromwell, a Marston Moor e a Naseby, la situazione si capovolse. Il re, che si era rifugiato presso gli scozzesi, fu da loro venduto per 400mila sterline ai suoi nemici che lo condussero prigioniero a Londra. Carlo riuscì a fuggire riparando nell’isola di Wight, dove sperava di trovare sostegno; ma fu ripreso, trascinato in giudizio e condannato a morte; la sua fine, il 30 gennaio 1649, fu piena di dignità. Salì sul palco senza tremare.
Il figlio, Carlo II, avrebbe ripreso la corona nel 1660, quando, dopo la morte del dittatore Cromwell, la congiura realista del generale Monk lo richiamò dall’esilio. I sudditi sembravano tutti desiderosi di riaverlo fra loro. Carlo II, memore delle vicende paterne, non fece pesare troppo il suo potere e (dopo aver dato qualche soddisfazione ai controrivoluzionari , come le condanne dei “regicici” e il vilipendio delle ossa di Cromwell) cercò di barcamenarsi tra i partiti. Era essenzialmente un gaudente: il suo lungo regno, dal ‘60 all’85, fu tutto una girandole di favorite, una più avida dell’altra. La regina, Caterina di Braganza, sterile e trascurata, arrischiava ogni tanto una protesta, con il solo risultato di vedersi assegnare le rivali come dame d’onore al suo seguito. Eppure, pur libertina che fosse la sua condotta, Carlo II non era esente da scrupolo religiosi e si disse con insistenza che in segreto fosse cattolico: suo fratello Giacomo, duca di York ed erede presuntivo, lo era apertamente. Questo dava da pensare ai sudditi, che consideravano la sottomissione a Roma come di minaccia alla loro libertà.
Vivente ancora Carlo II, la Camera dei Comuni avrebbe voluto escludere Giacomo dalla successione. La legge non passò, perché fu bocciata alla camera dei lord; ma l’avvenire del regno si presentava oscuro. Fin dai primi atti del regno di Giacomo II ( per la Scozia era Giacomo VII) si vide che il sovrano, coerente con il suo sangue Start, tendeva alla restaurazione dell’assolutismo monarchico e del cattolicesimo. Tuttavia il pericolo poteva essere aggirato: il re non era più giovane e nel caso della sua scomparsa la corona sarebbe passata a sua figlia Maria, consorte dello Statolder d’Olanda, Guglielmo d’Orange, noto come il pilastro della religione riformata. In mancanza di Maria, l’erede era la sorella minore, Anna, anche lei sposata ad un principe protestante, Giorgio di Danimarca. La situazione poteva quindi sbloccarsi da un momento all’altro. Ma Giacomo II aveva una seconda moglie, l’italiana Maria Beatrice d’Este, fino ad allora senza prole: questa, nel 1688, mise al mondo un figlio maschio.
L’annuncio destò costernazione fra i sudditi: quel neonato, scavalcando in virtù del suo sesso i diritti di successione delle due sorellastre, avrebbe assicurato la continuità della linea politica paterna.
Pressato da tutti coloro che temevano il perpetuarsi in Inghilterra di una dinastia inguaribilmente incline al dispotismo, Guglielmo l’Orange passò la Manica con un corpo di 13.000 uomini e si dispose a marciare su Londra. A Giacomo II non rimaneva che la fuga. Il giorno di Natale del 1688, l’ultimo dei re Stuart approdava alle coste francesi. Come era previsto, sua figlia Maria gli succedette sul trono, unitamente al consorte che assunse il nome di Guglielmo III. Ma non erano finite le difficoltà con il rispettivo padre e suocero. Giacomo II, sostenuto dai soliti francesi (che tra l’altro erano in guerra con l’Orange), effettuò uno sbarco in Irlanda e qui trovò l’appoggio dei cattolici, poi cercò di occupare le contee protestanti a settentrione dell’isola, nella zona dell’Ulster. Re Guglielmo, alla testa di una piccola armata batté i filostuartiani sul fiume Boyne e costrinse Giacomo ad abbandonare la patria.
L’Orange morì nel 1702; sua moglie Maria lo aveva preceduto nella tomba: era morta di vaiolo nel 1694. Non lasciavano figli in grado di regnare e pertanto la corona passò alla secondogenita di Giacomo, Anna Stuart, anch’essa senza eredi diretti poiché era rimasta incinta almeno diciotto volte, ma per tredici volte abortì o diede alla luce figli nati morti; degli altri cinque figli, quattro morirono prima di compiere i due anni, mentre il quinto, Guglielmo, duca di Gloucester, morì a undici anni. Anna soffriva della sindrome di Hughes che le impediva di portare a termine le gravidanze o di partorire.
Pertanto, ancora prima della sua ascesa al tono, un atto di parlamento del 1701 regolò la successione, escludendo tutti i discendenti maschi di Giacomo Stuart, in quanti cattolici. Al loro posto subentravano i discendenti dell’elettrice Sofia di Hannover (Sofia del Palatinato, figlia di Elisabetta Stuart, a sua volta figlia maggiore di Giacomo I) purché si mantenessero seguaci al protestantesimo.
Infatti, alla morte di Anna, nel 1714 – dopo un regno quasi tutto occupato nelle vicende della guerra di Successione spagnola e che vide una brillante ascesa del prestigio britannico in Europa e sui mari – la corona passò senza troppi contrasti al principe tedesco Giorgio di Hannover (Giorgio I), figlio di Sofia, che era morta, nemmeno due mesi prima di Anna, a 83 anni..
Fu così che la dinastia degli Stuart d’ Inghilterra cedeva il passo agli Hannover.

 

Autore articolo: Lucia Rossi
Fonte foto: dalla rete

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