Difesa costiera dello Stato Pontificio contro i turchi

L’articolo segue detta alcuni elementi storici della costruzione del sistema difensivo di torri e fortezze costiere pontificie contro i turchi. L’articolo si intitola “Torri e fortezze costiere contro i Turchi”, di Arturo Pedrazzoli, ed è tratto dalla rivista “Lega Navale Mare Nostrum” del 15 gennaio 1913

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La pirateria barbaresca, fiorentissima nei tempi di mezzo, ingaggiò nel cinquecento, contro i cristiani, ha più vasta lotta navale che la storia rammenti; lotta accanita, terribile, senza tregua e senza pietà, durata circa tre quarti di secolo, sino al giorno di Lepanto, sino al giorno di quella grande battaglia che salvò l’occidente dalla dominazione ottomana.

Prima di Lepanto i Turchi accarezzavano il gran sogno di Maometto II: la guerra d’Italia, la conquista di Roma. Grande dovett’essere il nostro pericolo se Nicolò Machiavelli ebbe a sentire la necessità di sferzare gli italiani indifferenti dinanzi alla minaccia turchesca. Dice una donna nella Mandragora: – Credete voi che il Turco passi quest’anno in Italia? – Fra Timodeo risponde: – Se voi non fate orazione, sì.

Nella lotta possente l’Europa seppe ritrovare le antiche virtù. Valide flotte cristiane corsero i mari; torri e fortezze ben munite furono innalzate lungo la costa, secondo i precetti più recenti dell’arte militare; la quale, in fatto di fortificazione, dopo la caduta di Costantinopoli, si era completamente trasformata.

L’ultima rocca sul mare costruita nell’antica maniera fu quella di Rimini, ricordata nel bellissimo medaglione malatestiano: Sigismundus Pandulfus. Malatesta Pan (dulf). F (ilius). Castellum. Sismundum Ariminense MCCC XLVI. Ma il sistema dei grandi muraglioni e della triplice forma turrita, che inspirò l’architetto malatestiano, fu clamorosamente smentito, sette anni dopo dall’artiglieria turca nella presa di Costantinopoli. E nel 1458, cinque anni dopo la grande rovina, il senese Mariano Tàccola propose la cinta bastionata coi baluardetti pentagonali: il sistema del Tàccola segnò il punto di partenza della fortificazione moderna. Michelangelo, dirigendo le difese di Firenze e di Roma, raccolse l’eredità dell’architetto di Siena e poggiò l’arte delle difese su trecondizioni fondamentali: ammorzamento, rimbalzo, eliminazione.

La sconfitta dei cristiani alle Gerbe, inflitta dal valoroso pirata Lucciali, desolatore del Tirreno, aumentò l’ardimento e la tracotanza dei Turchi, i quali si posero con impeto e rabbia incredibile a devastare le coste dei due mari d’Italia, seminando per ogni dove il saccheggio e la strage. Il pirata vincitore incendiò Taggia e, avventuratosi nel golfo di Villafranca, fu per catturare Emanuele Filiberto. Presso le isole Eolie le galere turchesche predaron le navi del visconte Cicala, il quale cadde, in quel frangente, prigioniero, insieme col figliuolo Scipione. Vent’anni dopo Scipione Cicala, educato alle leggi dell’Islam, diventò ammiraglio turco valorosissimo. Il pirata Dragut, avuto sentore del viaggio per Napoli di sette galere cariche di personaggi eminenti e di ricchezze, si appiattò a Lipari e catturò tutt’e sette le navi. Dragut potè annoverare tra i prigionieri due vescovi che andavano a concilio, molti prelati e moltissimi nobili.

Contro l’immane flagello i principi occidentali pensarono seriamente alla difesa terrestre. Pio IV fortificò la città Leonina, Civitavecchia ed Ancona. Pio V imprese la difesa turrita delle coste tirrene e adriatiche caldeggiata dal famoso D’Ayala. Dice, il Pontefice: “Noi ed il nostro predecessore, siamo stati pienamente informati dell’oppressione e dei danni gravissimi che patiscono i marinai ed i mercatanti sulla spiaggia romana per misfatto dei pirati, nemici del nome cristiano, i quali della istessa desolazione nostra facendo loro pro, si mettono a talento nei luoghi più acconci al nascondiglio e all’agguato; e uscendo fuori improvvisamente sugli incauti, assaltano, uccidono, cattivano, rubano bastimenti, merci, danaro; e menansi le persone a strazio perpetuo in Barberia”.

Per la difesa dunque dell’agricoltura e della pastorizia, per la sicurezza dei traffici, vennero le coste d’Italia coronate di torri erette da tre miglia in tre miglia, l’una in vista dell’altra per trasmetter segnali, annunziarle invasioni, dar modo agli inermi di rifugiarsi, alle soldatesche d’impedire gli sbarchi. Innalzare un sistema di torri concatenate equivaleva edificare un’immensa muraglia.

I barbareschi non ebbero mai la gioia di atterrarne qualcuna. Costruzioni in gran parte quadrate, con dieci metri di lato all’incirca, alte il doppio, avevano dai tre ai quattro metri di muro, scarpata dal cordone in giù, sul cordone la porta alla quale si accedeva per mezzo di ponte levatoio. Tre piani a volta, scala a chiocciola; sopra i magazzini, agli alloggiamenti, più sopra la batteria. Fornello pei fuochi di segnale, una colubrina, due petrieri. Perché le torri dominassero vennero diboscate le rive. Assegnato ad ogni torre un presidio d’una dozzina di soldati all’incirca, riempiti i magazzini di viveri e di munizioni, venne iniziata quella validissima difesa costiera d’Italia che doveva durare due secoli e mezzo. Ai tempi del blocco continentale le torri costiere validamente resistettero agli inglesi. Ancor oggi molte di queste torri servono come posti di segnazione e di guardia. La difesa torriera era integrata da milizie paesane, dette dei battitori perchè battevano la spiaggia. I battitori furono posti a cavallo e chiamati quindi cavalleggeri. Muniti in seguito di piastra d’acciaio, furon detti corazze. Dopo la rivoluzione francese caddero gli antichi ordinamenti militari; ma i presidii, sotto altra forma, rimasero durante tutto il primo quarto del secolo XIX; e il Guglielmotti ricorda di aver veduto, a guardia di quelle torri, drappelli di cinque uomini edun caporale.

Le più fulgide menti d’Italia contribuirono alla difesa costiera: il Paciotti, il De Marchi, il Serbellone, Michelangelo istesso. Alessandro VI Borgia ed il Valentino dovettero la bella fortezza di Nettuno al genio di Antonio da Sangallo. Civitavecchia venne munita di possenti difese dall’immortale Bramante, sotto il pontificato di Giulio II. Pensò nel 1561 papa Pio IV a fortificare la maggior foce del Tevere. Michelangelo disegnò la pianta di un magnifico mastio che segnò un passo grandissimo nell’arte della fortificazione. Su quel disegno mirabile il Sangallo eresse l’edifizio, che in onore del grande maestro fu chiamato Sammichele.

Nel 1567, sotto Pio V, fu compiuto questo formidabile torrione ottagonale, dall’architettura michelangiolesca, che i Turchi tentarono e ritentaron più volte senza fortuna.

Dalla figurazione delle fortezze al Circello, che si ammira nel codice barberiniano del Sangallo, si rileva l’inspirazione della torre a due palchi offerta dalla torre delle Milizie che s’innalza nel cuore di Roma. Torre Paola, solitaria su rocce scoscese, alla quale si giunge per mezzo di un ponte levatoio, fu costruita da Bonifacio e da Niccolò Caetani in posizione strategicamente imprendibile, in vista di uno de’ più maravigliosi sorrisi del paesaggio italiano.

Torre Astura, costruita dove sorgeva il palazzo di Cicerone, che fu dei Malabranca, dei Frangipani, dei Colonna e dei Borghese, sulla quale grava imperituro il ricordo del tradito Corradino di Svevia, fu presidiata, dopo la sconfitta dei cristiani alle Gerbe, da un’apposita guarnigione.

Ad Anzio restò famosa la Torre del Capo la quale sino a tutto il settecento, difese il porto innocenziano.

La rocca d’Ostia, come si rileva da un’iscrizione tuttora esistente, venne costruita dal Sangallo per ordine del cardinale Giuliano della Rovere, che fu poi Giulio II, nipote di Sisto IV, a difesa del commercio, dell’Agro, della città di Ostia, delle bocche del Tevere. Fu circondata con le acque del fiume nel 1486.

Chi visitasse questo magnifico edifizio quattrocentesco resterebbe meravigliato dinanzi a così maestosa attestazione d’ingegno. Rocca d’Ostia è considerata il capo lavoro del Sangallo e fu dai contemporanei senza fine lodata. Dovendo Raffaello raffigurare, negli affreschi Vaticani, la battaglia navale di Ostia, disegnò, a titolo di onore, la bellissima rocca.

Degno di nota è il castello turrito di Ardea, città dei Rotuli, di virgiliana memoria costruito nel secolo XVI. Anche a Patrica, famosa pei ricordi di Enea, dove il Sangallo eresse un castello, esiste tuttora una torre. Fra le più belle difese tirrene va annoverata Torre Clementina, a Fiumicino edificata da Clemente XIV alla foce del Tevere, sul mare, perché – testimonia una lapide – l’insabbiamento del lido aveva rese inutili le torri precedenti. Nell’anno 1773 in cui fu compita, Torre Clementina si specchiava nel mare. Oggi ne dista quattrocento metri all’incirca, e sempre più ne disterà col trascorrer del tempo. Magnificamente difesa, resisté ai pirati e agli Inglesi nel principio del Secolo XIX.

Sorge in posizione ridente, sul mare, il castello baronale di Palo, disegnato come quel di Bracciano, ma senza lusso di travertino. Anch’esso dovette, come tutte le difese costiere d’Italia, resistere più volte all’urto formidabile dei barbareschi. Oggi l’edifizio baronale di Palo si è mutato in villa di delizie dove le ombre de boschi si sposano alle grazie del Tirreno soave.

La difesa turrita d’Italia che i figli del Rinascimento costruirono contro i barbareschi è importante non solamente per la storia della fortificazione e per la storia politica nazionale, ma è soprattutto degna di studio come spettacolo veramente meraviglioso di quel naturale ingegno che fu in ogni tempo la caratteristica etnica degli italiani.

 

 

 

 

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