Emanuele Filiberto comandante dell’esercito imperiale

Dopo un’intera notte trascorsa in preghiera, Emanuele Filiberto assunse il comando supremo dell’esercito imperiale. Era a Terouanne, seppe che i francesi stavano rafforzandosi a Hesdin, dove era pure previsto l’arrivo di Enrico II, e immediatamente fece togliere il campo e corse lì.

Al suo seguito aveva solo 15.000 fanti e 7500 cavalieri. Fece piazzare le artiglierie e per otto giorni ininterrottamente bombardò la città, mise poi al lavoro guastatori e minatori ma nelle mura non s’aprirono brecce. Giocò allora d’arguzia e fece suonare le trombe e levare grandi clamore come se stesse assalendo le mura. I francesi furono ingannati: accorsero sui bastioni e fu in quel momento che i cannoni imperiali aprirono il fuoco infliggendo incalcolabili perdite alla guarnigione. L’inganno riuscì addirittura una seconda volta e le artiglierie imperiali fecero strage di nemici, tra essi anche Orazio Farnese, fratello di Ottavio, il Duca di Parma e Piacenza.

Intanto, il persistente fuoco dei cannoni aveva finalmente aperto un varo nelle mura e dunque fu possibile lanciare i soldati all’assalto. La mossa fu respinta dai francesi con disperato valore ma alla fine dovettero aprire trattative di resa perché troppo gravi erano i danni patiti.

Emanuele Filiberto non aveva ancora compiuto venticinque anni e sapeva che il compito più difficile sarebbe stato quello di tenere a freno gli uomini dal desiderio di bottino. Aveva già ordinato che fossero cessati abusi e sregolatezze sul campo, aveva pure allontanato le prostitute e proibito che i soldati abbandonassero le insegne senza autorizzazione, ma gli fu impossibile placare la furia selvaggia che animò i suoi soldati: la città fu violata. Il Savoia però non demorse e volle punire i principali colpevoli della razzia, poi, seguendo il volere di Carlo V, la città fu rasa al suolo e poi sul sito fu eretta una fortezza. In quaranta giorni sorse una nuova cittadella munita di cannoni, munizioni e vettovaglie e con un presidio di 2000 fanti e 200 cavalieri. Quando tutto fu compiuto la città prese il nome di Hesdin-Fert unendo all’antico nome del sito il motto della casata dei Savoia. Proprio ad Hesdinfert, Emanuele Filiberto mostrò ancora di essere perfettamente in grado di sapersi guadagnare il rispetto e la disciplina dai suoi uomini: il Conte di Waldek tornò in città da una razzia che gli era stata vietata dall’Imperatore, il duca condannò duramente la sua scelta ed il conte mise mano ad una delle pistole della sua sella. Emanuele Filiberto lo precedette strappandogli l’altra pistola, sparò e lo uccise, lasciando tutti di stucco. Nessuno degli uomini al seguito del Conte di Waldek osò proferire parola.

Chiuso il capitolo di Hesdin, il Duca di Savoia s’impegnò a seguire i comandi che riceveva. L’Imperatore coi suoi messaggi era stato chiaro, bisognava invadere il territorio nemico per portarvi la guerra, liberando la popolazione del Belgio dai gravi pesi imposti dai bisogni dell’esercito. Così fu fatto. tre giornate di marcia portarono l’esercito imperiale non lontano dalla Somme dove il Conestabile di Montmorency s’era fermato. I cavalieri aristocratici belgi esigettero di guidare un’incursione a Dourlens ed Emanuele Filiberto acconsentì per non incrinare i rapporti con loro. Il Montomorency però tenne loro un agguato mettendoli in fuga. Da tutto ciò il Duca di Savoia trovò un grande insegnamento, mai più avrebbe permesso ai suoi sottoposti, per quanto illustri, di mostrarsi insofferenti alle sue disposizioni e decidere loro il da farsi. Ben altro doveva però arrecargli dolore, il 17 agosto 1553 moriva suo padre.

In nuove azioni guerresche Emanuele Filiberto, divenuto ora Duca di Savoia, cercò di dimenticare il dolore per la perdita del genitore. I francesi assediavano Bapaume ed egli non sapeva come fornire soccorso perché il suo esercito era inferiore in numero. Si affidò allora ad Andrea Provana, più tardi noto come Signore di Leynì, che penetrò negli alloggiamenti dei francesi vestito come loro e riuscì a portare una lettera agli assediati. Il giorno dopo, mentre gli imperiali provocavano una zuffa coi francesi e dalla fortezza si faceva partire una sortita concordata, Provana riuscì a tornare al campo imperiale. Questa mossa fece capire ai francesi che Emanuele Filiberto stava tramando qualcosa e preferirono rinunciare a condurre ancora l’assedio, marciando verso Cambrai. La loro ritirata fu segnata dall’inseguimento del presidio di Bapaume che lasciò sul terreno un gran numero di caduti.

Liberata Bapaume senza combattere, il Duca di Savoia, seguì il nemico a Cambrai. Re Enrico II era quì e stava assediando quella città che non aveva voluto aprirgli le porte. Emanuele Filiberto si avvicinò al campo francese come per attaccarlo ed Enrico II rispose togliendo l’assedio ma guidando l’attacco agli imperiali. Il Duca di Savoia seppe mettere a tacere i cavalieri belgi, ancora una volta discordi su come muoversi, fece occupare due colline dalle quali avrebbe potuto attaccare il nemico e fece pure uscire dai trinceramenti tutta la cavalleria belga schierandola sui due lati del campo. Enrico II restò sorpreso, credeva che Emanuele Filiberto, inferiore in numero, avrebbe lasciato le sue posizioni. I francesi avanzarono e qui ancora una volta il Savoia attuò un piccolo inganno ordinando alle sue truppe di dar segno di panico e ritrarsi precipitosamente. Così fecero e i francesi, fuorviati, li iniziarono ad inseguire caricando con impeto finendo presto tra le due colline occupate in precedenza dagli spagnoli che discesero attaccandoli. I francesi furono così sopraffatti ed Enrico II dovette fornir subito rincalzi. A quel punto Emanuele Filiberto richiamò i suoi e fece aprire il fuoco alle artiglierie. I francesi furono messi in fuga.

Il giorno dopo il nemico era a Cateau Cambresis e da lì si portava a San Quintino… ma ancora era lontana la gloriosa giornata.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: G. Reisoli, Testa di Ferro, il vincitore di San Quintino; C. Moriondo, Testa di Ferro. Vita di Emanuele Filiberto di Savoia

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