Filippo Maria Visconti

I domini lasciati da Gian Galeazzo Visconti furono divisi tra i suoi figli, Giovan Maria e Filippo Maria. Erano ancora adolescenti e la reggenza dello stato toccò alla madre, Caterina Visconti. Il governo, in mano ad una donna, apparve agli aristocratici dell’epoca, debole e si ritrovò travolto in una guerra civile con i vecchi fedeli di Bernabò Visconti levati in armi. Antonio Visconti di Giovannolo accusò i consiglieri di Caterina di mal governo e mise in tumulto la città. I rivoltosi posero accanto a Giovanni Maria un altro consiglio, di cui faceva parte lo stesso Antonio. I membri di questo consiglio furono fatti arrestare da Caterina che ricorse all’appoggio di Pandolfo Malatesta, Jacopo dal Verme e Facino Cane e coloro che riuscirono a fuggire da Milano chiesero aiuto a Giovanni Maria che riuscì a tenere il potere votandosi alla Francia, ma per farlo dovette far assassinare sua madre. Caterina, rinchiusa nel Castello di Monza, morì apparentemente per peste. L’atto miserevole cominciò una politica di intrighi, paure, sospetti che culminò con l’assassinio del matricida, nel maggio del 1412.

Lo Stato Visconteo si ritrovò completamente disgregato, il popolo fece acclamare Estorre Visconti, figlio di Bernabò, ma Filippo Maria, secondogenito di Gian Galeazzo Visconti, si riprese Milano: sposò Beatrice, la vedova di Faccino Cane, dotato di una ricca eredità e di un potente esercito, assoldò Francesco Bussone, Conte di Carmagnola, e così ebbe ragione del rivale. Non si fermò però lì e attaccò Monza, Asti, Piacenza, Parma, Reggio. Quando non ne ebbe più bisogno, fece giustiziar sua moglie per adulterio e sposò Maria di Savoia, figlia di Amedeo VIII. Nel 1421 conquistò Genova avvalendosi dell’alleanza con Alfonso V d’Aragona e si spinse pure a togliere Domodossola e Bellinzona agli svizzeri.

Alla morte di Giorgio Ordelaffi, signore di Forlì, il Visconti, come tutore del figlio minorenne, Tebaldo Ordelaffi, scatenò una guerra per la conquista della Romagna e, non pagò, affiancò Luigi III d’Angiò nel tentativo di conquistare Napoli. Fu però sconfitto nella Battaglia di Verneuil e rinunciò a proseguire.

Ad affiancarlo c’era sempre il Carmagnola, condottiero che volle fare Conte di Castelnuovo proprio mentre ne preparava anche la fine.

Carmagnola capì il doppio gioco e l’amara sorte che l’alleato andava preparandogli e abbandonò Milano portando i suoi servigi d’apprima ad Amedeo VIII e poi a Venezia. Questo aiutò la scomposizione dei vecchi equilibri e fiorentini e veneziani si allearono contro Milano. Carmagnola, nella Battaglia di Maclodio, il 12 ottobre del 1427, sgominò l’esercito visconteo guidato da Carlo Malatesta, Niccolò Picinino, Francesco Sforza e Guido Torello. Filippo Maria reagì rivaccinandosi al Savoia col donargli Vercelli. Fu così che si riprese Genova e poté accedere a testa alta alla Conferenza di pace di Ferrara per limitare i danni della guerra. Concesse a Venezia solo Brescia e Bergamo e promise a Firenze di non intromettersi più negli affari di Romagna e Toscana. Invece tornò subito alla guerra contro i fiorentini in soccorso di Lucca. Si vendicò del Carmagnola battendolo a Soncino e pure una flotta veneziana fu sconfitta nelle acque cremonesi del Po’.

Filippo Maria Visconti tornò ad invischiarsi nelle faccende del Regno di Napoli patteggiando ancora per gli angioini: inviò la flotta di Genova contro quella aragonese e riuscì a far prigioniero Alfonso d’Aragona. Quando ottenne di essere ricevuto dal duca, Alfonso riuscì a persuaderlo a lasciarlo libero convincendolo che era interesse di Milano non impedire la vittoria della parte aragonese a Napoli perché i francesi si sarebbero presto ripresi la Liguria. Il Visconti, memore del pensiero del padre Gian Galeazzo in merito ai francesi che intendeva escluderne l’azione dall’Italia, si lasciò convincere e preferì accordarsi con il re. Gli fornì anche 3000 cavalieri. Genova si sentì tradita, gli si ribellò con Francesco Spinola e si proclamò nuovamente repubblica indipendente.

Si spense lasciando Milano in una totale anarchia.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: A. Bosisio, Storia di Milano; AA.VV., Storia di Milano, Fondazione Treccani degli Alfieri; C. de’ Rosmini, Istoria di Milano

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