Giorgio Mameli contro i corsari barbareschi

Nel 1808, Giorgio Mameli, padre di Goffredo, l’autore dell’inno nazionale, ancora adolescente fuggì dalla casa paterna per rifugiarsi su una mezza galea sabauda ancorata nel porto di Cagliari e governata da suo zio. Di spirito avventuriero, il ragazzo era nato il 24 aprile del 1798 da Raimonto e Barbara Paradiso. S’offrì allo zio come mozzo sognando imprese contro i corsari barbareschi. A quel tempo la marina sarda non aveva scuole navali e gli ufficiali nascevano così, si formavano con l’esperienza pratica del mare. Giorgio Mameli iniziò la sua avventura in acque in cui non di rado corsari e naviglio sardo ingaggiavano battaglia.

Puntuale arrivò subito lo scontro atteso e Mameli prese parte all’arrembaggio ad una nave musulmana. L’azione fu vittoriosa ma oscurata dalla morte di suo zio. Mameli si ritrovò così senza protezione, ma più convinto di prima a seguire quella strada. Fu guardamarina di seconda classe poi di prima, quando le marine di Sardegna e Piemonte si unirono.

Finì a bordo del brick Zeffiro poi della corvetta Tritone sempre in vista delle coste di Tunisi ed Algeri per sorvegliare e proteggere i commerci sabaudi. Fu a Cartagena per il trasporto degli effetti e degli equipaggi di scuderia del Marchese Brignole-Sale, ambasciatore reale alla Corte di Spagna, e fu anche a Lisbona, con la fregata Commercio, conducendovi il Marchese Grimaldi che da lì sarebbe salpato come Plenipotenziario a Rio de Janeiro.

Tornò a difendere i legni di Sardegna dai barbarschi a bordo della fregata Maria Teresa nelle acque toscane. Partecipò al solenne ricevimento dei reali del Wurtemberg nell’estate del 1820 a bordo della stessa fregata nel porto di Genova. In quell’anno ascese al grado di Tenente di Vascello. Non partecipò alla rivoluzione, anzi, fu sulla Tritone a sorvegliare la costa di Ponente sino a Nizza. Fu poi col Des Geney a Cadice ed in Marocco a bordo della Maria Teresa e, tornato a Genova, trasbordò sulla fregata Maria Cristina per garantire le comunicazioni con la Sardegna e la difesa dai corsari.

Era il 1823 e finalmente mise piede sul Commercio a bordo del quale avrebbe vissute l’impresa di Tripoli. Il Commercio quel giorno fu capitana della divisione navale del Comandante Francesco Sivori. Sivori ritenne inopportuno cercare di avvicinare le navi alla costa ed equipaggiò invece 10 scialuppe con una carronata, un cannoncino e 260 uomini, al comando di Giorgio Mameli, con lo scopo di assalire di sorpresa e bruciare il naviglio nemico ormeggiato in porto, qualora non fosse stato possibile catturarlo. Giunta la notte si assalirono le imbarcazioni berbere con tre squadre: la prima, al comando di Mameli stesso, assaltò il brigantino, la seconda, al comando di Emilio Pelletta, assaltò una goletta, la terza, al comando di Carlo Corradino Chigi, l’altra goletta. Le navi berbere furono tutte incendiate. A Mameli fu concessa la Croce dei SS. Maurizio e Lazzaro poi fu pure premiato col Cavalierato dell’Ordine Militare di Savoia e con la nomina a Luogotenente di Vascello.

 

Sposò la marchesa Adelaide Zoagli, genovese, che le diede Goffredo, ma subitò tornò a bordo del Commercio intraprendento una corciata nel Levante. Nel 1829 sulla Maria Teresa prese parte ad una nuova dimostrazione navale contro Tunisi comandanta dal controammiraglio Ricca di Castelvecchio, poi, conseguito il grado di capitano in seconda, ebbe il suo primo comando, quello della corvetta Tritone con la quale sorvegliò l’esodo dei rivoluzionari emiliani dal porto di Livorno affinchè non approdassero nei domini sardi.

Col secondo omando, quello della corvetta Nereide nel 1832, si portò in spedizione nelle acque del Nord Africa, parte di una più ampia forza navale nella quale prese pure parte il Principe Eugenio di Savoia-Carignano, guardamarina di seconda classe. In tale occasione fornì aiuto ad un brigantino austriaco naufragato e protesse convogli mercantili italiani ed austriaci che uscivano dai Dardanelli. Assunse, al rientro, il comando delle dieci lance cannoniere della Marina Sarda. Questo tipo di imbarcazioni navigavano a remi e a vela, erano armate con massimo due cannoncini, di un tubo lanciarazzi incendiari ed avevano 36 uomini ciascuna. Erano utilissime nella lotta ravvicinata alle coste perchè permettevano cannoneggiamenti e assalti. Queste dieci lance, infatti, fuono con successo inviate a Tunisi quando fu chiaro che non portavano a nulla le trattative intavolate dal controammiraglio De Viry per ottenere dal Bey soddisfazione per le percosse ricevute da un capitano sardo dal governatore di Capo Farina nonchè una paranzella sequestrata. Le lance salparono da Genova il 21 aprile 1833, senza vento, navigarono a remi e raggiunsero l’11 maggio Tunisi. Qui Mameli si approssimò alla Goletta con le armi cariche. Una divisione doveva manofrare per forzare il canale, l’altra doveva far fuoco sugli obbiettivi più vicini. Il Bay, intimorito da quella manovra, fece subito alzare la bandiera per parlamentare. Le lance entrarono nel canale e ricevettero la paranzella sequestrata per poi essere salutate da 21 colpi di cannone.

Finita questa campagna, Mameli fu con la corvetta Aurora nelle acque di Civitavecchia per impedire eventuali sbarchi di rivoluzionari nei territori pontifici. Nell’invenro del 1834 Mameli salvò dal naufragio un brigantino austriaco e prestò soccorso ad un vapore francese naufragato sulla Punta Lividonia nell’Argentario. Mameli tornò poi nelle acque di Genova per sorvegliare su sbarchi di navi in un periodo in cui esplodeva un’epidemia di colera.

Nella primavera del 1842 s’imbarcò sulla Des Geneys per una lunga campagna nell’America meridionale per proteggere i cittadini sardi che vi esercivatano commercio. Era allora capitano di vascello di prima classe e stesse nelle acque argentine per due anni. Al rientro, nel giugno del 1843, con Regie Patenti fu nominato membro del Consiglio d’Ammiragliato ma già l’anno dopo tornò a bordo della Des Geneys in qualità di comandante di una divisione destinata a bloccare Tunisi e costringere il Bey a togliere le poribizioni d’esportazione di grano per i sudditi sardi. Il successo fu accompagnato da uno studio sull’idrografia di quelle coste e la possibilità di sbarcarvi un corpo di sedicimila armati. La sua relazione fu consegnata al Comandante generale della Marina Sarda, Giorgio de Viry che si mise subito all’opera per realizzare l’impresa. Fu solo per l’intervento diplomatico inglese che la spedizione non ebbe luogo.

Il Piemonte intanto si ritrovava travolto dalla rivoluzione e, mentre Goffredo maturava simpatie repubblicane, suo padre Giorgio guidò una forza navale a Stoccolma per prelevare materiale bellico acquistato dal governo. Mameli poi raggiunse Cronstad ricevendo l’omaggio dei russi come prescritto da Torino. In tale occasione fu ricevuto dalla Famiglia Imperiale rinsaldando l’amicizia tra i due Paesi. Rientrato, fu ancora sulla De Geneys nell’Adriatico contro l’Austria. Qui Mameli capì d’essere vittima dell’invidia del suo superiore, il comandante Giuseppe Albini. L’Albini fu accusato d’inazione, sebbene fosse stato Carlo Alberto ad aver comandato di non attaccare Trieste, tuttavia l’accusa era grave e la responsabilità fu data a Mameli in un infuocato diverbio. Nonostante l’accaduto, Mameli fu promosso controammiraglio.

La rivalità con l’Albini si ripresentò subito. Nel mese di gennaio del 1849, Mameli con la Des Genes si trovava nel porto di Ancona e, dopo varie titubanze, rifiutò la proposta dei cittadini d’occupare militarmente la città. Stavolta fu l’Albini a lanciare l’accusa d’immobilismo vendicandosi di quanto accaduto a Trieste. Nei giorni seguenti Mameli fu raggiunto dal figlio Goffredo che fu sorpreso a declamare versi repubblicani. Fu allora che l’Albini obbligò il suo rivale ad abbandonare la nave. L’equipaggio accompagnò Mameli con una clamorosa dimostrazione d’affetto che irritò l’Albini, ma la carriera di Mameli era ormai finita.

A Genova fu messo a riposo. Volle allora recarsi a Roma dove il figlio, accanto a Mazzini, combatteva per la Repubblica. Giuntovi, trovò Goffredo morto. Non senza quale problema, ottenne dai francesi la sciabola di suo figlio che in realtà era la sua, quella della gloriosa giornata di Tripoli. Tornato a Genova, seguì una breve carriera parlamentare fino a quando si spense, il 9 aprile del 1871.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: G. Gonni, Giorgio Mameli, in Il Comune di Genova, 31 marzo 1925

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