Giuseppe Bonaparte, re di Spagna
Quella di Giuseppe Bonaparte come re di Spagna fu una esperienza penosa e contraddittoria, carica di aspettative e desideri andati in fumo.
Nel 1807, Talleyrand, l’uomo sopravvissuto a Luigi XVI, alla Rivoluzione e pure a Napoleone, propose la sostituzione della dinastia spagnola. Sapeva che le dispute intestine avevano notevolmente indebolito la corona ed elaborò il suo piano: invadere il Regno di Spagna e distruggerlo dall’interno. Il Trattato di Fontainebleau, che autorizzava il passaggio delle truppe francesi nel territorio spagnolo al fine di invadere il Portogallo, fu il pretesto con cui Napoleone occupò quell’anno alcune regioni del paese, principalmente al nord. Divisioni ed incapacità nella corte, con lo zampino di Manuel Godoy, Principe della Pace, gli permisero poi di approfittarne per completare l’invasione. L’abdicazione di Carlo IV, infine, aprì poi la strada del trono alla famiglia Bonaparte.
Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, divenne re di Spagna il 6 luglio del 1808 obbedendo alla volontà imperiale, sebbene riluttante a lasciare Napoli dove aveva avviato, con decisi consensi, un’ampia politica riformista.
Sapeva bene che i francesi erano odiati in Spagna e che sarebbe stato un lavoro arduo farsi apprezzare. Sapeva pure che proprio per questo suo fratello l’aveva spedito a Madrid.
La storia, in effetti, ci ha lasciato l’immagine di un uomo sempre nascosto dall’ombra del fratello minore, l’Imperatore Napoleone, ma è così? In parte lo fu e non poteva essere altrimenti perchè la figura di Napoleone fagocitò tutto e tutti in quegli anni, tuttavia, Giuseppe Bonaparte si fece strada nella vita politica molto prima dei successi di suo fratello. E’ stato semplice per i suoi detrattori ritrarre di lui una pessima biografia.
Non osò mai opporsi a suo fratello, ma ripetutamente gli disse che non voleva essere “re” con la forza delle armi, ma con l’affetto degli spagnoli. Avrebbe voluto essere visto come un re progressista, amante della pace e della cultura. Non andò così.
Gli antibonapartisti l’hanno spesso presentato come uno sciocco, un inetto, attribuendogli di fatti i vizi che invece i bonapartisti individuavano nei Borbone all’epoca sul trono spangolo. Eppure Giuseppe Bonaparte fu tra i migliori allievi dei Gesuiti di Autun e, addirittura, in soli sei mesi conseguì il dottorato a Pisa come avvocato e cum laude. Badò da solo alla sua numerosa famiglia, alla morte del padre, fu avvocato del Consiglio superiore della Corsica a Bastia, segretario del generale Rossi ad Ajaccio, giudice e poi soldato nella Prima Campagna d’Italia. La sua carriera – ancora lontana era l’affermazione di Napoleone – continuò come diplomatico della Repubblica a Parma e Roma.
Giuseppe era completamente avvinto dalle idee del suo tempo, un convinto sostenitore dell’illuminismo, un entusiasta difensore della rivoluzione e grande appassionato del pensiero di Rosseau. Questa ideologia lo portò ad entrare nella Massoneria e più tardi fondò la Gran Loggia Nazionale di Spagna. Si mostrò un monarca sensibile alla cultura, avido di continue letture e protettore delle arti. A lui si deve in realtà la fondazione del Museo di Belle Arti di Madrid, inaugurato però nel 1819 da Fernando VII di Borbone. Fu questa una iniziativa che si andò sempre ad accompagnare al tentativo di sottrarre alle mire del fratello le opere d’arte nazionali.
Forse pagò caro l’odio che gli spagnoli sentirono per Napoleone Bonaparte, pagò le conseguenze della sanguinaria repressione del 2 maggio e si ritrovò travolto dall’escalation di violenze della Guerra dell’Indipendenza Spagnola fino al punto da voler abdicare: Napoleone rispose inviandogli rinforzi. Dovette essere difficile per lui, imbevuto di idee illuministe, incarnare la figura del re odiato dal popolo. Certamente provò ad utilizzare tutte le risorse a sua disposizione per valorizzare la sua immagine pubblica. Ad esempio si diede un profilo cattolico, visitando di continuo le chiese spagnole, ma non potè cancellare il suo noto curriculum libertino. Sicuramente gli si addicevano di più le comparse al teatro, le corride e le feste della nobiltà, ma fu tutto inutile. Non riuscì nel suo intento, gli fu impossibile invertire il giudizio degli spagnoli.
Il nomignolo popolare e dispregiativo che essi gli riservarono fu quello di “Botella” ovvero “Bottiglia”. Il curioso soprannome sorse a causa della sua presunta eccessiva predilezione per il vino, ma la verità è che, in un estremo tentativo di conquistare il favore popolare, Giuseppe Bonaparte decise di abbassare le tasse su quel prodotto, misura che burlescamente fu spiegata dai madrileni come dovuta alla sua passione per la bevanda alcolica ottenuta dall’uva.
Scrisse Stendhal: “La Spagna preferiva quel mostro di nome Fernando VII. Io ammiro il sentimento di insensato onore chhe infiamma i coraggiosi spagnoli, ma quale differenza per la loro felicità avrebbero conosciuto se, dal 1808, fossero stati governati dal prudente Giuseppe e dalla sua costituzione”.
La sua ricerca di sostegno tra gli illuministi spagnoli, che il popolo con disprezzo chiamava “afrancesados”, fallì nonostante la promulgazione della Costituzione di Bayona. Creò il Ministerio de Policía, antesignano dell’attuale Ministero degli Interni in Spagna, promulgò misure con cui si affermavano le moderne basi giuridiche della libertà personale, della libertà di stampa e parola, dell’inviolabilità del domicilio, misure tese a ridurre l’influenza sociale del clero e che pure rispettavano la tradizione spagnola senza mettere in discussione lo stato confessionale. Tuttavia i borbonici, riuniti nel motto “Dios, Patria y Rey”, ebbero sempre dalla loro il grosso dell’opinione pubblica. Come se non bastasse dalle colonie si seppe che il Venezuela aveva proclamato l’indipendenza.
Fuggì una volta, dopo la Battaglia di Bailén, prima a Burgos, poi a Miranda de Ebro e infine a Vitoria, dove fissò la sua residenza. Ritornò a Madrid e fuggì una seconda volta, dopo la Battaglia delle Arapiles, e diretto in Francia fu sconfitto dal Duca di Wellington. La sua esperienza spagnola si chiuse miseramente il 13 giugno 1813, ormai non pensava ad altro che Parigi.
Autore articolo: Angelo D’Ambra