I brulottieri della Guerra d’Indipendenza Greca del 1821-1829
Il dominio del mare costituì un aspetto fondamentale nella Guerra d’Indipendenza Greca: quando gli ottomani ne avevano il controllo, potevano con facilità spostare le proprie truppe per rifornire le guarnigioni isolate ed attaccare oppure imporre il blocco alle città costiere controllate dai ribelli. Quando le forze navali greche non riuscivano a contrastare o bloccare i movimenti navali ottomani o a violare il blocco dei porti, la sconfitta era pressoché certa.
L’importanza del mare nel conflitto è testimoniata dal fatto che solo la distruzione della flotta ottomana da parte dei franco-russo-inglesi nella battaglia di Navarino ne determinò le sorti a favore dell’indipendenza greca.
Le forze navali ottomane erano considerevoli: 20 navi di linea da 70-80 cannoni, 7 o 8 grandi fregate da 50-60 cannoni, 5 corvette e più di 40 brigantini.
A queste forze i greci potevano inizialmente opporre solamente le navi armate dagli armatori mercantili delle isole di Idra, Spetses e Psara; si trattava principalmente di brigantini o golette a gabbiole oltre a qualche piccolo tre-alberi assimilabile ad una corvetta.
Secondo una fonte non erano però mercantili frettolosamente armati, ma unità che, benché adibite al commercio, erano state costruite con un occhio rivolto ad un loro eventuale impiego bellico, grazie agli sforzi e ai progetti della società segreta “Philiki Etairia”, modellata sulla falsariga della Carboneria italiana.
Le navi greche inalberavano inizialmente la bandiera della società, con alcune varianti a seconda dell’isola di armamento.
Per colmare il divario di forze, i greci svilupparono una particolare forma di guerra navale, ossia l’impiego di brulotti incendiari. Si trattava di bastimenti appositamente adattati all’uso specifico [1] i cui equipaggi dovevano portarli ad affiancarsi alle navi turche, generalmente più grandi e meglio armate, legarli sicuramente ad esse di modo che la nave attaccata non potesse sganciarsi, e poi appiccare il fuoco al proprio bastimento ed abbandonarlo per mezzo delle lance, il tutto in mezzo al tiro nemico. Parliamo di un tipo di attacco che richiedeva grande freddezza, coraggio e saldezza di nervi sia al comandante che all’equipaggio, per giudicare il momento opportuno e la manovra migliore da effettuare per portare il bastimento ad investire il bersaglio.
Nel corso dell’intera guerra i greci effettuarono 59 attacchi di brulotti, dei quali 39 furono coronati dal successo. L’attività dei brulottieri, come i comandanti di queste navi sono definiti nel rapporto del comandante di una fregata della Marina del Regno di Sardegna che nel 1827 era adibita alla scorta dei bastimenti nazionali nelle acque dell’Arcipelago greco, riuscì efficacemente a limitare, se non impedire del tutto, i movimenti della flotta ottomana; il più famoso di essi fu Konstantinos Kanaris.
Il 27 maggio 1821 avvenne il primo attacco di un brulotto che riuscì ad incendiare e distruggere una grande fregata turca. La notte del 6 giugno 1822 Kanaris attaccò e distrusse un vascello di linea turco all’ormeggio. Il 5 agosto del 1824, nel corso della battaglia dell’isola di Samo, i greci, con la perdita di 6 brulotti, riuscirono a distruggere due fregate e un brigantino. Il 20 maggio 1825 due brulotti distrussero una fregata da 62 cannoni ed una corvetta da 26.
La Guerra d’Indipendenza Greca vide anche il primo impiego bellico di una nave a vapore: il Karteria, una nave a ruote costruita in Gran Bretagna per conto degli indipendentisti greci. Prese servizio nella Marina greca nel 1826 al comando del capitano Hastings, un ex-ufficiale della Royal Navy che si era unito ai greci. La velocità massima era di 7 nodi ed era dotata di quattro alberi, trinchetto e maestra con una grande vela quadra, mezzana con randa e controranda, e l’ultimo con una vela al terzo. Era armato con quattro cannoni da 68 libbre e quattro carronate dello stesso calibro, un armamento pesante ed inusuale per l’epoca, progettato dallo stesso Hastings che era anche un convinto assertore dell’utilità dell’impiego navale delle granate con cannoni a tiro teso, un utilizzo che negli stessi anni veniva proposto dall’ufficiale d’artiglieria francese Paixhans che progettò e riuscì a far adottare dalla Marina francese il famoso “cannone a bombe” che da lui prese il nome. Hastings fece uso di granate, palle arroventate e delle cosiddette “carcasse”, ossia proietti incendiari. Il Karteria prese parte con successo a numerose battaglie e bombardamenti di obbiettivi terrestri nel corso delle quali acquistò una giusta reputazione di essere una temibile nave [2].
Autore articolo: Aldo Antonicelli. Il testo è stato originariamente pubblicato sulla pagina facebook del Laboratorio di Storia Marittima e Navale dell’Università di Genova
Bibliografia: J. A. Meletopoulos, “The Greek Navy in 1821”, pubblicato a cura della Commercial Credit Bank di Atene, 1971; F. A. Hastings, “Memoir on the use of shells, hot shot and carcass shells”, Londra, 1828.
Note:
[1] i brulotti erano dotati di un certo numero di portelli lungo le fiancate; erano inoltre praticate molte aperture sul ponte per favorire il formarsi di correnti d’aria che alimentassero le fiamme. All’interno dello scafo erano realizzati dei compartimenti che venivano riempiti di esplosivi e materiali incendiari. Due grandi portelli aperti nelle fiancate consentivano all’equipaggio di abbandonare la nave.
[2] una notizia spesso riportata a proposito del Karteria è che nel corso di un solo anno, il 1827, abbia sparato più di 18.000 proietti. Si tratta di una evidente esagerazione, in quanto per ottenere un simile risultato avrebbe dovuto sparare mediamente almeno 50 colpi ogni giorno dell’anno.
Aldo Antonicelli, studioso di storia navale, collabora con le riviste Storia Militare, Mariner’s Mirror e Rivista Marittima.