Cefalonia 1943. Il rifiuto di arrendersi
L’8 settembre del 1943 a Cefalonia era stanziata la Divisione fanteria da montagna Acqui su tre Reggimenti 17°, 18° e 117° di fanteria ed il 33° Reggimento artiglieria da campagna con obici da 75/13 e da 100/17, alcune batterie costiere, una Compagnia genio e vari reparti logistici e di sanità. Il 18° Reggimento era dislocato a Corfù. Vi erano poi una Compagnia Carabinieri e una compagnia di finanzieri alcune batterie e reparti di marina al comando del capitano di fregata Mastrangelo. In totale la divisione era composta da circa 12.000 uomini; 3.500 quadrupedi, 120 automezzi, 70 motociclette, 270 fucili mitragliatori, 80 mitragliatrici, 126 mortai da 45 e 30 da 81, 8 pezzi antiaerei da 20, 8 da 47/32, 8 da 65/17, 24 da 75/13, 12 da 100/17. Si trattava comunque di una divisione non addestrata. I Tedeschi avevano nell’isola un contingente costituito dal 996° reggimento su due battaglioni di granatieri da fortezza rinforzato dalla 202a batteria semoventi con 9 cingolati del tenente Fauth. In tutto 1800 uomini comandati dal maggiore Barge.
Il proclama Badoglio dell’8 settembre era chiaro e inequivocabile “ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”. Alle ore 21,30 dell’8 settembre la divisione riceveva, dal generale Vecchiarelli, comandante dell’XI armata stanziata sul territorio greco e dal quale dipendeva gerarchicamente la Acqui , il seguente messaggio: “…Seguito conclusione armistizio truppe italiane XI Armata seguiranno seguente linea di condotta: se Tedeschi non faranno atti di violenza armata, italiani non, dico non, rivolgeranno armi contro di loro; non, dico no, faranno causa comune con i ribelli, né con truppe angloamericane che sbarcassero. Reagiranno con la forza ad ogni violenza armata. Ognuno rimanga al suo posto con i compiti attuali. Sia mantenuta con ogni mezzo disciplina esemplare. Comando tedesco informato quanto precede. Siano impartiti ordini cui sopra at comandi dipendenti. F.to Generale Vecchiaerelli”. Lo stesso Vecchiarelli contravvenendo palesemente al proclama Badoglio alle ore ore 9,50 del 9 settembre diramò gli ordini relativi alla consegna delle artiglierie e delle armi collettive, alle ore 20 della sera del 9 tale dispaccio giungeva al generale Gandin. Che cosa era successo nelle dodici ore trascorse tra il primo e il secondo messaggio, pressione tedesca o voglia di non combattere?
L’ordine che era molto diverso da quello precedente (reagire se attaccati) provocò, un certo disorientamento perché in contrasto con il proclama di Badoglio. Il generale Gandin cercò di prendere tempo perché tra i militari della divisione vi erano molti soldati ritenendo che una volta sopraffatto il presidio tedesco, sarebbe stato agevole rimpatriare poiché Cefalonia dista dalla Calabria circa 300 km in linea d’aria e 370 km da Brindisi. Inoltre si poteva ragionevolmente ritenere che gli Alleati avrebbero potuto avere notevole interesse ad occupare le isole ioniche e quindi si aspettava un aiuto da parte loro. Intanto alle ore 8 del giorno 10 Barge si presentò a Gandin chiedendo la resa entro le ore 10 del giorno 11 nella piazza principale di Argostoli e attendeva risposta entro le ore 19, nel contempo però un messaggio era stato spedito alle ore 9,45 dell’11 settembre dal Comando Supremo che pervenne a Gandin verso le ore 19 dell’11 settembre. Era l’ordine di resistere ai Tedeschi, “resistere con le armi alle intimidazioni di disarmo”. Il generale Gandin, lungi da ottemperare all’ordine di considerare i tedesci nemici e quindi attaccali, proseguì nelle trattative, egli chiese di poter conservare le armi individuali e che venisse evitata la mortificazione della cessione delle armi innanzi ai civili greci, poi convocò un consiglio di guerra al quale parteciparono il generale Gezzi, comandante della fanteria divisionale, il colonnello Romagnoli, comandante il 33° Reggimento d’artiglieria, i comandanti del 17° e 317° reggimenti di fanteria, tenente colonnello Cesari e colonnello Ricci, il comandante del Genio maggiore Filippini, il comandante di marina capitano di fregata Mastrangelo ed il Capo di Stato Maggiore colonnello Fioretti ai quali chiese il loro parere circa la decisione da prendere.
Tutti, ad eccezione del capitano Mastangelo e del colonnello Romagnoli (quest’ultimo pretendeva ordine scritto della resa), si dichiarano per la cessione delle armi. A conclusione del rapporto il generale diede ordine ai sui sottoposti di diramare alle truppe l’ordine pervenuto dal comando dell’XI armata cioè di consegnare le armi. I Tedeschi, quindi che ritenevano ormai conclusa la resa, cominciarono a disarmare le stazioni dei Carabinieri e della Guardia di Finanza dislocate a Luxuri e catturarono, due batterie di artiglieria pesante situate nella zona di San Giorgio e Kavriana, nei pressi di Argostoli. Gandin ordinò di non reagire e ritirò inoltre il battaglione di fanteria che presidiava Kardakata, posizione chiave che dominava la penisola di Lixuri (non si capisce come mai il generale Gandin abbia potuto consentire senza reagire la cattura di due batterie di artiglieria situate in zona chiave, e ritirare un battaglione di fanteria che dominava la penisola di Lixuri, non essendo ancora state definite le condizioni di resa, errore gravissimo dal punto di vista tattico/strategico). Tutto sembrava avviato verso la fine della vicenda, ma così non era. Lo stato d’animo della guarnigione andava peggiorando poiché una parte degli ufficiali e dei soldati riteneva che il generale, forse filo-tedesco, stava consegnando la divisione ai Tedeschi; molti furono gli atti di insubordinazione.
Nel pomeriggio del 12 il capitano Pietro Gazzetti aveva ricevuto l’ordine di trasferire alcune suore missionarie dal loro convento all’ospedale e prelevare il console per metterlo al sicuro, un maresciallo di marina fermò l’autocarro per requisirlo, il capitano si oppose adducendo che aveva l’ordine di trasferire il console, allora il maresciallo gridò: “Anche voi appartenete alla razza dei traditori”. Quindi, estratta fulmineamente la pistola, lo ferì mortalmente. Poco dopo contro il generale Gandin che transitava con la sua auto per le vie di Argostoli, un carabiniere lanciò una bomba a mano che per fortuna non ebbe conseguenze,un altro militare strappò la bandierina tricolore dall’auto gridando al generale che non era degno di portarla. Un colonnello di fanteria venne fatto oggetto di una fucilata andata fortunatamente a vuoto e, a seguito di ulteriori atti ostili, dovette rifugiarsi presso una famiglia greca. Un altro incidente si verificò in occasione del trasferimento del 2° battaglione da Franata a Razata: i soldati, ritenendo erroneamente che il colonnello comandate intendesse consegnare le munizioni ai Tedeschi, si ribellarono puntando le armi contro i propri ufficiali. Promotori di questa agitazione si fecero due giovani ufficiali di complemento, i capitani Renzo Apollonio e Amos Pampaloni, entrambi del 33° Reggimento d’artiglieria i quali, incitando i propri uomini alla resistenza, ripetevano ovunque il motto dell’Artiglieria: “con i pezzi o sui pezzi”.
Nel pomeriggio del 12 i due ufficiali unitamente al capitano Pantano della fanteria, il tenente Abrostini, il capitano di fregata Mastrangelo, il tenente colonnello Fioretti, accompagnati dal colonnello Romagnoli, si recarono dal generale Gandin per protestare contro la decisione di cedere le armi e notificarono che i loro uomini non avrebbero ubbidito, decisi com’erano a combattere i Tedeschi, anche da soli. Il generale cercò di spiegare loro che la Divisione non aveva una reale possibilità di resistere ai Tedeschi e li invitò a fare opera di convincimento presso i reparti. Nel frattempo i soldati del 33°, temendo che i loro ufficiali fossero stati arrestati dal generale Gandin, puntavano le loro batterie contro il comando di Divisione.
Sul fronte delle trattative il tenente colonnello Barge informava Gandin che il Comando tedesco, insoddisfatto di come procedevano le cose, non riconoscendogli più i poteri di trattare con Gandin, riteneva nulle le trattative fino allora svolte, e chiedeva al generale italiano di decidere, sic et simpliciter, se cedere o meno le armi.
Messo di fronte a questo ulteriore ultimatum il generale convocò un nuovo consiglio di guerra al quale parteciparono il capo di S. M. ten. col. Fioretti, il generale Grezzi, i colonnelli Cesari e Ricci, il col. Romagnoli, il maggiore Filippini, il capitano di fregata Mastrangelo ed il comandante dei carabinieri capitano Gasco. Alla conclusione venne stilata una lettera nella quale il generale Gandin, che si riteneva offeso per il modo di procedere dei Tedeschi, dichiarava di voler trattare solo con ufficiali tedeschi suoi pari grado e chiedeva che il plenipotenziario venisse accompagnato da un ufficiale italiano dell’XI armata da lui conosciuto. Si intimava ai Tedeschi di non effettuare movimenti di truppe ed invio di rinforzi durante le trattative.
Invece la mattina del 13, in contrasto con gli accordi di non turbare lo status quo, due motozattere tedesche si apprestavano a sbarcare nei pressi di Lixuri. Secondo i Tedeschi le zattere trasportavano rifornimenti di viveri al presidio di Lixuri, secondo gli Italiani trasportavano rinforzi di armi e soldati. Sta di fatto che, non appena le vedette le avvistarono, il capitano Apollonio diede l’ordine alla prima, terza e quinta batteria di aprire il fuoco. Subito dopo si unì una batteria di marina. I Tedeschi risposero al fuoco dalle motozattere e con le batterie semoventi. Si voleva creare il casus belli ma il comando di divisione ordinò subito il cessate il fuoco e le batterie, dopo poco, smisero di sparare, però prima che ciò avvenisse una motozattera era stata affondata e l’altra danneggiata alzò bandiera bianca allontanandosi. I Tedeschi ebbero 5 morti ed 8 feriti a bordo.
Subito dopo un drappello di soldati comandati dal capitano Apollonio costringeva alla resa un presidio tedesco nella zona di S. Teodoro catturando 12 soldati. Nello scontro il capitano von Zettel rimase ucciso. Purtuttavia, nonostante questi gravi incidenti, per volere del generale Gandin che a quanto sembra voleva la resa a tutti i costi, le trattative continuavano e nella notte tra il 13 e il 14 settembre 5 battaglioni di fanteria sempre su ordine di Gandin si mossero da Argostoli e si spostarono verso la piana centrale quest’ordine di movimento provocò un turbamento tra ufficiali e soldati e si diffondeva la voce che il generale Gandin volesse “tradire”. Alle ore 22 circa del 14 settembre il generale Lanz ricevette dal ten. Fauth questo messaggio: “Trattative ancora in corso. Il Comandante Barge è ancora presso il gen. Gandin”. Alla fine del giorno 14 il diario di guerra del XXII Corpo d’Armata germanico sintetizza così gli avvenimenti a Cefalonia: “Le rinnovate trattative del ten.col. Barge hanno come esito che la consegna delle armi da parte della guarnigione italiana dovrà avvenire in 3 fasi, a partire dalle ore 12 del 14 settembre. Il ten.col. Barge pretende la consegna di 10 ostaggi fino al momento della cessione di tutte le armi. Gli ostaggi devono notificarsi presso lo stato maggiore del 966° regg. da fort. entro le 21 del 14 settembre”.
La resa sembrava decisa per i Tedeschi ma alle ore 12 del 14 settembre tramite il colonnello Fioretti, Capo di Stato Maggiore, veniva consegnata al tenente Fauth ad Argostoli una lettera con la quale Gandin comunica la decisione di non arrendersi. La lettera, conservata presso l’Ufficio Storico dell’esercito tedesco, comincia così: “La divisione si rifiuta di ubbidire al mio ordine di resa…”.
Autore: Antonio Lombardo
Fonti bibliografiche:
Paolo Paoletti, Cefalonia 1943: una verità inimmaginabile
Elena Aga Rossi, Cefalonia. La resistenza, l’eccidio, il mito
Giorgio Rochat, La divisione Acqui a Cefalonia
Gian Enrico Rusconi, Cefalonia. Quando gli italiani si battono
Antonio Lombardo è ingegnere meccanico, ufficiale di complemento artiglieria e consulente TAR Campania e Prefettura Caserta.