I Cavalieri di Santo Stefano nei Dardanelli

I Cavalieri di Santo Stefano non ebbero mai una flotta imponente eppure rappresentarono un nemico temibilissimo per i corsari turchi rendendosi protagonisti di imprese ardite anche nel cuore dei mari ottomani. Il 28 giugno del 1626, infatti, l’ammiraglio stefanita Giulio Barbolani, Conte di Montauto, si spinse fino ai Dardanelli cogliendo di sorpresa i turchi che nulla poterono quando le navi toscane ingaggiarono un lungo combattimento contro i loro vascelli.

Le imprese di Barbolani erano iniziate nel 1611 a Disto, una fortezza di Negroponte, a cinque miglia dal mare. Il 6 maggio di quell’anno sbarcò le sue milizie e le guidò alla scalata della fortezza, prendendola e catturando artiglieria e abitanti. Nella notte del 18 maggio del 1613, assistito dal Conte di Candale, veterano delle Fiandre, assaltò la fortezza di Elimano, in Carmania, liberando 237 cristiani ridotti in schiavitù ed acquisendo 313 prigionieri turchi, sedici cannoni, un opulento bottino di merci e due galee di Cipro che stavano lì ancorate.

Acclamato per il suo valore, successe ad Inghirami come ammiraglio e si lanciò nelle imprese dei Dardanelli non prima però d’aver respinto i corsari di Diam Mamet dalle acque di Sardegna e quelli di Assan Calafat dal Tirreno affiancando la squadra pontificia e quella napoletana di Diego Pimentel Spagnuolo.

L’impresa dei Dardanelli fu preceduta dall’espugnazione di espugnò Chiudiciera, a poca distanza da Capo Bianco. Quando giunse alla vista di Palazzo Topkaki, la reggia dell’Impero Ottomano, residenza del Sultano, lo sbigottimento generale paralizzò il nemico che fu incapace di assumere ogni iniziativa. Nessuna flotta cristiana si era spinta fino a tanto. Il Bosforo era stato fino ad allora inespugnato.

Mentre Barbolani sfilava nello stretto vide le ventidue vele della Carovana d’Alessandria, quattro galeoni, una nave piccola, una germa e sedici vascelli minori, presso Capo Giannizzero. Diede fuoco alle polveri e, senza grande spargimento di sangue, travolse le vittime col terrore. Sottomise i galeoni, si impossessò di settantanove turchi componenti il loro equipaggio, fece incetta d’ogni merce e trascinò con sé i ventidue legni sulla strada del ritorno.

Si fermarono a Braccio di Maina per un temporale e qui si videro arrivare Mai, Bey di Rodi, a capo di sedici galee spedite nel loro inseguimento dal Sultano. Il combattimento vide vittoriosi i Cavalieri di Santo Stefano. Neppure uno dei trecento toscani era morto o ferito, sebbene le prede di corsa riuscirono a rompere le funi di rimorchio e a porsi in salvo.

Fu sicuramente la più grande impresa dell’ammiraglio che per otto anni servì la Toscana. Fu premiato col titolo di governatore di Livorno.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: F. Fontana, I pregj della Toscana nell’imprese piu segnalate de’cavaleri di Santo Stefano; AA.VV., Elogj degli uomini illustri Toscani; G. Viviano Marchesi, La galeria dell’onore

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