I veneziani agli assedi di Caifa e Sidone

La partecipazione dei veneziani alla Prima Crociata fu scarna ed essenzialmente legata alle operazioni in mare. Venezia fu impegnata nel traghettare dall’una all’altra sponda dell’Adriatico i crociati poi, mentre l’esercito cristiano si spingeva nella Valle dell’Oronte e raggiungeva Antiochia, disparve. Si trattò di semplici navi commerciali, navi onerarie partite dalla patria solo trasportare uomini, armi e vettovaglie, non erano un’armata da impiegare in operazioni di guerra. La prima vera grande armata navale crociata fu quella genovese, che comparve sulle coste siriane nel luglio del 1097. Con l’esercito crociato ancora lontano, i genovesi gettarono l’ancora a Porto San Simone nel novembre di quell’anno e, con una forte schiera di armati e manovali esperti nella costruzione di macchine da guerra, si gettarono nell’assedio di Antiochia. Anche Pisa, con centoventi navi sotto il comando dell’arcivescovo Daiberto, prese parte alla crociata e raggiunse Laodicea, sul finire del 1099. Più tardi Venezia portò le sue navi negli assedi di Caifa e Sidone.

L’armata veneziana giunse ultima tra tutte, ma fu di grande aiuto. Era il 1100, il vessillo crociato sventolava su Gerusalemme, ma le difficoltà dei crociati erano diventate enormi. Le condizioni della Città Santa erano gravissime. Il grande esercito crociato si era ridotto a poche centinaia di uomini privi di tutto, di armi, di cibo, di medicamenti. Dal giorno della conquista per essi era cominciata una lotta continua con gli arabi, senza tregua, senza sosta.

L’intervento veneziano in Palestina fu pianificato sotto il dogato di Vitale Michiel e sicuramente fu pensato anche per scopi commerciali al fine di occupare mercati e tratte che altrimenti sarebbero state nelle mani esclusive di genovesi e pisani.

La Repubblica ordinò l’allestimento delle navi e, per accrescere l’armata, furono eletti due provveditori, Badoero da Spinale e Faliero Stornado, che raggiunsero la Dalmazia e s’occuparono di raccogliere più imbarcazioni e più soldati. Si convocò il popolo nella Basilica di San Marco e qui il vescovo di Castello, Enrico Contarini, fu proclamato capo spirituale della spedizione, mentre Giovanni Michiel, figlio del doge, ne fu posto alla guida militare. Dopo la solenne messa, il patriarca di Grado, Pietro Badoer, consegnò il vessillo crociato al vescovo mentre il doge diede quello di San Marco al figlio. Cessata la cerimonia, finalmente i veneziani si imbarcarono e salparono, toccando ancora la terraferma per una benedizione presso il monastero di San Nicolò di Lido – forse promettendo di portarvi le reliquie di San Nicola di Mira – e poi a Zara. Dalla Dalmazia la flotta giunse a Rodi.

Si contavano più di duecento navi, tra cui ottanta galee. A Rodi e vi trascorsero l’inverno assicurando Goffredo di Buglione ed il Patriarca di Gerusalemme, che sarebbero presto andati in loro soccorso, tuttavia ci furono diversi intoppi che protrassero la loro permanenza sull’isola sino a sette mesi. A quanto pare i veneziani a Rodi ricevettero sia doni che minacce dall’imperatore Alessio, timoroso che i regni cristiani d’Oriente si sarebbero un giorno rovesciati contro Bisanzio, poi arrivò anche una flotta pisana ed allora insorse una vera e propria battaglia. I pisani si dirigevano con cinquanta navi in Palestina, non sapevano di incontrare sulla loro strada i rivali di San Marco e mal tollerarono la cosa. Probabilmente pretendevano di soggiornare nei quartieri già occupati dai veneziani, fatto sta che trenta navi dogali ingaggiarono lo scontro con quelle di Pisa ed ebbero la meglio. Calata la notte ventidue navi pisane si allontanarono. Al mattino i veneziani liberarono le imbarcazioni catturate e circa quattromila prigionieri fatti, trattenendone trentasei in ostaggio.

Finalmente il 27 maggio del 1100 i veneziani navigarono verso Mira, città posta sulla costa della Licia. La trovarono distrutta, ma riuscirono egualmente a prendere con sé ciò che restava delle reliquie di San Nicola già in larga parte prelevate da marinai di Bari. Da Mira ripresero il viaggio e terminarono la navigazione sbarcando a Jaffa.

Vi trovarono Goffredo di Buglione, ormai infermo, ed il patriarca in condizioni disperatissime. Fu Tancredi d’Altavilla a concertare con loro il da farsi. I veneziani avrebbero combattuto dalla festa di San Giovanni Battista, il 24 giugno, sino al giorno dell’Assunzione di Maria, il 15 agosto. Il patto stabilì che ad essi fossero in cambio concesse una chiesa ed un luogo atto a stabilirvi un magazzino in ogni città già presa ed in ogni città che si sarebbe conquistata. Si dispose inoltre che ai veneziani spettasse un terzo di ognuna delle città conquistate e l’intera Tripoli, dietro pagamento di un tributo annuo, se conquistata. I veneziani avrebbero pure avuto esenzione da imposte e la sicurezza di personale e beni sulle loro navi. Stabilito ciò Contarini e Michiel, poi seguiti dai loro uomini, si portarono in pellegrinaggio al Santo Sepolcro.

Dopo quindici giorni dal loro arrivo, iniziarono l’Assedio di Caifa. Prima dell’assedio Contarini tentò di evangelizzare gli arabi, poi si passò alla guerra vera e propria coi veneziani che occuparono il porto, bruciarono le navi nemiche e strinsero la città in un blocco dal lato del mare erigendo anche un castello di legno che superò in altezza le torri dei difensori, mentre Tancredi tenne le sue truppe a completare l’assedio sulla terra.

Le operazioni furono rallentate da un dissidio scoppiato quando Tancredi, che voleva unire Caifa al suo principato di Galilea, scoprì che Goffredo di Buglione era morto e che, prima di spirare, aveva promesso la città Geldemaro Carpinel. Irritato il normanno scelse allora di abbandonare il campo ed i veneziani, a loro volta impossibilitati a continuare da soli l’assedio, si ritirarono. Solo quando Tancredi ebbe confermato dal nuovo Patriarca di Gerusalemme, Dagoberto di Pisa, il futuro possesso di Caifa, le operazioni ripresero. I veneziani si portarono all’assedio trovando la città già nelle mani di Tancredi d’Altavilla.

Finite le operazioni le navi di San Marco lasciarono la Terra Santa e rimpatriarono portando al monastero di San Nicolò di Lido le reliquie prese a Mira, soddisfatti d’aver ricavato dalla spedizione tanti vantaggiosi patti.

Da allora, morto Vitale Michiel soppiantato dal doge Ordelafo Falier, Venezia non dispose nuove flotte militari per l’Oriente. Restò concentrata nelle guerre con le vicine città di terraferma. Non mancano cronache del XV secolo che parlano di una cooperazione veneziana alla presa di Acri, ma son prive di riscontri, anzi l’assoluto silenzio di Dandolo e degli altri storici delle crociate dell’epoca annulla questa tesi. In verità nell’Assedio di Acri fu fondamentale l’aiuto dei genovesi che vi avevano condotto un’armata di settanta navi. Venezia prese invece parte alla difesa dell’Impero bizantino, respingendo Boemondo d’Altavilla che stava cingendo d’assedio Durazzo. Cessata questa guerra, Venezia tornò in Levante nel 1110, intervenendo con cento navi all’Assedio di Sidone nell’ambito della Crociata norvegese.

Ancora una volta Venezia intervenne per guadagnarsi fette di mercato. Il consolidamento dei domini crociati aveva portato una grande espansione dei commerci di cui Genova e Pisa stavano godendo. Se Venezia si fosse tenuta fuori dalle vicende palestinesi, la forza delle rivali l’avrebbe spazzata via anche dall’Adriatico. Di conseguenza la flotta veneziana lasciò la laguna nell’estate del 1110, giungendo in Palestina ad ottobre, mentre Baldovino stava assediando Sidone.

I crociati cingevano la città in una morsa completa, via terra, con le truppe di Baldovino I, e via mare, con la flotta di Sigurd di Norvegia. Le navi norvegesi in quei giorni stavano sbarrando la strada alla flotta fatimide proveniente da Tiro e riuscirono a respingerla con l’inaspettato soccorso dei veneziani. Sidone, isolata, cadde dopo venti giorni, il 4 dicembre 1110.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: C. Errera, I crociati veneziani in Terra Santa

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