Il Black Panther Party

I militanti del Black Panther Party, il Partito delle Pantere Nere, con i loro pugni alzati, il berretto e la giacca di pelle scura, crearono una iconografia che sopravvive ancora oggi con grande fascino.

Partiamo dal 1965, un anno cruciale, segnato da diversi eventi violenti che colpiscono la comunità afro-americana. Ricordiamo l’omicidio di Malcolm X, la marcia di Selma, i tumulti di Watts, ecc. Forse, escluso il pastore battista Martin Luther King, la comunità afro-americana ha un’attitudine meno conciliante col razzismo della società statunitense. È in questo contesto che Bobby Seale e Huey P. Newton creano il Black Panther Party.

Si dicono pantere perché “la pantera non attacca mai per prima, ma quando viene attaccata e si trova con le spalle al muro risponde senza pietà al suo aggressore”; sono un partito perché hanno “la vocazione di agire, di intervenire, per dare soluzioni concrete e possibili”. L’impalcatura teorica è fornita loro da Frantz Fanon, Che Guevara, Mao Zedong, E. Franklin Frazier e James Baldwin. In particolare Newton sviluppa una prospettiva marxista-leninista in cui la comunità nera è vista come una colonia interna controllata da forze esterne, come uomini d’affari bianchi, polizia bianca, autorità bianche.

La formazione ha il suo centro in California, qui oltre a denunciare la violenza della polizia, sviluppa rapidamente un vero e proprio programma politico che va oltre la rivendicazione dei diritti costituzionali. Così tra le loro azioni ci sono le colazioni per i bambini, l’istituzione di cliniche gratuite, la lotta contro la droga considerata come arma di alienazione. Contano pure scuole di formazione sui diritti civili con insegnamenti di legge, economia, autodifesa e primo soccorso.

Nel loro programma in 10 punti, esprimono il desiderio di libertà per i neri e la fine della brutalità della polizia nei loro confronti. Vogliono anche soluzioni a problemi come l’alloggio, l’istruzione, l’occupazione e la liberazione degli afroamericani dal servizio militare. Il 15 maggio 1967, nel secondo numero del loro giornale, pubblicano la versione originale del loro programma in dieci punti:  

  1. Vogliamo la libertà, vogliamo il potere di determinare il destino della nostra comunità nera
  2. Vogliamo piena occupazione per la nostra gente
  3. Vogliamo la fine della rapina della nostra comunità nera da parte dell’uomo bianco
  4. Vogliamo abitazioni decenti, adatte a esseri umani
  5. Vogliamo per la nostra gente un’istruzione che smascheri la vera natura di questa società americana decadente. Vogliamo un’istruzione che ci insegni la nostra vera storia e il nostro ruolo nella società attuale
  6. Vogliamo che tutti gli uomini neri siano esentati dal servizio militare
  7. Vogliamo la fine immediata della brutalità della polizia e dell’assassinio della gente nera
  8. Vogliamo la libertà per tutti gli uomini neri detenuti nelle prigioni e nelle carceri federali, statali, di contea e municipali
  9. Vogliamo che tutta la gente nera rinviata a giudizio sia giudicata in tribunale da una giuria di loro pari o da gente delle comunità nere, come è previsto dalla costituzione degli Stati Uniti
  10. Vogliamo terra, pane, abitazioni, istruzione, vestiti, giustizia e pace

Subito finiscono nel mirino dell’FBI. Le autorità di polizia li considerano una seria minaccia per la sicurezza e si adoperano per infiltrarsi tra le loro fila e favorire le divisioni, oltre ad esercitare una aperta e severa repressione.

E’ soprattutto l’ostilità di gruppi rivali a segnare, nel giro di tre anni, la loro fine. Il 17 gennaio, 1969 Bunchy Carter e John Huggins, responsabile per l’organizzazione di Los Angeles vengono uccisi da membri della United Slaves, un gruppo nazionalista rivale africano creato nel 1965.

Il loro rapporto con la lotta armata è un’altra questione delicata della loro storia. Approfittando di una legge della California che permette alle persone di portare armi non nascoste, le Pantere istituiscono pattuglie armate che monitorano l’attività della polizia nella comunità nera. Queste pattuglie portano a rapporti sempre più tesi con la polizia e, nell’ottobre del 1967, Newton viene arrestato dopo un fuoco incrociato tra la polizia che porta alla morte di un agente di Oakland. Nel luglio del 1968 Newton è dichiarato colpevole di omicidio preterintenzionale sebbene la condanna viene annullata in appello nel 1970.

È quello l’anno in cui il partito cade in numerose divisioni e scontri, divenendo non più operativo, implodendo tra gli assertori di una via di emancipazione dei neri nel quadro della legalità costituzionale ed una via armata: uno degli ideologi del movimento, Eldridge Cleaver, rompe con Seale e Newton sull’importanza della lotta armata ed il partito si indebolisce, perde credibilità.

Nel frattempo la vicenda giudiziaria di Newton non finisce qui. Nel 1974, il fondatore delle Pantere Nere è accusato di aver aggredito una prostituta. Invece di subire un nuovo processo, fugge a Cuba per rientrare negli Stati Uniti nel 1976. Processato viene assolto, ma non finiscono i suoi guai: nell’agosto del 1989, è assassinato a Oakland, presumibilmente mentre acquista droga.

Intanto il Black Panther Party, la cui immagine resta una delle più eloquenti della radicalizzazione della comunità nera negli Stati Uniti degli anni Sessanta, è scomparso di scena.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

Bibliografia: D. Murch, Living for the City: Migration, Education, and the Rise of the Black Panther Party in Oakland, California

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