Il cranio del Circeo
Nel corso di una campagna archeologica del 1939, il paleontologo Alberto Carlo Blanc perlustrò un anfratto del massiccio del Circeo scoprendovi uno strano cranio.
Blanc si era infilato in un cunicolo ed aveva incontrato, a celargli il cammino, una parete pietrosa dovuta ad una frana. Armatosi di piccozza si aprì un varco, vi strisciò dentro facendosi luce e si ritrovò in quello che a prima vista sembrava una caverna di stalagmiti. L’esploratore guardò per qualche istante quello spettacolo fino a quando divenne consapevole di star fissando in realtà ossa che il tempo aveva cementato alle pareti e ricoperto di una patina calcarea.
Erano ossa di rinoceronti, di cavalli, di cervi, di elefanti, leoni ed orsi. Vi camminò in mezzo con cautela fino a scorgere una camera più piccola, poi denominata “Antro dell’Uomo”, in cui riconobbe pietre dispose a forma di ovale ed in mezzo ad esso un teschio.
Quel cranio fu prelevato, studiato, misurato, catalogato. Apparteneva all’uomo di Neanderthal che subentrò in Italia nel tardo periodo interglaciale Riss-Wurm. Si scoprì che sul cranio era presente un segno di ferita vicino all’orecchio destro e un particolare più sinistro inquietò il paleontologo: i fori delle cavità oculari erano stati entrambi allargati con scalpello.
L’orribile scoperta rivelò l’esistenza di un rito macabro. L’erosione dei fori oculari veniva praticata affinché si potesse estrarre dal cranio il cervello del morto per darlo in pasto agli uomini della tribù. Blanc mise in relazione tutto con le tribù africane dei Niam Niam, con i Melanesiani, coi “cacciatori di testa” della nostra epoca che immaginano di assorbire la forza e l’intelligenza del defunto mangiandone il cervello. Altre tombe degli uomini di Neanderthal presentavano lo stesso elemento. I morti venivano seppelliti sotto il pavimento delle grotte che essi avevano abitato in vita, circondati da pietre entro le quali giacevano in due, con utensili e cibo accanto a loro.
Questa interpretazione però fu smentita nel 1989. Nuovi esami rivelarono che sul cranio non erano affatto stati trovati segni di utensili. Rivelarono pure che la ferita individuata era attribuibile ai denti di una iena. Si convenne dunque sul ritenere quella grotta la tana di una iena di 50.000 anni fa. Tutte le ossa di animali ritrovate erano i resti dei pasti della iena e anche il cranio di quell’uomo lo era. A riprova di ciò si addusse il comportamento delle iene dei nostri tempi che, quando si imbattono in carcasse, portano via ossi e crani per spolparseli nelle tane e si limitano a morderne la carne senza spezzare le ossa su cui essa è attaccata.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Fonte foto: dalla rete
Bibliografia: M. Corona, Le civiltà preistoriche in Italia; A. Beltran, Paleoantropologia e preistoria: origini, paleolitico, mesolitico